Agosto 4 2022

Chi assicura la pace quando finisce la guerra?

Pace chi la assicura

Mettiamo il caso che le parti in conflitto trovino un accordo per far tacere le armi? E poi? Chi assicura che la pace duri nel tempo? Ci avete mai pensato?

Firmare accordi per portare la guerra ad una fine è un passo necessario, ma insufficiente verso una pace che duri nel tempo.
Il peacebuilding è concepito, oggi, come un processo composto da molti stadi indirizzati a rafforzare l’accordo di pace e ad avviare la riconciliazione delle comunità attraverso approcci che vanno dal capacity-building governativo allo sviluppo economico e alle riforme del settore della sicurezza e legale.
Ogni iniziativa è intesa come un passo in avanti verso il miglioramento della sicurezza umana. Tale processo spesso include un meccanismo di giustizia di transizione utile a favorire la ripresa della vita sociale delle comunità e la riconciliazione.
Il peacebuilding è un processo laborioso e costoso.

Sebbene il peacebuilding si sia evoluto, non vi è ancora consenso su chi debba guidare questi sforzi. Subito dopo l’11 settembre del 2001, le Nazioni Unite hanno introdotto una Commissione di Peacebuilding, intesa ad apporre maggiore pressione per l’adozione di interventi post-conflitto, quindi di aiuto, e tracciare la loro realizzazione in pratica. Tuttavia, a causa della mancanza della capacità di imporne l’attuazione, gli Stati membri possono bloccare le iniziative della Commissione. Organismi regionali, incluso l’Unione Europea ed in particolare l’Unione Africana, hanno mostrato interesse nel rendere prioritario il peacebuilding post-conflitto, ma si tratta di storie complicate e avvolte da una sorta di nebbia.
Le iniziative di giustizia di transizione sono similmente difficili da attuare. Disegnate per aiutare una società a documentare e valutare, all’interno del sistema giuridico, gli abusi di diritti umani, esse possono assumere diverse forme, incluso processi penali, commissioni di giustizia o programmi di indennizzo. Laddove le prime iniziative come quella dei processi post Seconda Guerra mondiali ai criminali di guerra tedeschi e giapponesi, enfatizzano la giustizia penale, sforzi più recenti si sono ampliati per concentrarsi sulla riconciliazione, sulla “guarigione” e trasformazione della società.
Tuttavia includere discussioni su meccanismi di giustizia di transizione nelle negoziazioni di pace può anche essere un rischio , particolarmente quando persone che da tali procedimenti potrebbero essere ritenute responsabili di aver commesso crimini, devono essere parte nel costruirli. Vi è anche il problema più ampio nel sostenere tali sforzi di fronte alla tentazione di lasciare le esperienze dolorose al passato.

Sia per le iniziative di peacebuilding che quelle di giustizia di transizione, il finanziamento rimane una sfida chiave ed una scusa frequente per bloccare gli sforzi.


La questione di chi dovrebbe finanziare la ricostruzione è un altro ostacolo al peacebuilding. In alcuni casi il consenso sulla necessità di stabilità guida i meccanismi di finanziamento internazionale per promettere aiuto. In altri casi come la Siria, il finanziamento per la ricostruzione diventa un’altra arena per competere sull’influenza ed il potere.


Porre fine al combattimento

Il primo passo verso la costruzione della pace è porre fine alla guerra. Sebbene sia più che evidente, è più facile a dirsi che a farsi. La sfiducia ed il risentimento che hanno condotto al conflitto sono spesso esacerbati durante il corso dai combattimenti, rendendo entrambe le parti sempre meno desiderose di deporre le armi. Spesso potenze esterne cercano di portare avanti i loro propri interessi, minando gli sforzi per arrivare ad un negoziato. Anche quando sono dispiegate forze di peacekeeping nella zona di conflitto, spesso sono inefficaci.

Tuttavia, malgrado tutti questi ostacoli, gli sforzi per porre termine al conflitto sono preferibili al non fare niente.

Ora venite con me facciamo un giretto per il mondo ed osserviamo cosa accade sul campo agli sforzi di peacebuilding, di riconciliazione e di giustizia di transizione.


Libia

Fonte: World Atlas


Nell’ottobre del 2020, è stato firmato un cessate-il-fuoco dopo che le azioni militari di Haftar a Tripoli hanno fallito a causa dell’intervento militare turco per sostenere il governo riconosciuto internazionalmente. L’accordo ha permesso l’avvio di un processo di dialogo che ha prodotto poi il Governo di Unità Nazionale – GNU nel suo acronimo inglese- Il governo di transizione aveva il compito di preparare il Paese per le elezioni sia parlamentari che – per la prima volta nella storia della Libia – presidenziali, fissate per il 24 dicembre 2021.
Più di 2,8 milioni di persone parte di una popolazione di poco al di sotto dei 7 milioni, si sono registrate al voto, segno inequivocabile che i libici volevano cambiare pagina, avere un programma politico dopo anni di guerra, fin dal 2014. Disaccordi sulle leggi elettorali – incluso se la Libia post -Gheddafi fosse pronta per un sistema presidenziale – e la lista dei candidati elegibili hanno condotto la commissione elettorale a posporre il voto di dicembre, portando così il processo politico a guida Nazioni Unite verso una paralisi.
Da dicembre il leader del GNU, il primo ministro Abdulhamid Dabaiba, ha insistito che secondo i termini dell’accordo politico che aveva costituito il GNU, egli debba trasferire il potere solo al governo eletto attraverso un voto nazionale. Nel frattempo il capo dell’autorità parallela, Fathi Bashaga, rivendica che il mandato del governo di unità nazionale è terminato il giorno che si sarebbero dovute tenere le elezioni poi annullate. Il suo governo che si fa chiamare Governo di Stabilità nazionale, GNS – nel suo acronimo inglese – ha il sostegno sia di Haftar che di Aquila Saleh, lo speaker della Camera dei Rappresentanti, un apparato altamente disfunzionale che è stato eletto nel 2014.
I termini del piano d’azione sono contestati ed un elemento chiave dell’accordo di cessate-il-fuoco appare a rischio. Agli inizi di aprile di quest’anno i rappresentati di Haftar nella commissione cosidetta 5+5, la Joint Military Commission, dichiarano di sospendere la loro partecipazione nella commissione e rivendicano la chiusura dei terminali petroliferi e dei voli tra la Libia occidentale e la parte est del Paese. Sebbene la comissione si sia riunita recentemente in una conferenza in Spagna, le spaccature restano. Il JMC è un prodotto del cessate-il-fuoco del 2020, il cui compito è quello di unificare le forze armate del Paese e supervisionare il ritiro dei mercenari stranieri. La Commissione era stata precedentemente lodata dai diplomatici come un raro successo.
Le tensioni aumentano tra il GNU ed il GNS, le Nazioni Unite stanno cercando di raggruppare sufficiente consenso per permettere che si svolgano le elezioni quest’anno.
La situazione non è agevolata dal fatto che la missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia, UNSMIL, è stata minata dalle divisioni all’interno del Consiglio di Sicurezza. La Russia ha sostenuto Haftar, così come gli Emirati Arabi Uniti.

Il rinnovo di lungo termine della missione è stato bloccato per disaccordi tra i membri del Consiglio sulla lunghezza del mandato, sulla ristrutturazione e la nomina della sua leadership. Tutte le parti coinvolte nelle lotte di potere in Libia vedono opportunità in questo indebolimento della missione di supporto.

Nel frattempo, le conseguenze – negative – dell’invasione russa dell’Ucraina hanno creato un’arena aggiuntiva di competizione per le fazioni rivali in Libia.

Ad aprile, Dabaiba, il cui GNU rappresenta ancora il Paese alle Nazioni Unite, ha reso la Libia il solo Paese del Medio Oriente e del Nord Africa a votare in favore della sospensione di Mosca dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite. Bashaga ha cercato di ottenere sostegno internazionale per il suo governo rivale dichiarando ai diplomatici occidentali che può ridurre l’impronta russa in Libia. Affermazione che lascia tutti un po’ scettici, visto che il suo alleato Haftar resta dipendente dalla forze russe incluso i mercenari del Wagner che sono incorporati in diverse delle sue basi.

Vi è anche il timore che al trascinarsi della guerra in Ucraina, Mosca possa utilizzare il Wagner per accrescere problemi in Libia, creando più sfide per la NATO ed il suo fianco a sud.

Riportare la Libia in un percorso transitorio stabile non sarà facile. Dovrebbe iniziare con un nuovo governo ed una road map che ponga la priorità alle elezioni legislative, lasciando la contestata questione se il Paese debba o meno adottare un sistema presidenziale per un altro momento. Per arrivare a ciò dovrebbe essere nominato un inviato speciale che trascenda le divisioni sia al Consiglio di Sicurezza che all’interno dello scenario politico libico.

Repubblica Centrafricana

Fonte: Encyclopedia Britannica


Perchè dopo otto anni dalla missione di peacekeeping NU e sei anni dopo gli iniziali accordi di pace, la pace non è ancora arrivata nella Repubblica Centrafricana?


Considerato un tempo un Paese marginale negli affari regionali, la Repubblica Centrafricana (RCA) è diventata un frequente argomento di discussione nei circoli africani di sicurezza. RCA è spesso citata come il trampolino di lancio nel Continente per il Wagner Group ed un punto di riferimento per il coinvolgimento del gruppo negli altri Paesi africani. Le attività del gruppo si sono ora espanse al Mali, al Sudan ed alla Libia e la fissazione sul suo appariscente ingresso nelle zone di conflitto della Regione ha deviato l’attenzione internazionale da un più allarmante sviluppo a Bangui: il futuro sempre più precario del Paese.
Per un breve momento nel 2016, RCA sembra sulla strada della ripresa dalla sua rapida discesa nel conflitto nel 2012 e nel 2013, quando la coalizione ribelle Seleka rimuove l’ex presidente Francois Bozize, ma non riesce a porre fine alla violenza. Le Nazioni Unite dispiegano una missione nel 2014, conosciuta con il suo acronimo MINUSCA, per stabilizzare la sicurezza all’interno del Paese, l’Unione Europea e la Francia inviano missioni di addestramento per contribuire a ricostruire le forze armate note con l’acronimo francese FACA.
Le elezioni presidenziali e parlamentari nel 2015 e nel 2016 generano un’ondata di ottimismo. Malgrado ritardi e alcune irregolarità, la violenza elettorale tanto temuta non si manifesta ed il Presidente Faustin Touadera diventa il primo presidente del RCA democraticamente eletto.
Tuttavia, in assenza di un accordo per disarmare i gruppi ribelli o rivendicare il controllo del Paese, Touadera è lasciato con pochissime opzioni per governare su i suoi oppositori. Né MINUSCA né le truppe francesi nel Paese vogliono ingaggiare combattimenti con i gruppi armati: la violenza intercomunitaria si diffonde a Bangui e i gruppi armati governano, in modo autonomo, aree lontano dalla capitale.
Pur riconoscendo che sciogliere, smobilitare le loro forze significa abbandonare la loro influenza, i leader dei ribelli firmano una serie di accordi di pace dal 2016, solo per poi ignorare i loro obblighi quando si tratta di disarmo e smobilitazione.
Nel tardo 2017, dopo che la Russia si assicura una deroga dall’embargo delle armi imposto dalle Nazioni Unite per spedire armi di piccolo calibro alla RCA, i mercenari del Wagner Group iniziano ad arrivare assieme alle armi. Wagner promette di ottenere risultati che le Nazioni Unite, l’Unione Europea e la Francia non possono o non vogliono raggiungere: un addestramento focalizzato al combattimento per il FACA e una vittoria contro i gruppi armati sul campo di battaglia. Ovviamente, parallelamente a ciò il Wagner persegue i suoi propri interessi. Inizialmente, la presenza del gruppo nel Paese è considerata come novità, l’attenzione internazionale continua a concentrarsi sulla capacità di Touadera di consolidare il controllo territoriale del governo e sugli sforzi multilaterali di raggiungere un accordo di pace.
Una flessione accade nel dicembre del 2020 quando un’offensiva lanciata da una coalizione di ribelli cerca di rimuovere Touadera prima dell’elezione presidenziale che poi vince. I ribelli non riescono ad arrivare nella capitale, ma la loro avanzata convince i sostenitori di Touadera a Bangui che senza un governo che può imporre il suo volere militarmente o alleati che possano facilitare tale sforzo, la pace nella RCA è irraggiungibile. Il Wagner è centrale alla successiva contro-offensiva del governo, guidando le unità FACA che il gruppo ha addestrato a spingere, con successo, i ribelli nel nord del Paese.
Ora Touadera sta pagando il prezzo diplomatico e di reputazione della azioni del gruppo Wagner. Sebbene i combattenti di tutte le parti nel conflitto siano state responsabili di violazioni dei diritti umani, un rapporto delle Nazioni Unite rivela che le forze FACA guidate dal Wagner sono state responsabili per quasi la metà di tutti gli incidenti confermati. Come risultato l’Unione Europea ha sanzionato il Wagner.
Il Wagner è stato anche accusato di pratiche di sfruttamento dall’estrazione predatoria delle risorse al rapire uomini d’affari in cambio di cash.
Sia il FACA che il Wagner hanno anche, ripetutamente, attraversato la frontiera a nord entrando in Ciad e scontrandosi con le forze del Ciad.
MINUSCA aggiunge problemi. A novembre è stata lanciata un’investigazione su alcuni peacekeeper portoghesi per traffico illecito di diamanti. Nel frattempo le Nazioni Unite hanno rimosso il contingente del Gabon dalla missione per presunti abusi. Assieme a questo, ci sono voci e speculazioni per cui alcuni soldati di MINUSCA vendono le armi ai gruppi ribelli. Diventa dunque piuttosto difficile per la missione dipingersi come una parte neutrale per i centrafricani.

Sebbene Touadera, con il sostegno russo, potrebbe avere la meglio, militarmente, contro i gruppi ribelli nel breve periodo, le dislocazioni massicce e i legami con le comunità di frontiera nel nord del Paese possono alimentare risentimento e possono essere facilmente mobilitate da attori in Ciad ed in Sudan.

Fondamentalmente, l’apatia internazione e i loschi affari di Touadera possono trasformare la democrazia in una sorta di governo disfunzionale e repressivo che i centrafricani avevano rovesciato una decade fa.

Riconciliazione e giustizia di transizione

Solo perchè due parti in guerra si sono accordate a far tacere le armi non significa che perseguiranno in maniera significativa sforzi per valutare le atrocità che hanno commesso e considerare come – o se – rendere i perpetratori responsabili.

Iraq


Il fallimento di reintegrare gli ex combattenti dello Stato islamico e i suoi simpatizzanti nella società irachena continua ad danneggiare gli sforzi di riconciliazione in Iraq.
Lo Stato islamico, come anche Al Qaeda, reclutano sì molti credenti alla loro ideologia estremista, ma sono sostenuti anche da iracheni e siriani che sono disillusi dagli sforzi del governo che ha fallito nel fornire stabilità e sicurezza. Entrambi i gruppi hanno guadagnato il sostegno da colonne portanti della società irachena, compreso ex ufficiali militari, mercanti prominenti, leader di comunità locali e religiose. Tutti assieme tali fattori hanno permesso all’estremismo jihadista di fiorire nelle rivolte.
Questa questione del sostegno popolare allo Stato islamico (IS) è stata completamente ignorata dopo la caduta di Baghouz nel marzo del 2019, che ha segnato la sconfitta del progetto territoriale del califfato.

L’attenzione internazionale è evaporata e le risorse necessarie per la ricostruzione post-conflitto e la ricollocazione non si sono mai materializzate.


Alcune importanti domande non hanno mai ricevuto una risposta:

  • cosa facciamo con le decine di migliatia di combattenti del’IS catturati e delle loro famiglie?
  • cosa facciamo con le migliaia di stranieri – molti con passaporti occidentali – che hanno viaggiato in Iraq e Siria per unirsi allo Stato islamico?
  • cosa facciamo con i centinaia di migliaia di iracheni e siriani che hanno collaborato con lo Stato islamico e condividono ancora molto della natura estremista del gruppo, ma che non erano direttamente connessi con i crimini e per questo non devono essere sottoposti a procedimenti penali?

La domanda più difficile:

  • cosa facciamo con una stima di 500,000 iracheni che erano noti dai loro vicini per essere simpatizzanti dello Stato islamico e si sono susseguentemente trovati ostracizzati dai loro stessi vicini, non più in grado di tornare a casa?

A tutte queste domande, la risposta dalla comunità internazionale è stata uno spregiudicato disinteresse.

I governi occidentali si sono rifiutati di rimpatriare i loro cittadini che hanno combattuto per l’IS. Hanno fallito nel costruire infrastrutture detentive in Iraq e Siria o di inviare i loro funzionari di sicurezza addestrati dai loro Paesi per sorvegliare i detenuti lì.
Le città, i villaggi bombardati con armi occidentali costose durante la campagna militare contro lo Stato islamico non sono state ricostruite. I problemi spinosi di reintegrazione e responsabilità sono stati lasciati alle autorità locali.
Molti centri di detenzione in Siria, come quello a Hasakeh, sono locati in comunità che pare includano molti presumibili simpatizzanti dell’IS.
Il governo di Baghdad e il governo regionale curdo hanno cercato di controllare i combattenti dell’IS noti.

Si sono svolti procedimenti penali, ma tutto il sistema è da valutare come imperfetto: colpevoli in grado di eludere la giustizia attraverso scappatoie legali o pagando delle mazzette.


Le autorità locali non hanno reso possibile il ritorno delle persone dislocate internamente, mentre hanno sperimentato meccanismi per rendere in grado gli iracheni noti per avere connessioni con l’IS o simpatie con il gruppo di firmare delle denunce contro l’organizzazione estremista violenta e ritornare alla società.
Un numero indefinito di persone vive in detenzione senza né essere accusata né dichiarata colpevole da un tribunale. Centinaia di migliaia di ex membri dell’IS e sostenitori sono abbandonati in un limbo in condizioni degradanti. Se non saranno sottoposte ad un equo processo o rilasciate e reintegrate nella società, la “generazione perduta” può potenzialmente guidare un’altra ondata di ribellione quando verranno alla fine rilasciati, che sia per procedimenti legali che attraverso attacchi dell’IS come quello a Hasakeh.

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Pubblicato Agosto 4, 2022 da barbarafaccenda nella categoria "Africa", "Medio Oriente", "politica internazionale

Riguardo l’Autore

Esperto politica internazionale

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