Febbraio 6 2019

Il petrolio àncora di salvezza del Venezuela?

Venezuela

Si stima che 3 milioni di venezuelani siano scappati nei Paesi vicini e molti altri li seguiranno.

Lo scorso autunno la Federazione Farmaceutica del Venezuela ha stimato che solo il 20% delle medicine necessarie sono disponibili; la Federazione Medica riferisce che circa 1/3 dei medici venezuelani ha lasciato il Paese. Il tasso di mortalità dei bambini al di sotto dell’età di 5 anni è simile a quello che si registra in Siria, Paese, quest’ultimo, dilaniato da una guerra civile da almeno 8 anni. Più di 1 bambino su 10 soffre di acuta malnutrizione, circostanza che può avere conseguenze per la vita in termini di sviluppo fisico e mentale.

Juan Guaido che si è dichiarato Presidente ad interim lo scorso mese, sta cercando di convincere le forze di sicurezza del Venezuela che Maduro deve andare via.
Guaido asserisce che la ri-elezione di Maduro, lo scorso anno, è illegittima e che il suo incarico sia terminato i primi di gennaio.

Le sanzioni dell’amministrazione Trump

Dopo aver rapidamente riconosciuto la legittimità di Guaido, l’amministrazione Trump ha colpito il regime di Maduro imponendo sanzioni per schiacciare le esportazioni di petrolio del Venezuela: congelamento degli assetti  negli Stati Uniti della compagnia petrolifera di cui è proprietaria lo Stato del Venezuela: PDVSA; divieto per entità degli Stati Uniti di condurre affari con essa.

Se, come è presumibile, questo tipo di sanzioni, in particolare al settore petrolifero, accelereranno la caduta decisiva di Maduro, non avranno con tutta probabilità l’effetto di far uscire il Venezuela dalla palude in cui si trova.

Innanzitutto visto che PDVSA è paralizzata dai debiti, il settore privato dovrà dare conto per la vasta maggioranza dell’aumento della produzione petrolifera. La compagnia petrolifera statale ha un debito pari a 34,6 miliardi di dollari. Da quando Hugo Chavez è stato eletto presidente nel 1999, la produzione del PDVSA è caduta di 2/3. La produzione del settore privato ha relativamente attraversato la tempesta, rimanendo per la maggior parte costante dal 2006 al 2017 dopo una decade di iniziale, rapida, crescita.

Per riportare l’industria petrolifera in piedi, suoi propri piedi, gli esperti stimano che ci sia bisogno di investimenti pari a circa 20 miliardi di dollari all’anno, per tutto: dall’esplorazione petrolifera alla produzione, raffinazione e distribuzione.

Inoltre, le sanzioni non serviranno a molto, dal momento che la corruzione è radicata in Venezuela ed il Paese è imbrigliato dai debiti che Maduro ha contratto principalmente per salvare se stesso.

Maduro dipende dai guadagni del petrolio per mantenere i militari e i suoi sostenitori suoi alleati ed ha ipotecato il futuro del Paese sottoscrivendo accordi finanziari a dir poco disperati con la Cina e la Russia.

Le esportazioni di petrolio verso la Cina, per la maggior parte, servono a ripagare i miliardi di dollari dei prestiti cinesi che Maduro ha chiesto quando i mercati internazionali finanziari gli hanno voltato le spalle. Il gigante energetico russo Rosneft ha fornito miliardi di prestiti in cambio di partecipazioni nell’industria petrolifera venezuelana. I ricavi di questi accordi hanno tenuto Maduro al potere.

La Cina e la Russia è inverosimile che vengano pienamente ripagate. Un futuro governo legittimo a Caracas potrebbe tuttavia essere bloccato da questi accordi perché i costi di indebitamento sarebbero più alti se li rigettasse.

Le sanzioni al settore petrolifero imposte da Trump presumibilmente accelereranno la caduta di Maduro, tuttavia è necessario rilevare che se fossero state imposte delle sanzioni preventive in risposta ai contratti e accordi scellerati stipulati da Maduro, quando era già chiara la strada verso il disastro che stava percorrendo il Venezuela, si sarebbero potuti proteggere i venezuelani almeno dai costi dei debiti che si ripercuoteranno su di loro.

Il settore petrolifero come àncora di salvezza?

Il Venezuela ha le riserve petrolifere – verificate – più grandi al mondo.

Anche se Guaido o un’altra figura dell’opposizione alla fine prendessero in mano le redini del Paese e iniziassero a sanare il settore petrolifero, ci vorranno anni prima che le esportazioni petrolifere potranno fornire la spinta economica di cui ha bisogno il Venezuela per uscire dalla palude.
L’industria petrolifera venezuelana è stata seriamente danneggiata e vi sono persino degli interrogativi a proposito della sostenibilità economica di lungo-termine dei suoi giacimenti petroliferi.

La legge sugli idrocarburi progettata da Guaido permetterebbe una maggioranza privata dei progetti, termini fiscali competitivi e la creazione di un organo regolatore indipendente che condurrebbe gare per assegnare i giacimenti petroliferi. Va registrato che questo tipo di azioni sono attività standard per questo tipo di industria a livello mondiale per attrarre investimenti privati.

Il furto di materiale petrolifero, dai cavi ai computer, da parte del crimine organizzato è diventato un problema costoso. Ogni investimento in equipaggiamenti, presumibilmente, dovrà essere accompagnato da importanti risorse in personale di sicurezza, aggiungendo costi alle imprese che vogliono operare nel Paese.

Le riserve di capitale umano del Venezuela sono state anch’esse devastate dalla crisi economica. Imprese petrolifere internazionali dovranno sperare che i lavoratori venezuelani del settore petrolifero che hanno lasciato il Paese, tornino quando la situazione si stabilizzerà – una prospettiva sempre più improbabile dal momento che il tempo passa e con esso l’età degli ex lavoratori PDVSA – o saranno costrette a reclutare, rilocare lavoratori a livello internazionale.

Non è chiaro se la domanda per  “greggio pesante” extra del Venezuela si sosterrà per la prossima decade o due.

Il mercato di punta per le esportazioni del Venezuela è quello degli Stati Uniti dove la nuova capacità di raffinazione è rivolta alla lavorazione del “petrolio leggero” che è prodotto a livello locale dalle vaste riserve di scisto in Texas e da altri Stati. La conquista di Citgo, la raffineria PDVSA situata negli Stati Uniti, da parte dei suoi creditori rimane una grande minaccia per il settore petrolifero venezuelano e priverebbe PDVSA del suo accesso garantito ai sistemi di raffinazione e distribuzione degli Stati Uniti. Inoltre, alcune imprese petrolifere internazionali, sotto pressione a causa dei cambiamenti climatici, potrebbero diminuire le occasioni di investimento in “petrolio pesante”, che emette più gas serra a causa delle grandi necessità di energia ed emissioni associate con l’estrazione da riserve non convenzionali.

Ogni futuro leader del Venezuela deve essere in grado di gestire le aspettative e preparare i cittadini per una lenta ripresa. Il petrolio potrebbe sembrare  un àncora di salvezza, ma il  risveglio dell’industria petrolifera dipenderà da come il governo e l’industria stessa affronteranno i portatori di altre sfide.

Dicembre 3 2016

America Latina: la sua lezione sul populismo politico

America Latina

Il populismo politico dell’America Latina si presenta come una vera e propria lezione. Un avvertimento per gli Stati Uniti del neo eletto Trump e per il vecchio Continente.

Il populismo politico dell’America Latina è un fatto reale che consegna agli Stati Uniti del neo eletto Trump e al vecchio Continente un vero e proprio avvertimento.

Negli Stati Uniti, i politici populisti hanno raggiunto la maggior parte dei votanti, in America Latina sono passati di moda.

Cosa ci insegnano le esperienze del populismo politico dei paesi dell’America Latina.

In Venezuela, la vittoria di Trump ha richiamato alla memoria l’ascesa di Hugo Chavez, un maestro nell’arte della politica populista.

Chiaramente Chavez e Trump sono diametralmente opposti in molti ed importanti modi.

Tuttavia, i considerevoli paralleli che esistono ci sono d’aiuto come schema del populismo del 21° secolo: un movimento che si sta appassendo in America Latina, ma che sta fiorendo velocemente nel cosiddetto “mondo sviluppato”.

Il contrassegno del populismo che ha letteralmente ingoiato parti dell’America Latina alla fine degli anni ’90 e nel 2000 era, principalmente una spinta alla sinistra, in contrasto con quello che vediamo negli Stati Uniti e in Europa, dove la maggior parte dei leader populisti arrivano dalla destra dello spettro politico.

Pur tuttavia, ci sono forti similarità tra le spinte a compiacere la folla, il culto della personalità e ed il consolidamento di movimenti di opposizione che si pongono come una sfida “al sistema”.

Il populismo che sia a nord o a sud della frontiera, ad est o ad occidente dell’Atlantico, tende ad arrivare avvolto in una bandiera ed accompagnato dalla nostalgia di una gloria nazionale passata.

È sospinto da spiegazioni approssimative per problemi complicati e promesse di soluzioni semplicistiche per sfide spaventose. Fa affidamento su sostenitori carismatici, spesso appariscenti che imputano la colpa di sofferenze reali o immaginarie ad una massa di cattivi preconfezionati.

La gloria passata non è completamente immaginata, così come le soluzioni proposte non sono totalmente vuote. I cosiddetti cattivi non sono mai angeli innocenti. Persone, paesi, gruppi, idee sono o grandi o sono malvagi. Non c’è molto spazio per la sottigliezza nel programma di un populista.

Come Chavez, Trump è stato capace di fare leva sul potere delle moderne comunicazioni per scavalcare l’establishment e far passare il suo messaggio direttamente alle masse.

Chavez scoprì il potere dei mass media dopo essere apparso in televisione all’indomani del fallito coup nel 1992. Come presidente, brillò nello show televisivo “Hello President” dove trascorreva ore infinite a parlare direttamente al pubblico.

Trump deve qualcosa del suo successo alla sua presenza su Twitter e alla sua promessa che continuerà ad usarlo come presidente.

Che sia in America Latina o altrove, il leader populista tende ad essere un outsider che si confeziona come un indispensabile ingrediente per il successo

Il populismo dipende dal persuadere le masse che, la persona al centro del “movimento”, a prescindere dalla sua base ideologica, è quello di cui c’è bisogno per raggiungere la missione. L’agghiacciante mantra di Trump alla Convention repubblicana “I alone can fix it” condensa il culto della personalità: il cuore del moderno populismo.

L’ideologia non è indispensabile; l’uomo lo è.

Ironicamente la più vaga ideologia può fornire un grado di flessibilità al governo. Questo è il motivo per cui i socialisti populisti possono permettere ai mercati liberi di funzionare e la ragione per cui il presidente del Nicaragua: Daniel Ortega, può guidare un paese dove il capitalismo è molto più visibile del socialismo.

Così come Trump ha promesso di “make America great again”, Chavez prestava attenzione alla gloria passata, non solo per il suo paese, ma per la regione, costruendo la sua rivoluzione sull’incantesimo di Simon Boliva, l’eroe delle guerre d’indipendenza dell’America Latina dal governo coloniale spagnolo. Tutto questo forniva un amabile contesto per la demonizzazione di coloro che Chavez reputava colpevoli di tutti i problemi del paese, per non menzionare le sue ambizioni di diffondere la rivoluzione in altre parti del Sud America.

Chavez si appropriò di ogni leva di potere e smantellò la democrazia in Venezuela, ma il colpevole di tutti mani rimaneva per lui sempre e solo l’ “impero” (il nome con cui Chavez chiamava gli Stati Uniti). Attaccò la vecchia guardia e gli oligarchi che avevano fatto la ricchezza del Venezuela strigliando i media, fino a minare la sua stessa credibilità.

Chiunque fosse in disaccordo con lui era immediatamente dichiarato nemico e la retorica della dannazione politica varcava ogni frontiera per demonizzare tutti coloro che lui voleva fossero colpevolizzati per i problemi del Venezuela.

In sintesi i populisti latino americani attribuivano la colpa dei problemi del paese all’intero establishment che li aveva preceduti, perché, a loro dire, i problemi potevano essere facilmente risolti, ma…solo da loro!

Il ricco, il ben connesso, i media, il Fondo Monetario Internazionale, i banchieri: tutti diventavano il nemico a mano a mano che il culto della personalità di questi leader veniva costruito.

Comune alle ideologie del culto: il potente presidente riceveva merito per ogni sviluppo positivo e non era mai colpevolizzato per qualcosa di negativo.

In America Latina, gli uomini che venivano eletti come populisti iniziavano il percorso di governo smantellando molte delle norme democratiche con cui loro stessi erano arrivati al potere.

Erosione delle istituzioni democratiche in Nicaragua

Ortega in Nicaragua è stato da poco rieletto per il suo terzo mandato consecutivo, il suo quarto incarico come presidente nel complesso della sua carriera.

La strada di Ortega alla rielezione è stata costellata da controversie. I critici puntavano il dito all’erosione delle istituzioni democratiche avvenuta durante le sue due passate amministrazioni.

Nel 2010, la Corte Suprema del paese spianava la via per la sua rielezione dichiarando il divieto costituzionale sulla rielezione “inapplicabile”.

Nel 2014, un emendamento costituzionale disponeva per rielezioni indefinite, mentre le vittorie alle urne nel 2011 e nel 2012 assicuravano al FSLN (Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale – il partito di Ortega) il controllo delle istituzioni del paese.

Quest’anno la Corte decide di trasferire la leadership del principale partito di opposizione ad una storica fazione all’interno del partito stesso; i membri della vecchia leadership, dopo essersi rifiutati di riconoscere i nuovi vertici di partito o finanche incontrarli, vengono invitati a lasciare liberi i loro seggi nell’Assemblea Nazionale.

Il colpo di grazia, secondo l’opposizione, alla democrazia in Nicaragua arriva quando la moglie di Ortega, Rosario Murillo, viene nominata vice presidente.

In tutto questo però l’immensa popolarità di Ortega è rimasta sempre alta, godendo, quotidianamente di un tasso di approvazione pari a più del 70%; una delle percentuali più alte per un presidente nel mondo.

Se Ortega riuscirà a tenere alta la sua popolarità questo è tutto da vedere. Alcuni fattori sono fuori dal suo controllo: la crisi in Venezuela, per esempio, che minaccia l’accesso ai prestiti a basso interesse utilizzati per finanziare programmi sociali popolari e vitali. Mentre le previsioni finanziarie e di investimento rimangono positive per il Nicaragua, i tagli a questi programmi potrebbero minare la popolarità di Ortega.


In America Latina molti cittadini vedono le legislature come impedimenti per il progresso, per alcuni esse sono addirittura sacrificabili.

L’esperienza dell’America Latina ci rivela qualcosa:

le persone nel lungo periodo si stancano dei demagoghi populisti, ma trovano molto più difficoltoso ribaltare i danni che questi leader hanno prodotto,

anche in considerazione del fatto che le persone che li hanno portati al potere non si sarebbero mai aspettate che le circostanze si modificassero a loro danno.

Ottobre 29 2016

Venezuela: verso l’abisso dell’autoritarismo

Venezuela

Venezuela: sempre di più nell’abisso dell’autoritarismo. La resistenza civile potrebbe essere una soluzione se sostenuta dalla comunità internazionale.

Venezuela: la situazione politica

Il Presidente Maduro ed il suo governo socialista stanno muovendo costantemente il paese verso l’abisso. Sebbene Maduro sia stato eletto con voto popolare nel 2013 il sistema di governo del Venezuela non può più, ragionevolmente, essere denominato “democrazia”.

La scorsa settimana il Consiglio nazionale elettorale ha ordinato all’opposizione di fermare la pressione per il referendum popolare sul governo Maduro. L’opposizione si è adoperata con grande fatica nell’ottemperare a tutti gli stringenti requisiti necessari per indire il referendum, disposizioni contenute nella Costituzione del Venezuela che però fu scritta sotto la stretta supervisione di Chavez.

Nel momento in cui l’opposizione si prepara a lanciare la campagna per le firme di massa, le autorità elettorali dichiarano di aver riscontrato irregolarità e fermano l’intero processo. Questo vuol dire che il partito unito socialista di Maduro (PSUV) resterà al potere fino alla fine  del 2019.

Se il referendum venisse tenuto prima del 10 gennaio e Maduro perdesse, si dovrebbero tenere delle nuove elezioni immediatamente. Se invece si tenesse dopo questa data, la costituzione delega il vice presidente a portare a termine il mandato che appunto scade nel 2019.

Con il paese che affonda sempre più nella disperazione, l’opposizione ha aggrappato le sue speranze alle disposizioni costituzionali che permettono, per plebiscito, di rimuovere un presidente eletto. Quando il Consiglio elettorale ha frantumato le speranze sul plebiscito, l’opposizione si è riunita in una sessione d’emergenza e ha dichiarato che Maduro ha condotto un coup d’état, accusandolo di aver distrutto l’ordine costituzionale in un assalto contro “la costituzione e il popolo venezuelano”. Quindi ha stabilito di lanciare il procedimento di messa in stato d’accusa contro di lui.
A questo punto il governo dichiara che è stata l’Assemblea Nazionale ad aver condotto il coup, cercando di far decadere il presidente legittimo del paese.

Nel momento in cui l’Assemblea dibatteva la messa in stato d’accusa del Presidente, i militari dichiarano di stare a fianco di Maduro. Tutto ciò non è una sorpresa dal momento che Maduro e prima di lui, Chavez, si sono assicurati che le fila dei militari fossero riempite da loro fedelissimi.

Il governo ha preso il controllo di praticamente tutte le istituzioni, mentre la Suprema Corte, dominata dai socialisti ha fatto diventare l’Assemblea Nazionale un apparato simbolico, per il quale ogni disputa di grande importanza in chiave elettorale diventa un oltraggio alla Corte.

Maduro, inoltre, ha assunto i poteri d’emergenza che gli permettono di aggirare la legislatura, infatti recentemente ha unilateralmente promulgato un nuovo budget nazionale.

I venezuelani si riversano nelle strade come hanno fatto anche il 26 ottobre, ma il governo risponde con misure che esacerbano le tensioni rendendo una pacifica soluzione politica sempre più difficile.

Venezuela: la vasta crisi umanitaria

La crisi che assume un carattere sempre più nefasto travolge i venezuelani in una rapida spirale economica che ha già devastato le condizioni di vita dei cittadini creando una vera e propria crisi umanitaria di larga scala.

Il tasso di povertà in Venezuela è salito al 75% della popolazione; la povertà è cresciuta di pari passo con il deterioramento economico e sociale.

Il crimine è balzato alle stelle e milioni di persone sono affamate per la mancanza di cibo, medicine e di ogni prodotto immaginabile.

Secondo Human Right Watch il Venezuela è nel mezzo di una profonda crisi umanitaria peggiorata da un risposta del governo inadeguata e repressiva.
Il Fondo Monetario Internazionale predice che l’economia si contrarrà per un altro 10% quest’anno, con un’inflazione al 475% che quadruplicherà l’anno prossimo.

Malgrado molti osservatori sono d’accordo nel ritenere che la principale causa del collasso economico siano le politiche economiche errate, l’inettitudine manageriale e la corruzione, Maduro continua a dare la colpa al “complotto capitalista”.

Venezuela: il dialogo è la via di uscita dalla crisi?

La crisi in Venezuela ha creato allarme tra i paesi vicini e gli osservatori. Lunedì scorso, dopo le pressioni di Papa Francesco, Maduro ha dichiarato di essere d’accordo nel tenere colloqui con l’opposizione. Tuttavia ci sono flebili speranze che ciò accada e che produrrà risultati.

Per i governi vicini in particolare, il dialogo è ancora visto come la migliore via per tentare di risolvere la crisi venezuelana. L‘Unione delle Nazioni sud americane ha sponsorizzato uno sforzo di mediazione da parte degli ex presidenti di Panama (Martin Torrijos), della Repubblica domenicana (Leonel Fernandez) e l’ex primo ministro spagnolo (José Luis Zapatero). Papa Francesco ha intrapreso un ruolo prominente nel processo di dialogo, annunciando un nuovo inviato della Santa Sede l’arcivescono Emil Paul Tscherrig in Venezuela. La Santa Sede ha il vantaggio di essere uno dei pochi attori esteri che gode del rispetto sia del governo venezuelano che dell’opposizione. Persino l’Argentina, il Brasile, la Colombia ed il Messico sempre più critici per la deriva non democratica del paese ritengono che la migliore soluzione sia il dialogo.

Non è chiaro se ci sia qualcosa che il governo voglia discutere

Le recenti decisioni di sospendere la richiesta di referendum e le elezioni dei governatorati sono state pessime scelte per il governo. Per cui andare incontro alle richieste dell’opposizione, come il rilascio dei prigionieri politici o riconoscere i diritti costituzionali e le prerogative della legislatura sembra piuttosto improbabile.

Le proteste contro il regime del 26 ottobre hanno incontrato l’ampia repressione (fuori dalla capitale Caracas) della polizia e della Guardia Nazionale che hanno lavorato insieme con organizzazioni informali paramilitari chaviste conosciute come colectivos.

Interessante che il regime abbia deciso di aumentare il suo braccio repressivo affidandosi ai paramilitari piuttosto che all’esercito regolare; conseguenza delle latenti spaccature all’interno delle forze armate venezuelane.

Fondamentalmente, Maduro e il suo circolo non possono rischiare negoziazioni che potrebbero condurre alle elezioni come programmato originariamente che quasi certamente perderebbero.

Perdere il referendum, qualora si dovesse tenere entro quest’anno, vorrebbe dire nuove elezioni presidenziali, con il rischio che funzionari del regime coinvolti in corruzione, traffico di droga e abusi dei diritti umani siano resi responsabili di tali crimini.

Svolgere le elezioni nei governatorati vuol dire per Maduro un altro rischio per se stesso. Ad oggi, la maggioranza dei governatori in Venezuela provengono dal suo partito politico e sono la chiave per mantenere il potere del regime ed eseguire i suoi piani. Le elezioni quasi certamente rovescerebbero questa situazione ed il trasferimento di molte istituzioni a livello statale nelle mani dell’opposizione.

Resta difficile cogliere la ragione per cui il regime di Maduro dovrebbere correre il rischio di perdere l’impunità di cui gode oggi per impegnarsi in un dialogo significativo o permettere le elezioni.

Sono molto abili nel ponderare il rischio di permettere che istituzioni democratiche funzionino (presumibilmente conducendole a perdere potere) contro il costo di imporre un regime autoritario; costo, al momento, non molto alto per il regime, ma sempre più mortale per i venezuelani.

Ciò vuol dire che l’opposizione ha bisogno di incrementare i costi del regime nella sua odierna traiettoria autoritaria.

La resistenza civile

Nel libro: “Why Civil Resistance Works: the Strategic Logic of Nonviolent Conflict” di Erica Chenoweth e Maria J. Stephan (Columbia University Press) si afferma che le campagne di resistenza attiva sono più efficaci quando attraggono il supporto di massa, quando producono delle defezioni all’interno del regime al potere, quando coordinano l’uso di tattiche variegate e flessibili per aumentare la pressione sulla dittatura.

L’opposizione in Venezuela

Organizzata sotto il nome di Tavola rotonda di unità democratica (Mesa de Unidad Democrática – MUD) è stata in grado di riunire un grande numero di manifestanti. Tuttavia non è in grado di porre pressione sui servizi di sicurezza o indurre membri del governo a riconsiderare il loro sostegno a Maduro. Il MUD detiene il 54% del supporto tra i venezuelani, ma la sua unità è messa spesso a dura prova da disaccordi sulla strategia.

Che fare?

La società civile e politica potrebbe iniziare ad incrementare il sostegno alla resistenza civile dell’opposizione. Ciò include la fornitura di consulenti, incoraggiarli a sviluppare una campagna sostenibile. (Negli anni ’70 questo sostegno fu cruciale e potrebbe rivelarsi ancora tale).

Gli Stati potrebbero continuare ad alzare i costi, dove possibile, per l’amministrazione Maduro e i suoi sostenitori nel governo e nei servizi di sicurezza per il comportamento repressivo. Sanzioni precise, azioni penali, congelamento dei beni. L’azione diplomatica degli Stati di condanna alla deriva autoritaria del Venezuela è diminuita fortemente.

Una campagna di resistenza civile prolungata da parte dell’opposizione ed il sostegno internazionale dovrebbero cambiare l’equazione costi/benefici del regime di Maduro nel portare avanti l’attuale strategia. Fondamentalmente il cambiamento in Venezuela arriverà dall’interno.

È utile tenere a mente che le campagne civili di resistenza sono spesso lunghe e difficili: trascorsero 8 anni dalla fondazione del movimento Solidarność che portò dalla transizione alla democrazia in Polonia nel 1989.

Senza l’alterazione dell’equazione costi – benefici per il regime, è improbabile che il dialogo in Venezuela generi risultati significativi.