Dicembre 14 2015

COP21, accordo di Parigi: capirci qualcosa

accordo _ COP21

COP21: accordo di Parigi, cerchiamo di capire cosa significa questo accordo e se è così “storico” come ci vogliono far credere.

Innanzitutto liberiamoci degli acronimi e vediamo cosa significa COP. COP = Conference of the Parties. E’ un organo decisorio dell’ UNFCC (United Nations Framework Convention on Climate Change).  Quest’ultimo è un trattato internazionale che riunisce 195 paesi con l’obiettivo di gestire la sfida globale del cambiamento climatico. Ogni stato che è parte del UNFCCC è rappresentato nella COP. Le negoziazioni possono abbracciare qualsiasi tematica ricada nello scopo del UNFCCC, ma in pratica esse seguono l’agenda formale che è determinata attraverso le decisioni del COP. L’UNFCCC opera secondo consenso, questo vuol dire che ogni stato/parte può bloccare una decisione. La COP si incontra annualmente. La prima COP si è svolta a Berlino nel 1995, durante la COP 3 fu adottato il Protocollo di Kyoto. Nella COP11 fu prodotto il piano di azione di Montreal, nella COP15 a Copenhagen non fu possibile raggiungere un accordo che potesse succedere al Protocollo di Kyoto. Nella COP17 a Durban fu creato il Green Climate Fund. Nel 2014 la COP20 si tenne a Lima.

Come dovremmo valutare l’ Accordo di Parigi?

E’ un accordo storico, come è stato detto in tutte le conferenze stampa di tutto il mondo? Se ci si focalizza sul contenuto modesto, non sembra affatto qualcosa di storico. L’accordo prevede situazioni positive: richiede ai paesi di presentare “contributi nazionali determinati”, cioè l’impegno circa quello che faranno per ridurre le emissioni; prevede trasparenza e revisione così da rendere i paesi responsabili per ciò che dicono. Prevede una catalogazione globale ogni 5 anni e un processo per aggiornare i contributi nazionali determinati, allo scopo di aumentare le ambizioni nel corso del tempo.

Tuttavia è un errore spacciare questi risultati come “grandiosi”. I contributi nazionali determinati presentati prima di Parigi sono immediatamente falliti nel porre il mondo nelle condizioni di tenere la temperatura al di sotto dei 2° C.  E’ essenziale tenere presente che i contributi nazionali determinati dei paesi non sono vincolanti legalmente.

C’è poco di nuovo nell’ accordo circa l’adattamento ed il finanziamento. In più le clausole che riguardano la trasparenza e la revisione sono scheletriche ed avranno bisogno di essere arricchite da decisioni successive. Malgrado la sua relativamente modesta sostanza, l’accordo di Parigi è potenzialmente cruciale perché completa lo spostamento di paradigma dal mondo biforcato del Protocollo di Kyoto il quale distingueva rigidamente tra i paesi dell’ annesso I e quelli del “non annesso I”, verso un quadro comune globale emerso nell’ accordo di Copenhagen.

La criticità forse più significativa dell’accordo di Pargi è ancora il “sistema volontario”: non ci sono meccanismi vincolanti o chiare vie di applicazione affinché gli stati si conformino ad esso.  L’accordo di Parigi, pur basandosi sull’ ambizioso obiettivo di tenere il riscaldamento sotto i 2° C,  lascia il pianeta ancora vulnerabile a maggiori impatti. Monbiot afferma che l’accordo è “comicamente sbilenco”, soprattutto per ciò che concerne il consumo di combustibile fossile, ignorando la parte della produzione di quest’ultimo: “ fino a quando i governi prometteranno di tenere i combustibili fossili sotto terra, continueranno a minare l’accordo che hanno appena siglato”.  Questo è probabilmente il compito più difficile per l’umanità: tenere 4/5 delle riserve conosciute di petrolio nella terra, il carbone nelle cavità e il gas sotto l’erba. Malgrado qualche dichiarazione sulla “giusta transizione” per i lavoratori e la “diversificazione” per le nazioni che eccessivamente sono dipendenti dai combustibili fossili, l’accordo ci fornisce poche indicazioni su come le nazioni, le comunità e i lavoratori si staccheranno definitivamente dalla fonte di guadagno che giace sotto i loro piedi. Come le potenti compagnie di combustibili fossili saranno reindirizzate verso un’economia a zero carbone? Questo resta un mistero, e non rende certo questo accordo in nessun modo “storico”.