Luglio 5 2017

Rifugiati: occhi chiusi per 6 anni e poi la colpa è del maggiordomo

rifugiati

I numeri sono questi:

65.6 milioni di persone nel mondo sono state dislocate forzosamente alla fine del 2016, di questi 40.3 milioni dislocate all’interno dei loro stessi paesi, mentre 22,5 milioni hanno varcato frontiere internazionali come rifugiati. Un ulteriore 2,8 milioni sono richiedenti asilo.

Un campo rifugiati può essere molto utile quando le persone immediatamente abbandonano la guerra o la persecuzione. È un modo per fornire cibo, vestiti e riparo. Ma la tragedia è che queste persone restano bloccate in un limbo per molti molti anni.
Oggi, circa il 54% dei rifugiati nel mondo sono in quelle che vengono definite situazioni di rifugiati protratte. Sono state in esilio per almeno 5 anni. Secondo le Nazioni Unite, la media di durata di un un esilio è di 26 anni.

Dalla prospettiva di un rifugiato, il sistema internazionale dei rifugiati di fatto dispone di tre opzioni.

  • La prima è di andare in un campo, dove usualmente non lavori. E sì, hai un grado di assistenza umanitaria, ma la tua vita è messa in attesa. E comprensibilmente, una proporzione in diminuzione di rifugiati intraprende questa opzione. Circa il 10% dei siriani, per esempio sono nei campi di rifugiati.
  • L’opzione due è spostarsi in un’area urbana. Oggi i rifugiati sono  in aree urbane che in altri posti. Circa più del 50% sono nelle città. Ma la sfida nelle città è che i rifugiati spesso non hanno il diritto di lavorare e spesso non hanno alcuna assistenza umanitaria.
  • La terza opzione è di imbarcarsi in pericolosi viaggi in Europa.

Queste opzioni sono scelte impossibili.

Un modello di sviluppo economico realizzato da rifugiati insieme ai cittadini della nazione che li ospita

Il governo inglese ha aperto la strada a questo tipo di modello con un’iniziativa per la Giordania chiamata “Jordan Compact” che è iniziata nel febbraio del 2016 al summit di Londra per la Siria.

Le basi di questo modello: il sostegno ad opportunità di lavoro simultaneamente per i rifugiati siriani e per i cittadini giordani in parte attraverso l’autorizzazione ad entrambi a lavorare nelle zone economiche speciali. Il governo inglese ha incoraggiato l’Unione Europea a fornire un segmento nel commercio a 52 categorie di prodotti per compagnie manifatturiere che operano in 18 zone economiche speciali che impiegano una certa proporzione di rifugiati siriani. Un certo numero di aziende siriane, che precedentemente operavano in Siria, stanno impiegando rifugiati siriani e cittadini giordani, dando loro accesso a permessi di lavoro assegnati in modo conveniente dal governo, che fornisce accesso alla sicurezza sociale, un salario minimo e protezione dei diritti dei lavoratori.
Quello che manca a questo progetto, al momento, è un sufficiente investimento da parte di imprese multinazionali e di imprese in Europa preparate a lavorare con queste imprese che permetterebbe un modello di crescita industriale. Il governo della Giordania e i maggiori donatori si sono impegnati a creare 200,000 posti di lavoro per i siriani dai 3 ai 5 anni. Fin’ora i permessi di lavoro sono stati concessi a 51,000 persone in solo un anno o poco più. Sebbene sia un grande passo in avanti è necessario un investimento che raggiunga il livello di sostenibilità che permetta alla Giordania, che deve affrontare grandissime sfide di sviluppo e sicurezza, di convincere il suo elettorato che la presenza di rifugiati può essere un beneficio per la società giordana e per la sua economia.

La noncuranza dell’Unione Europea rispetto ai conflitti e alle crisi nei paesi al di là del mare

È molto interessante che i movimenti dei rifugiati siriani siano iniziati intorno al 2011 e fino all’ottobre del 2014 quasi tutti i siriani sono rimasti nei paesi vicini. Ma intorno ad ottobre 2014, tutti e tre i paesi ospitanti: Turchia, Libano e Giordania, hanno introdotto restrizioni. Queste ultime e la riduzione dell’assistenza umanitaria in questi paesi ha fatto sì che per i rifugiati diventasse molto più necessario muoversi altrove o imbarcarsi in pericolosi viaggi.

Questo era evitabile.

Se i paesi europei non avessero incrociato le braccia, chiuso gli occhi e non si fossero letteralmente girate dall’altra parte e fatto così poco per aiutare questi tre paesi, si sarebbero create molte più opportunità rispetto ad oggi, opportunità per i rifugiati insieme al sostegno per i paesi ospitanti.

Del resto le politiche UE sull’asilo e l’immigrazione sono state fangose fin dall’inizio della così detta “crisi dei rifugiati” e gli stati membri continuano ad avere difficoltà nel trovare una azione collettiva sostenibile. Ovviamente è corretto che i paesi europei e i loro elettorati siano preoccupati di una migrazione irregolare non gestita, ma hanno responsabilità quando si tratta di protezione dei rifugiati.
Molte delle odierne politiche riguardano la costruzione di muri de facto e la creazione di partneriati puramente con l’obiettivo di controllare l’immigrazione. Così molti di questi partneriati con paesi terzi in Africa, Sudan Niger e Libia, per esempio, sono con regimi che hanno realmente gravi problemi con i diritti umani e che sono progettate per implementare restrizioni alla mobilità e nessuna opzione per la riammissione di migranti economici. Questa è una strada insostenibile per gestire questo movimento di persone. Se realmente vogliamo aiutare i rifugiati e fermarli nei viaggi verso l’Europa, dobbiamo creare ancore. Noi dovremmo creare ragioni per cui le persone scelgono di restare nelle loro regioni e questo vuol dire creare opportunità sostenibili per una protezione effettiva, accesso ai diritti umani ma anche opportunità socio-economiche.

Febbraio 26 2017

Polonia continua a marciare verso l’autoritarismo. Le risposte UE? Inefficaci!

Polonia

La Polonia continua la sua marcia verso l’autoritarismo e l’Unione Europea, tra l’incudine e il martello, risponde fievolmente. Perché?

Per rispondere a questa domanda dobbiamo innanzitutto partire dagli ultimi accadimenti in Polonia, esattamente dal gennaio 2017.

Polonia: la situazione politica 

L’occupazione nell’intero mese di gennaio del Parlamento polacco da parte dell’opposizione è terminata, tuttavia le divisioni politiche, profonde, dietro l’ultima crisi polacca restano. Il sit-in nel Parlamento è iniziato a metà dicembre dello scorso anno, quando un parlamentare del principale partito di opposizione, “Piattaforma civica”, è stato espulso dalla Camera per aver utilizzato il dibattito sul budget per protestare contro i piani governativi di limitare l’accesso dei media al Parlamento, ignorando gli ordini del Presidente della Camera di lasciare l’aula.

La circostanza per cui l’opposizione sia ricorsa ad un’occupazione della legislatura è indicativo della sua debolezza politica, ma il governo populista di “Diritto e Giustizia” è emerso in tutta la sua oscurità.

L’occupazione del Parlamento si è conclusa quando il governo ha effettuato alcune concessioni  sull’accesso ai media al Parlamento.

Il timore è che la Polonia possa precipitare in un nazionalismo autoritario o anche peggio, minare l’UE in un momento cruciale.

Il governo polacco ha introdotto dei forti cambiamenti, incluso un controllo maggiore sui media statali e sul potere giudiziario.

La mossa più controversa del governo è stata la riforma della Corte Costituzionale, di cui vuole cambiarne la composizione e il funzionamento.

Accusato di voler demolire la democrazia e le regole di diritto, il governo polacco si difende insistendo che le riforme sono necessarie per indebolire la presa al potere di quella che in realtà, seppur lontana, resta un élite corrotta che ha perso il contatto con i bisogni dei cittadini polacchi e con i loro valori.

Malgrado la crisi parlamentare, il sostegno al governo si è rivelato particolarmente solido, sostenuto da una generosa spesa sociale e da manifestazioni del governo contro le “vecchie élite liberali”.

Nei piani del governo ci sono anche le riforme militari per rimuovere ufficiali di grado elevato, che, sempre a dire del partito “Diritto e Giustizia”, ingiustamente godono di benefici derivanti dal governo precedente. Inoltre il governo polacco intravede un potenziale cambiamento nella legge elettorale.

Più che un grande rischio per la democrazia o la libertà in Polonia, si sta assistendo ad uno spostamento nella ideologia al potere verso il conservatorismo.

La presa al potere di Jarosław Kaczyński, il Presidente e fondatore del partito al potere, sembra per altri versi essersi ammorbidita nella sua politica sui media in parlamento, sul quasi completo divieto dell’aborto e sulla riforma dei media statali.

Il presidente della Repubblica polacca, Andrzej Duda, esponente del partito “Diritto e Giustizia”, non ha firmato una legge controversa che potrebbe limitare la libertà d’assemblea. La legge aveva come obiettivo di fornire una base giuridica per rendere prioritarie le manifestazioni ritenute dalle autorità di importanza nazionale, come anniversari storici, rispetto ad altri tipi di manifestazioni o assemblee.
Criticata aspramente dalla Corte Suprema e da gruppi della società civile, il Presidente Duda ha dichiarato che la legge in questione è stata inviata alla Corte costituzionale per essere esaminata.

La risposta dell’UE alla marcia autoritaria della Polonia

Il ministro degli esteri polacco, Witold Jan Waszczykowski, all’inizio di questa settimana, ha risposto all’Unione Europea riguardo le raccomandazioni della Commissione Europea sullo stato di diritto nel paese.

I timori della Commissione Europea convogliano attorno alle decisioni del partito al potere, “Diritto e Giustizia”, che indeboliscono la capacità della Corte Costituzionale di agire come organo di controllo sul potere esecutivo.
Il vice Presidente dell’UE Frans Timmermas già l’anno scorso temeva un “rischio sistemico” rispetto al sistema di legge polacco. Nel dicembre 2016 aveva inviato delle raccomandazioni non vincolanti alla Polonia, in relazione al sistema giuridico nazionale polacco, accordando al paese due mesi di tempo  per inviare una replica. Scaduto il termine, il ministro degli esteri polacco dichiara di aver inviato alla Commissione Europea tutte le spiegazioni, peraltro di natura sostanziale, riguardo alle regole giuridiche relative alla Corte Costituzionale, in ottemperanza agli standard europei.

Tuttavia Waszczykowski si spinge molto più in avanti accusando Timmermans di voler marginalizzare la Polonia e di violare la sovranità nazionale polacca.

La Merkel rifiuta un confronto diretto con Kaczynski e le minacce di sanzioni da parte della Commissione Europea devono necessariamente sotterrare l’ascia di guerra o il rischio di un’intensificazione della tensione tra Polonia e UE aumenterà.

L’aspettativa generale, tuttavia, è che ogni mossa verso sanzioni europee sarebbe bloccata dall’Ungheria, un alleato tradizionale della Polonia. Il primo ministro ungherese, Viktor Orban, euroscettico che ha iniziato un corso autoritario nel suo paese, ha fatto fronte comune con Kaczynski.

La Gran Bretagna potrebbe essere tentata dal bloccare le sanzioni come parte della politica di costruzione di rapporti con il gruppo di Visegrad: Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca, visti anche i legami del partito conservatore con quello “Diritto e Giustizia” a livello europeo.

Dato il valore geopolitico della Polonia in un momento storico di  accresciuto rischio globale, Berlino si rende conto che il partito “Diritto e Giustizia” è li per restare e nell’odierno dibattito sul futuro dell’Europa, la Merkel e Kaczynski hanno molto più in comune che la Merkel e Orban.

 

Il rapporto tra la Merkel e Kaczynski  potrebbe vedere la Germania in una posizione più “comprensiva” nei riguardi della Polonia, attenuando le diffidenze internazionali riguardo al partito “Diritto e Giustizia”, al momento giusto: vale a dire quando i suoi oppositori nel paese iniziano ad avvertire segni di debolezza del partito.

Marzo 18 2016

I migranti diventano merce

Migranti

I migranti diventano merce secondo l’accordo dell’Unione Europea che possiamo tranquillamente chiamare l'”Accordo della Turchia”.

Una pagina imbarazzante della storia dell’Unione Europea e per la dignità della persona umana, soprattutto per coloro che sono stati costretti a scappare dalle loro case a causa di conflitti, persecuzioni. 

L’Unione Europea (UE) e la Turchia hanno raggiunto, all’unanimità, l’accordo sui migranti, parola di Donald Tusk intorno alle 17, 15 circa di venerdì 18 marzo 2016.
Come ha scritto il primo ministro finlandese su Twitter: “The Turkey deal has been approved”. E sì.

Migranti: la Turchia detta le regole

La Turchia ha dettato le sue regole. Tutti i rifugiati e migranti che arriveranno in Grecia da domenica saranno rimandanti in Turchia. L’accordo sembra più un contratto di scambio merce che un’azione volta alla soluzione del problema del flusso massiccio di migranti. La Turchia in cambio avrà la riapertura dei colloqui per l’accesso all’Unione Europea con la promessa che le negoziazioni saranno riaperte prima di luglio.
Ma il pezzo forte è questo, l’UE ha accordato la velocizzazione dell’esborso di ben 3 miliardi di euro alla Turchia per aiutare i rifugiati siriani in Turchia. Ulteriori 3 miliardi per il 2018 una volta che Ankara abbia compilato una lista di progetti che si possano qualificare per l’assistenza dell’UE. Quello che fa gola a Davutoglu oltre al denaro è il viaggiare in Europa senza visto, per i suoi 78m di cittadini. Grande vittoria, l’abolizione dei visti per la leadership turca. La rimozione del processo di visto è un gran salto in avanti della popolarità del Justice and Development Party al governo.
La Turchia ha promesso che tutte le persone che torneranno saranno trattate in linea con il diritto internazionale, inclusa la garanzia che non saranno rispedite nei paesi da cui provengono. Turchia, paese che da sempre ha eccelso nella protezione dei diritti umani!
Il controverso accordo 1 a 1 rimane intatto: per ogni rifugiato siriano che l’UE rimanda in Turchia, un siriano in Turchia avrà una nuova casa in Europa.

Il diavolo è nei dettagli

Il numero dei siriani che possono essere rilocati in Europa dalla Turchia è di circa 72,000 molto meno di quello che le agenzie internazionali hanno Migrantiraccomandato: 108,000. Lo schema di rilocazione sarà fermato quando 72,000 persone saranno rilocate in Europa. E dopo? NON SI SA!
L’alto commissario per i rifugiati delle Nazioni Unite ha sollevato preoccupazioni sulla legittimità nel diritto internazionale e nel diritto dell’Unione Europa, esprimendo disagio sul generalizzato ritorno di stranieri da un paese all’altro. Amnesty International ha definito la proposta “colpo mortale” per i diritti dei rifugiati. Mentre i leader europei credono che le questioni legali possano risolversi dichiarando la Turchia un “terza parte sicura”, questo concetto fa venire i capelli dritti non solo ad Amnesty, ma a tutti noi!
In principio, il diritto internazionale, “rinforzato” dall’Alto Commissario per i Rifugiati delle Nazioni Unite, fornisce un quadro per affrontare questo tipo di crisi. La Convenzione sui rifugiati del 1951 identifica sia gli individui legittimati alla protezione internazionale – coloro con delle ben fondate paure di persecuzione – e quali sono le minime responsabilità degli stati verso questi individui, in particolare il dovere di non ritorno in quei posti dove sarebbero perseguitati. Quando si è scritta la Convenzione del 1951, gli stati si sono esplicitamente impegnati in un principio chiave: avrebbero agito insieme in un “vero spirito di cooperazione” che avrebbe fornito delle soluzioni durature per la difficile situazione dei rifugiati.
Com’è stata la risposta dell’Europa nei termini di questo quadro?
In relazione all’identificazione di coloro che hanno bisogno di protezione, la risposta dell’UE è stata, nel migliore dei casi, mista. Da una parte, c’è stato un consenso, che, dati i violenti conflitti religiosi e politici che scuotono la Siria, coloro che lasciano il paese sono rifugiati secondo i termini della convenzione. Tuttavia, questa identificazione non ha incoraggiato gli stati ad aprire delle rotte legali per i siriani che viaggiano verso l’Europa, non ha prevenuto stati come la Danimarca di minacciare di sequestrare i beni dei rifugiati che arrivano come misura di deterrenza per  nuovi arrivi.
Malgrado le istituzioni comuni, gli stati dell’UE hanno agito in radicali contrastanti vie. L’entità della difficile situazione dei siriani ha teso a legittimare pratiche degli stati per cui si chiude un occhio alle rivendicazioni di protezione di persone di altre nazionalità. E’ evidente dalla chiusura della frontiera macedone: ai siriani e agli iracheni; nell’impegno della Gran Bretagna a ricollocare solamente i siriani – e solo quelli dei campi di rifugiati nella regione. Identificare coloro che hanno bisogno di protezione solo come rifugiati da specifici paesi rischia di violare le norme sui rifugiati, perché ignora i pericoli in cui particolari individui possono incorrere.
Molti stati europei, ansiosi di non vedere più nuovi arrivi, hanno argomentato che la protezione deve essere fornita in qualunque posto fuorché al loro uscio. Alcuni hanno dichiarato che coloro che cercano protezione dovrebbero stare nel paese di primo arrivo in Europa, tipicamente Grecia o Italia.

Migranti
Questo approccio europeo che ha dato vita a questo accordo è problematico moralmente e legalmente. La Turchia non è firmataria di tutta la Convenzione sui rifugiati; ha una dubbia storia di protezione dei diritti umani e prevenire i rifugiati dal lasciare il paese sembra proprio violare il diritto dei rifugiati di cercare asilo.
Finora abbiamo visto quanto poveramente l’Europa si è adoperata per lo “spirito di cooperazione” che è stato immaginato dai firmatari della Convenzione sui rifugiati. Svezia e Germania hanno mostrato livelli di apertura senza precedenti, mentre Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia e Slovacchia, hanno agito in vie che vanno dal filo spinato alla selezione delle richieste di asilo. Il principio di non refoulement, che proibisce espressamente di rimandare i rifugiati verso un un paese dove le loro vite sarebbero minacciate, sancito dalla Convenzione sui rifugiati, sostiene il diritto internazionale dei diritti umani e sembra essere stato messo da parte.

Un giorno triste per l’umanità.

Gennaio 9 2016

Finché la Polonia va l’Unione Europea la lascia andare

Polonia

La Polonia tra bavaglio ai media e pugno duro con la Corte Costituzionale preoccupa Bruxelles e gli Stati Uniti.

Un altro paese conservatore dell’Unione Europea, che parla alla gente di come la debolezza dei funzionari europei minacci i loro interessi.

Nel pensare l’argomento di questo post, mi sono soffermata un attimo a riflettere ad una domanda che mi è stata rivolta qualche settimana fa. “Perché in Italia non si parla di politica internazionale?”. Desidero allora cogliere l’occasione di rispondere e precisare perché il mio blog tratta di alcuni argomenti “impopolari”.

La politica internazionale in Italia si risolve quasi sempre attorno agli argomenti generalisti, quelli per cui i giornali riescono a vendere più copie. Quelli per cui molti politici ci fanno campagna elettorale. Molti paesi escono completamente dall’occhio delle relazioni internazionali italiane, un po’ per la superficialità del governo e del suo ministro degli esteri, ma molto perché appunto non fanno audience. La politica internazionale non deve fare gossip; le relazioni internazionali, l’equilibrio del potere tra gli Stati, il fatto che apparati sovraordinati agli stati come l’Unione Europea  barcollino è un discorso complesso che deve necessariamente abbracciare la singola politica di tutti gli stati presenti nel mondo.

Per questo motivo oggi parliamo della Polonia, perché la debolezza dell’Unione Europea è anche nella spinta centrifuga dei suoi stati membri. La Polonia, come la vicina Ungheria, si sposta verso una linea conservatrice concentrata sul mantenimento e rafforzamento del potere locale, a discapito dell’equilibrio complessivo dell’Unione.

Il nuovo governo polacco, peraltro, preoccupa anche gli Stati Uniti. Le relazioni internazionali, per l’appunto, sono collegamenti anche apparentemente invisibili da un capo all’altro del mondo.

Polonia come Ungheria?

Il governo polacco, eletto recentemente, guidato dal partito Diritto e Giustizia, conosciuto in polacco come il PiS, si dipinge come un coraggioso condottiero contro una elite discreditata che agiva contro gli interessi dei polacchi.
Il precedente partito di governo di centro – destra, guidato da “piattaforma civile” nel chiaro tentativo di mantenere l’influenza sulla Corte Costituzionale nomina cinque membri, aprendo una crisi istituzionale che si acuisce con la vittoria schiacciante del PiS nelle elezioni di ottobre 2015, portando al potere il primo governo di maggioranza in Polonia dalla caduta del comunismo. La vittoria parlamentare segue la vittoria a sorpresa del candidato del partito, il giovane avvocato di Cracovia, Andrzej Duda, alla presidenza. La presidenza polacca è un titolo più “cerimoniale” che altro, ma il presidente è in grado di porre il veto sulle leggi e proporne di nuove.
Un mese fa la Corte Costituzionale polacca stabilisce che tre dei cinque giudici nominati da “piattaforma civile” erano costituzionali, ma Duda si rifiuta di farli giurare; ne nomina cinque nuovi, facendone giurare quattro durante una cerimonia notte tempo al palazzo presidenziale. Mossa questa di dubbia costituzionalità. La corte rifiuta i nuovi membri di Duda, ma il governo si spinge oltre. Una sessione infuocata del parlamento proprio a dicembre 2015, decide che tutte le decisioni della corte devono essere prese a maggioranza dei 2/3. Questa è la strategia per far accettare alla Corte le nomine del PiS e rallentare il processo di controllo della legislazione parlamentare da parte della Corte e, non da ultimo, diminuire i suoi poteri di bloccare nuove leggi.
Il 30 dicembre 2015, il parlamento in tutta fretta approva una nuova legislazione che concentra nel governo il controllo dei media dello Stato. I funzionari dell’Unione Europea hanno condannato la legge come una minaccia alla libertà di parola; ma ora questa è la legge in Polonia.
Duda ha descritto la Polonia come una vergogna, piuttosto strano visto il miglioramento degli standard di vita dei polacchi ed il suo processo di crescita come potenza diplomatica in Europa. Tuttavia Duda ed il PiS rappresentano milioni di polacchi che sentono di essere stati lasciati fuori dal boom economico o alienati dall’elite liberale. Ci sembra bizzarro tuttavia che nel partito di Duda siano presenti ex funzionari di quella elite post comunista tanto ostracizzata dal PiS.
Oggi, le somiglianze con il governo del primo ministro di estrema destra Orban nella vicina Ungheria sono impressionanti. Orban ha limitato la libertà dei media, prevaricato le organizzazioni non governative, emendato la costituzione a suo favore, tutto in nome di liberare l’Ungheria da elementi del suo passato comunista e dalla presunta corruzione degli anni post – comunisti.
Ben prima della crisi, gli oppositori del PiS hanno argomentato che il partito voleva veramente construire una Budapest sulla Vistola.

L’Unione Europea come Ponzio Pilato

Il PiS ha vinto la sua maggioranza grazie ai voti dei centristi, ma i sondaggi oggi indicano che molti di loro già si stanno allontanando dal partito in favore di un nuovo partito liberale chiamato “modern”, guidato da un economista: Ryszard Petru.

L’Unione Europea se ne lava le mani: il PiS può continuare ad utilizzare le critiche dei commissari non eletti a Bruxelles come maggiori prove in supporto della narrativa di una debole elite europea che minaccia gli interessi polacchi.

Il dipartimento di stato americano si è preoccupato dei cambiamenti in Polonia, soprattutto della guerra intestina governo/corte costituzionale. La Polonia è un alleato importante, strategico, per gli Stati Uniti, vista la sua collocazione geografica nell’est europeo e soprattutto perché la Polonia ha le più efficienti forze armate della regione.

Dicembre 31 2015

I quesiti lasciati in sospeso dal 2015

2015

Il 2015 ci lascia con questioni in sospeso: i giochi delle potenze a spese delle popolazioni già dilaniate da guerre civili. Africa, Medio Oriente, Europa, auguriamoci che il 2016 porti qualche risposta efficace.

I quesiti che il 2015 lascia aperti, sono purtroppo tanti. Alcuni più pressanti.

La Russia trionferà o sarà un epic fail in Siria?

Quest’anno il presidente Putin ha deciso di intervenire in Siria e questo avrà necessariamente un effetto di lungo termine sulla risposta che le grandi potenze daranno nelle prossime crisi. Se Mosca riuscirà ad aggiudicarsi un accordo di pace congeniale ai suoi interessi, i falchi dalla Cina e dagli Stati Uniti diranno che la forza militare è ancora un efficace mezzo nell’arte di governare mettendo una grande ombra sulle lezioni che si dovrebbero apprendere dal fallimento degli Stati Uniti in Iraq.
A Washington gli analisti invece prevedono che la Russia finirà per restare intrappolata in un pantano creato da essa stessa. Se questo sarà il caso allora le maggiori potenze diventeranno riluttanti nell’intervenire nelle nuove guerre.

Le coalizioni arabe sunnite riusciranno ad assumere il ruolo di “stabilizzatori” del Medio Oriente e del Nord Africa, minando ogni intervento esterno?

Uno degli interventi militari più significativi di quest’anno è stato l’incursione guidata dall’Arabia Saudita per cacciare i ribelli Houthi dallo Yemen. Riyadh è riuscita a mettere insieme una coalizione di alleati arabi sunniti, supportati da mercenari ben pagati. Questo intervento non è proprio andato liscio come l’olio, ha finito per rafforzare il potere dell’affiliato locale di Al Qaeda e gli arabi potrebbero rivolgersi alle Nazioni Unite per mandare i peacekeepers nel 2016. Tuttavia se i sauditi e i loro alleati concludono che malgrado i costi l’operazione in Yemen sia valsa la pena, potrebbero lanciare queste “missioni di stabilizzazione” nel Medio Oriente, Nord Africa negli anni a venire, minando i tentativi di incursione esterni nella regione.

L’Unione Europea sarà finalmente pronta per la gestione delle crisi?

L’Unione Europea si è sforzata di diventare una forza militare convincente per due decadi. Un po’ meglio è andata nel 2015, con le opzioni navali per gestire il traffico di migranti nel Mediterraneo. Tuttavia la crisi dei rifugiati, gli attacchi di Parigi, il disordine in Nord Africa gradualmente hanno spaccato l’Unione in cui ogni stato membro ha fatto i propri giochi di potere. Potremmo augurarci che il 2016 sia finalmente l’anno della serietà dell’Unione Europea nelle questioni di sicurezza.

Le potenze africane riusciranno a controllare il loro continente?

L’Unione Africana sta lavorando su piani di intervento per fermare la discesa verso il caos del Burundi. Se avesse successo potrebbe essere un buon passo verso la costruzione di qualcosa di meglio che le improponibili ed inefficaci missioni di stabilizzazione in Somalia ed il dispiegamento confuso nella Repubblica Centrafricana.

Il presidente della Repubblica Democratica del Congo, Kabila, riuscirà ad umiliare le Nazioni Unite?

Kabila sta cercando con grande determinazione e tenacia di aggirare la costituzione per vincere il terzo mandato al comando del più grande paese dell’Africa sub – sahariana, che ha ospitato i peacekeeper per 15 anni. Questo potrebbe rivelarsi un’enorme crisi di reputazione per le Nazioni Unite per aver “costruito” stati funzionanti che alla fine si rivelano dei grandi danni essi stessi. Tuttavia se Kabila decidesse di farsi da parte, sarebbe un segnale di successo per i caschi blu dopo le recenti battute d’arresto in Sud Sudan e Mali.

Riusciranno le grandi potenze ad eleggere come segretario generale delle Nazioni Unite, un vero manager delle crisi?

Nel 2017 ci sarà l’elezione del nuovo segretario generale ONU, in questo anno riusciranno a trovare uno diverso da Ban Ki – moon che ha sempre preferito stare nelle conferenze diplomatiche?

Ci auguriamo che il 2016 porti risposte concrete efficaci. BUON ANNO!

Settembre 4 2015

La crisi dei migranti in Europa: non esiste

L’afflusso dei migranti in Europa nel 2015 è dello 0.068% della popolazione europea. Esiste la crisi politica dell’Unione Europea dovuta all’incapacità di gestione dell’afflusso dei migranti da parte dei politicanti nostrani ed europei.

La retorica apocalittica, la foto di corpi alla deriva, di bimbi morti, ha preso la mano a molti, soprattutto ai populisti, ai giornalisti in cerca di un momento di gloria. Ignoranti, nel senso che ignorano se veramente esiste una crisi di migranti. Dopo aver pubblicato su facebook, su twitter, la foto del piccolo Aylan Kurdi e commentato con frasi strappa lacrime, vi siete chiesti se questa crisi esiste davvero?  Esiste solo una crisi politica e basta!

I numeri ci suggeriscono che molti dei migranti in Europa provengono da Afghanistan, Iraq, Siria, Somalia ed Eritrea. Un flusso che è più simile ad una goccia nella terra  che dovrebbe assorbirla. La popolazione europea è di circa 500 milioni, l’ultima stima del numero di coloro che entrano attraverso mezzi illegali in Europa (quest’anno), via Mediterraneo o Balcani, è approssimativamente di 340.000. In altre parole l’afflusso di quest’anno è solo dello 0.068 % della popolazione europea. Facciamo un parallelo: gli Stati Uniti. Popolazione di 320 milioni, ha qualcosa come 11 milioni di immigrati senza documenti, circa il 3,5 % della popolazione. Per contro, l’Unione Europea (UE) ha tra 1.9 e 3.8 milioni si immigrati senza documenti  (dati 2008  gli ultimi disponibili, secondo uno studio sponsorizzato dalla Commissione Europea), meno dell’1% della sua popolazione.

Quindi perché questo panico in Europa? Molti paesi europei affrontano un profondo problema di calo delle nascite, con pochi giovani lavoratori a cui è chiesto di supportare troppi pensionati. Un afflusso di persone con una provata perseveranza sembrano fornire un’ iniezione di energia di cui l’Europea sinceramente ne ha bisogno. Ci sono diversi argomenti che fomentano il populismo della crisi dei migranti in Europa. Parlano (impropriamente) di “terrorismo”.  I gruppi estremisti ci hanno ampiamente dimostrato che sono capaci da soli e anche parecchio bene, di inviare i loro affiliati/seguaci in Europa o addirittura di reclutarli direttamente in Europa attraverso mezzi molto più convenzionali. Come nessun rifugiato sarebbe così coraggioso da attraversare il mediterraneo o negoziare una via di terra attraverso i Balcani se ci fosse stata un’alternativa disponibile, queste rotte sono del tutto improbabili come miglior passaggio per gruppi che godono di ingenti finanziamenti.

Cultura. Molti europei hanno paura che l’afflusso di stranieri mini la loro “confortevole cultura”. Ricerche ci suggeriscono che questo è il maggior argomento di cui si servono i partiti populisti in molti paesi Europei. In Francia hanno Marine Le Pen, in Olanda Geert Wilders, noi Matteo Salvini, la Repubblica Ceca Milos Zeman, il partito UKIP in Gran Bretagna. Paura che viene accentuata dalla grande “Europa Cristiana” contrapposta alla religione musulmana: Polonia, Bulgaria e Slovacchia hanno espresso una forte preferenza per soli rifugiati cristiani.

È una sfida politica, che richiede una leadership politica, non è una questione della capacità di assorbire i recenti immigrati. Dovrebbero ricordarsi quando altri hanno risposto generosamente durante la Seconda Guerra Mondiale, quando molti europei vittime di persecuzione sono diventati rifugiati. L’UE ha fallito nella responsabilità di gestione delle crisi e il suo Common Security and Defence Policy è solo un enorme distributore di fumo dietro il quale soldi e consulenze sostituiscono un pronto, deciso e robusto intervento nelle aree di crisi. Si sono seduti nelle loro confortevoli sedie e hanno aspettato che qualcun’altro facesse qualcosa. Gli stati membri dell’UE pagano i 2/5 del budget delle missioni di peacekeeping; la European Commision African Peace Facility è stata una fonte cruciale per il finanziamento delle missioni dell’Unione Africana negli ultimi 10 anni, fornendo circa 1 miliardo di euro principalmente per Darfur e Somalia. Pianificano sì, quanto so bravi a fare i Joint Plan UE/ONU e poi in pratica? In Libia aspettiamo che Leon (rappresentante ONU) porti a termine dei negoziati a cui una volta sì e una no una delle due parti non partecipa. In Siria, figuriamoci, l’Africa ce la siamo dimenticata, il Mali boh e poi ci chiediamo: “ma perché arrivano?”

Si sente poi parlare di frontiera al flusso migratorio...no, mi dispiace il Mediterraneo o i Balcani non sono la frontiera. Visto che ho iniziato con i numeri che contano più del populismo: secondo le Nazioni Unite, alla fine di maggio c’erano circa 4 milioni di rifugiati siriani (la popolazione, pre – guerra di Damasco era di 1,7 milioni). Molti sono ospitati dai paesi vicini e l’impatto è qualcosa di sconvolgente. In Libano la popolazione prima della crisi siriana era di 4.4 milioni adesso ospita 1.1 milioni di siriani. Persino il paese più ricco del mondo avrebbe difficoltà ad assorbire e gestire questo tipo di afflusso. La Turchia ne ospita 1.7 milioni e la Giordania 628.000. Ricordiamo che la terra del Medio Oriente è arida e spesso inabitabile con una cronica mancanza di sviluppo di infrastrutture per cui molte delle popolazioni dei paesi arabi tendono a concentrarsi in aree urbane e dipendono da beni di prima necessità importati. La Giordania importa l’87% del suo cibo e all’improvviso ha centinaia di migliaia di bocche da sfamare. L’ esodo siriano è arrivato dopo la crisi dei rifugiati iracheni. Nell’aprile 2007 UNHCR ha riportato che c’erano più di 4 milioni di iracheni in giro per il mondo di cui 2 milioni nel Medio Oriente. La Giordania ne ha ospitato 750.000. La Siria ne ospitava 1.1 milioni, cifra che è scesa nel 2013 a 146.000. L’anno scorso il consiglio dei ministri turco ha approvato il rilascio ai rifugiati siriani di carte d’identità che gli consentono l’accesso al sistema sanitario e ai servizi di educazione, offrendo una speranza per un permesso di lavoro condizionale. Ma questo è un’ eccezione nella Regione perchè la Turchia vuole entrare nell’UE anche se poi ultimamente li ha colpiti con i cannoni ad acqua. Gli altri stati li tollerano: sono l’intera frontiera della crisi siriana per la loro collocazione geografica e non fanno molto altro.  L’ UNHCR ci dice che i donatori governativi internazionali hanno contribuito solo per il 20% sulla cifra di 4.5 miliardi di dollari di cui hanno bisogno i rifugiati siriani in questi paesi.

Quindi cosa abbiamo? Una crisi di retorica, di populismo, di ignoranza. L’Unione Europea con i suoi valori predicati ai quattro venti con un carrozzone per miliardi di milioni di euro che non è capace di gestire l’afflusso di migranti e inetta nel rivedere la sua politica di sicurezza e di difesa. Inappropriata nel gestire le crisi ai suoi confini, quelle vere, di conflitti che non risparmiano nessuno e le cui foto non commuovono nessuno. Poi ci sono gli Stati del Golfo che tollerano milioni di persone senza fornire servizi e neanche speranza. Ma perchè credete che queste persone fuggano da paesi molto più vicini e attraversino l’inferno per venire in Europa? L’Europa dei diritti, della Commissione Europea dei diritti umani, l’Europa della pubblicità: non esiste. Quello che esiste è un nuvolo di politicanti e di funzionari ignoranti, questa è la vera tragedia.

Luglio 10 2015

A me Tsipras non sta simpatico

No, non mi è simpatico neanche un po’, perché trovo che “usare” il popolo greco per i suoi show verso l’Europa o verso possibili apparentamenti di convenienza è da stronzi. Tutti ad applaudirlo per aver usato la democrazia. Allora cosa avrebbero dovuto dire i greci dopo essere stati in fila per delle ore a ritirare gli ultimi risparmi nelle banche, dopo 5 anni di condizioni miserevoli, di una contrazione del 25% del PIL ed il 25,6% di disoccupazione?  Hanno detto:  noi non vogliamo stare nell’Eurozona, non vogliamo più l’Euro; e cosa fa questo baluardo della democrazia cerca un accordo con l’Europa per restare nell’Euro. E finalmente si decide a proporre una serie di misure, roba che sono anni che La Banca Centrale Europea gli chiede di varare RIFORME STRUTTURALI, un’occhiatina alla corruzione? Voglio dire l’ha dichiarato un medico greco che la sanità è praticamente una mazzetta gigante persino per le prestazioni obbligatorie del medico di famiglia. Ah no, oggi questo geniale Primo Ministro greco propone un aumento delle tasse sulle compagnie marittime, tagli alle spese della difesa, prevedendone un ulteriore dimezzamento nel 2016 (poi mi spiegherà con quali soldi contribuirà come paese membro della NATO),  privatizzazione degli assetti statali come il porto di Piraeus (grande colpo di genio, così magari se lo prende una bella compagnia russa) e aereporti regionali. Il colpo di genio, poi:  aumento IVA per hotel e ristoranti, taglio alle pagamento delle pensioni dei più poveri e aumento delle tasse per le isole. Gli agricoltori perderanno il loro trattamento preferenziale per le tasse e i sussidi sui carburanti.

Intanto il popolo ha proprio detto NO all’aumento delle tasse; all’interno del suo partito, coloro che credevano nella buona fede di Tsipras hanno dichiarato che non voteranno questo pacchetto di misure.

Qui non si tratta più di una crisi finanziaria ed economica, ma di un Primo Ministro con manie di grandezza che prende in giro il suo popolo che s’incontra con Putin per spaventare i creditori. Vi confesso che per un minuto ho creduto che fosse così intelligente da voler dimostrare che l’Eurozona è stata mal concepita che non c’è mai stata un Unione Monetaria; che inglobare economie divergenti era un errore. Ho finanche pensato che iniziasse a farsi stampare la Dracma :” se il mio popolo dice che non vuole l’ Euro così sia. E non importa se tiro dentro anche altri paesi, l’Euro zona o si rivede o fuori”.

Da un punto di vista meramente di politica internazionale, dubito che la Cina possa entrare in partita, a parte che ha già una bella gatta da pelare con la sua crisi economica, è più orientata a commerciare con i paesi europei in euro e con la totalità dell’Unione Europea. La Russia sì, è interessata ai porti, ma se Assad cade e dopo aver risolto il problema ucraino. Sono curiosa di sapere se Tsipras ha considerato che la Grecia è anche un membro della NATO e quanto gli costerebbe in termini di politica estera uscirne o trovarsi a non poter contribuire neanche con una pistola.

Chiediamoci perchè il ministro dell’economia greco, Varoufakis si è dimesso all’indomani del referendum e non un ministro come quelli italiani che prima giocavano a monopoli e poi si sono messi a capo del dicastero dell’economia.

Insomma Tsipras non ha utilizzato il NO del referendum come si conveniva: uscire dall’euro, ma per avere una chance in più per farsi prestare altri soldi. Chapeaux simpaticone.

 

* immagine di:  realsourceofjokes.blogspot.com

Giugno 24 2015

EUNAVFOR Med: solo una pezza a colore

La gestione del flusso  dei migranti mi fa venire in mente le “toppe”, le “pezze a colori” che si mettono su un buco, uno strappo. L’altro giorno sono stata alla stazione Tiburtina, non ho visto nessun campo, ma ho pensato che quest’allestimento super pubblicizzato, quando per anni e anni alla stazione ci sono stati migliaia di senza tetto, di ogni colore che si addormentavano li, chi chiedeva l’elemosina, chi vendeva gli asciugapiatti, chi i calzini; e mi è parso proprio che l’intento dietro l’allestimento di questo campo sia quello di mettere la polvere sotto il tappeto e di fare dei gran bei spot pubblicitari per la Croce Rossa che non ho mai visto alla stazione Tiburtina quando per esempio pioveva e si bagnavano i cartoni dei barboni e le coperte tutte zuppe, non ho mai visto distribuire pasti gratis…che strano, davvero. Vado da anni tutte le settimane a Roma e non ho mai visto tutta questa carità prima d’ora…INCREDIBILE!

A parte questa riflessione di morale, che chiaramente non hanno tutti quei giornalisti che sono li a fare domande del tipo: “ma ti hanno sparato?”; “vieni dall’Eritrea e hai preso il barcone in Libia?”, ” ti hanno picchiato?”, cerchiamo di fare un po di chiarezza sull’operazione EUNAFOR MED.

Quest’operazione così pubblicizzata come la migliore idea per risolvere il problema è in assoluto l’operazione più ridicola che si potesse mai ideare e peggio ancora realizzare. Consta di tre fasi sequenziali. La prima: sorveglianza e valutazione del traffico di esseri umani, delle sue reti, la seconda e la terza: individuazione e distruzione degli assetti dei trafficanti sulla base del diritto internazionale e di una partnership con le autorità libiche. Vediamo quindi punto per punto l’idiozia insita in questo programma. Prima vorrei portare alla vostra attenzione quanto accaduto in sede di redazione del testo di questa operazione che ci viene spiegato dal nostro ministro della difesa: “in vista di un eventuale risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (non si sa bene poi cosa dovrebbe decidere) la parola “affondamento dei barconi” è stata modificata in “eliminazione”. Ovviamente è chiaro a tutti che affondare una barca è diverso da eliminare. Questo perchè evidentemente anche il nostro ministro della difesa è colto da quel disturbo cognitivo e comportamentale per cui se uno mette una parola più figa tutto suona molto meglio. Perchè chiaramente distruggere (disrupt) come recita il testo inglese vuol dire che sul barcone non rimane più nessuno se fosse in mare e invece ancorato al porto, è oltremodo palese che sulla barca del trafficante c’ ha scritto: “trafficante” e quindi sono in grado di effettuare un eliminazione selettiva rispetto a tutte le barche ancorate in un porto, sapendo che i porti della Libia sono talmente piccoli che ci saranno solo le barche dei trafficanti. Probabilmente saranno tutte quelle con scritto “Caronte”. Quindi il problema si risolve eliminando il mezzo di trasporto. Allora facciamo un esempio: io elimino tutte le imbarcazioni dei trafficanti e tutti coloro che hanno attraversato almeno altri due Stati per arrivare in Libia tornano indietro.

Altro punto del tutto trascurato: le autorità libiche. Mi sorge spontanea una domanda: “quali”? Non ci sono forse due compagini governative che pensano di essere entrambe le rappresentanti del popolo libico, non ci sono forse una serie innumerevole di schieramenti, più di 300 partiti politici e soprattutto l’ambasciatore alle Nazioni Unite del governo riconosciuto dalla comunità internazionale (e qui evito in questo post di parlare del riconoscimento degli stati perchè anche qui ci sarebbero una serie di argomentazioni che sconfesserebbero tutti quei luminari che insistono che siccome tre paesi l’hanno riconosciuto allora è un governo legittimo) ha dichiarato proprio mentre si redigeva il testo di EUNAVFOR MED che non avrebbe mai dato il consenso per eliminare le barche nel territorio libico (quindi anche nelle acque territoriali). Il governo di Tobruk dalla parte sua non ha assunto finora nessuna posizione ufficiale. Saranno ottimisti e penseranno che prima o poi lo daranno o ne faranno a meno come tante volte si fa per un Bene Superiore, quello di mettere le pezze ovviamente.

La parte che più mi fa ridere è la frase :”in accordo con il diritto internazionale”, che evidentemente nessuno conosce. L’uso della forza previsto dall’operazione viola la proibizione dell’uso della forza sancita dall’art. 2 (4) della Carta Nazioni Unite, a meno che non si applichi una di queste eccezioni. L’attacco alle navi potrebbe essere qualificato come “law enforcement” piuttosto che “uso della forza” (Guyama v Suriname), ma sarebbe ugualmente illegale nel territorio ovvero nelle acque territoriali di uno stato in assenza di queste eccezioni: l’auto – difesa e l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza. L’eccezione dell’auto – difesa non è applicabile perchè non c’è un attacco armato contro un paese dell’UE da parte di Stati Africani o dai trafficanti (punto che sarebbe rilevante se si riconoscesse un diritto all’auto – difesa contro attori non – statali). Si potrebbe verificare il diritto degli Stati all’uso della forza per proteggere i propri cittadini, peccato che i cittadini europei non siano nè minacciati nè coinvolti nei traffici. L’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza secondo il capitolo settimo della Carta NU. Il Consiglio di Sicurezza concesse l’autorizzazione per l’Operazione Atalanta (anti pirateria, coste somale); tuttavia l’autorizzazione fu data a condizione che ci fosse il consenso del governo somalo. Altro problema: i 5 membri permanenti ed in particolare la Russia. La vedo difficile che non apponga il veto soprattutto dopo l’abuso che i paesi occidentali hanno perpetrato quando fu concessa l’autorizzazione del 2011 proprio in Libia. Il Consiglio di Sicurezza però emana l’autorizzazione all’uso della forza quando è necessario per “mantenere la pace e la sicurezza internazionale (art.42) ovvero in presenza di una minaccia o violazione della pace ovvero per un atto di aggressione (art. 39). Una via plausibile sarebbe quella di arguire che la situazione nel Mediterraneo costituisca una minaccia alla pace; con la Risoluzione 668 (Iraq: trattamento della popolazione curda) il Consiglio di Sicurezza stabilì che un massiccio flusso di rifugiati verso e oltre le frontiere internazionali costituisse una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale.

Inoltre se si concedesse l’applicazione delle norme di diritto internazionale umanitario, le navi dei trafficanti sarebbero intitolate alla protezione come “oggetti civili”. Le attività dei trafficanti non si qualificano come pirateria secondo l’articolo 101 della Convenzione sul diritto del Mare (UNCLOS) e in ogni caso secondo l’art. 105 la forza può essere utilizzata sono nelle acque internazionali.

Concludendo, l’uso della forza non avrà granchè di basi giuridiche e non risolverà il problema. Resta più facile far andare avanti il carrozzone così perché affrontare le condizioni degli Stati da cui provengono i migranti richiederebbe uno sforzo molto più grande e non di denaro giacché il costo di EUNAFOR MED è di 11, 82 milioni di euro solo per i due mesi di start up, ma uno sforzo di politica estera europea che richiederebbe una serie di expertise di cui evidentemente il carrozzone europeo non è assolutamente dotato ed avendo alla guida proprio della politica estera la persona più inadatta della storia di tutti i tempi: la Mogherini.

 

 

Novembre 24 2014

L’Ucraina vista dall’Unione Europea

L’Unione Europea (UE) vede l’Ucraina cosi:  “non c’è ragione perché persone in Europa stiano al freddo d’inverno”. La frase è del commissario europeo dell’energia tale: Guenther Oettinger il giorno in cui si è  firmato l’accordo sulle forniture di gas tra Ucraina, Federazione Russa (Russia) e UE. Si è dimenticato, povero lui, che a  Donetsk, Kharkiv, Novoazovsk e in gran parte del sud – est dell’Ucraina tanta gente non si può riscaldare perché non ha le finestre a casa, chi una casa ancora c’è l’ha e non gli è stata bombardata. Non moriranno di freddo ma forse di fame si. Che poi l’accordo privato non è gratis, prevede che Mosca riapra i rubinetti di gas in cambio di pagamenti che verranno finanziati dai creditori occidentali di Kiev. Creditori, non benefattori.

La visione europea della situazione è nella mancanza di accordo tra i ministri degli esteri dell’Unione su ulteriori sanzioni da apporre alla Russia. Per cui senza preoccuparsi più di tanto della Russia o dei ribelli o della gente senza casa senza cibo cosa fa l’Europa? Il 22 luglio 2014 stabilisce una missione denominata EUAM (European Union Advisory Mission for Civilian Security Sector Reform Ukraine) che odi odi serve per assistere l’Ucraina nella riforma del settore sicurezza, incluso la polizia e per la cosiddetta rule of law, cioè la riforma delle regole di legge, ergo, del sistema giudiziario. Il 14 novembre scorso la cerimonia di firma accompagnata dai bei paroloni che sempre si dicono in queste occasioni: “per il bene del popolo ucraino”. Così, da spettatore io avrei apprezzato  una missione molto più articolata, accompagnata da qualche aiuto alla popolazione. Ricostituzione di servizi essenziali primari, non cose complesse. Eppure il carrozzone europeo va avanti così con le firme su pezzi di carta. Perché poi cosa fa esattamente l’UE? Ah! si si è spesa per l’accordo di cessate il fuoco. E un altro suo braccio lungo, l’OCSE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione Europea) ha il compito di monitoraggio dell’accordo di Minsk (il nome comunemente usato per denominare l’accordo di cessate il fuoco).

Al G20 in Australia, Obama incontra i leader europei per discutere una risposta coordinata alla Russia e certo perché se ne accorgono ora che la Russia ha violato il diritto internazionale, perché fornire armi pesanti ai separatisti in Ucraina, violando l’accordo di Minsk, sarebbe più grave di aver annesso una parte di territorio di un altro stato con l’uso della forza (vedi Crimea) o violato semplicemente l’integrità territoriale di uno stato sovrano, perché ricordiamoci che i famosi soldati senza insigne in Crimea non parlavano certo portoghese. Quello che trovo per certi versi comico è che seppur in violazione di tante norme di diritto internazionale riconosciute da tutti gli Stati ed anche dalla Russia che tanto si scandalizzò per la questione del Kosovo, Putin è andato allegramente al G20 e anzi nessuno gli ha detto: “oh che ci fai qui non ti ci vogliamo, conformati alle regole senno ciao”. No nient’affatto, strette di mano, sorrisi, foto insieme.

Il presidente ucraino dal lato suo ha ordinato che tutti i servizi statali incluso il finanziamento degli ospedali e delle scuole delle aree controllate dai ribelli nelle regioni di Donetsk e Luhansk siano ritirati. Non so se è chiaro quindi: il governo centrale ritira i finanziamenti agli ospedali di zone completamente distrutte, per farla pratica: se un ucraino va in ospedale deve essere fortunato a trovare un cerotto d’ora in poi. E cosa fa l’Europa? Una missione di sicurezza e nessuno vuole prendersi la responsabilità di incrementare le sanzioni alla Russia. Che ne so una missione di mentoring al Presidente ucraino? Perché poi Poroshenko,non ha finito con i decreti ne indirizza uno al parlamento, chiedendo di revocare la legge che garantisce l’auto – regolamentazione alle regioni di Donetsk e Luhansk. Mi chiedo: perchè ordini che le Regioni tornino sotto la giurisdizione del governo centrale e poi togli i finanziamenti agli ospedali?

In tutto questo circo di accordi e decreti il ministro degli esteri russo, Lavrov, pochi giorni fa, incontra il ministro degli esteri tedesco Steinmeir (non vi chiedete perché non incontra il ministro degli esteri italiano, perché a parte che Gentiloni deve ancora capire chi è lui stesso, confuso com’è sulle sue ideologie politiche/partitiche, ma gli bastano le dichiarazioni della Mogherini a sconfortarlo). In realtà Steinmeir ha proposto un’iniziativa denominata “clearing house” (casa pulita) che prevede lo scambio di informazioni tra le parti dei rispettivi rappresentanti militari.

Nell’ incontro si è anche parlato della cooperazione tra l’UE e l’Unione economica eurasiatica. Lo stesso Steinmeier afferma che ben 28 paesi dell’UE coltivano parecchi pregiudizi su cosa può essere fatto congiuntamente con la Russia. E si eh, avete letto bene, il Consiglio d’Europea con una mano bastona la Russia con le sanzioni e con l’altra le da tante belle carezze autoaccusandosi che ci sono 28 paesi che non gradiscono la Russia, poveri loro. La teoria del bastone e della carota si è rivelata inutile finanche per la cooperazione allo sviluppo, figuriamoci per i rapporti con la Russia. Ritengo che un grande errore del pensiero politico occidentale sia quello di considerarsi sempre più furbi dell’avversario. Se ti metto in ginocchio economicamente con sanzioni non ti vengo a dire che però sarebbe carino cooperare con la tua unione economica, perché l’avversario ben più intelligente di te (ricordiamolo che si è preso un pezzo di territorio di un altro stato in un batter d’occhio) sa che continua a ritenere un enorme vantaggio su di te che non sei coerente con quello che dici. Putin che è un fine giocatore di scacchi sa che le tue mosse saranno sempre a suo favore. La risposta di Lavrov è illuminante a riguardo perché lui asserisce che l’accordo di Minsk doveva essere firmato molto tempo fa, invece di “accusare gli altri di violazioni”. Continua dicendo che l’accordo poi è stato raggiunto da: Kiev e le forze cosiddette di autodifesa e che gli Stati Uniti che hanno dichiarato di sostenerlo avrebbero dovuto fare tutto il possibile e usare la loro influenza perché fosse raggiunta una consistente implementazione del documento. Ecco nella sua ironia e grande tragedia per chi poi vive in quelle zone c’è tutto quello che l’occidente fa fatica a comprendere: il vantaggio dell’avversario. Avere il controllo, se pure attraverso movimenti separatisti del sud- est dell’Ucraina, avendo la possibilità di garantire servizi primari (ricordiamo anche che insieme alle armi pesanti i russi mandano anche aiuti umanitari) sostituendosi a Kiev che gliene fornisce la possibilità su un lussuoso piatto d’argento. Un’ ultima considerazione: una missione di sicurezza per assicurare che Kiev possa garantire la sicurezza nei suoi confini è un aiuto certo, ma un’ implicita (e neanche tanto) ammissione che uno stato sovrano non è in grado di garantire la sicurezza del proprio territorio. Ditemi voi che visione ha l’Unione Europea della sovranità degli Stati.

Novembre 23 2014

La Romania e il suo nuovo Presidente

Per chi non lo sapesse proprio in questo mese di novembre ci sono state le elezioni presidenziali in Romania. Perché ci interessa? Beh la Romania è la frontiera dell’est dell’Unione Europea (UE) e la sua politica estera è estremamente importante specialmente nelle sue relazioni con la Moldavia e l’Ucraina. Ci interessa perché la società civile romena ha iniziato a capire cosa sia la partecipazione democratica e la classe politica, malgrado i problemi di corruzione e le spinte alla conservazione dello status quo, hanno dato vita ad un cambiamento. Esattamente quello che non avviene in Italia, dove abbiamo un primo ministro che nessuno ha eletto e partiti che oggi ci sono domani no ed un presidente della Repubblica che è decisamente “agée”.  In Italia la parola “Repubblica” è rimasta solo sulla carta costituzionale. Ma torniamo alla Romania.

Il nuovo presidente è Klaus Iohannis. Non vi sembra strano questo nome? E’ un signore tedesco i cui parenti fanno parte della piccola comunità tedesca in Romania. Un talentuoso manager ex sindaco di Sibiu una cittadina della Trasilvania trasformata proprio da lui in una punta di diamante del turismo. Il “tedesco” come lo chiamano anche i suoi elettori nei suoi primi interventi come presidente della Romania asserisce che le relazioni con l’Ucraina e la Russia dovranno essere decise in accordo con l’UE e la Nato.

Un  tema che presto potrebbe essere riaperto nel parlamento romeno è sullo status del Kosovo. Un piccolo aiutino, Iohannis non ha mai tenuto segreti i suoi buonissimi rapporti con la famigerata e molto discussa leader tedesca Angela Merkel e il partito che sostiene il presidente non avrà problemi a schierarsi in favore del riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo.

Se Bucarest tenesse questa posizione sul Kosovo causerebbe un effetto domino tra coloro che non l’hanno riconosciuto e quindi avrebbe un impatto sull’ allargamento dell’UE nel suo insieme? A parte il fatto che il riconoscimento non è certo il più grande ostacolo né alla via del Kosovo né della Serbia nell’UE. La questione invece cambia se anche la Moldavia si mette nel cestone dell’allargamento (Chisinau intende sottoporre la documentazione come membro dell’EU nel 2015). Il futuro dell’allargamento dell’UE potrebbe essere più roseo delle previsioni, ma certo Putin avrebbe  qualche cosa da dire in proposito.

Cosa ci dice l’elezione del “Tedesco”: il potere della società civile. L’elezione ha visto un’incredibile mobilitazione sociale, malgrado i problemi di voto dei romeni[1] all’estero.

Per molti anni, i critici dell’UE hanno puntato il dito su paesi come la Romania e hanno usato questi stati come i “deficit democratici” come argomentazione contro l’allargamento dell’UE.  Con questa elezione però i cittadini della Romania hanno dimostrato di voler abbandonare il vecchio post – comunismo, il populismo, raggiungendo un grado di maturità in grado di poter discernere quale candidato offre le migliori policy e quali seguire. Questa elezione ci dimostra che gli elettori possono essere persuasi ad andare a votare in massa e che le elezioni possono produrre un risultato diverso da quello che ci aspetta.

Ma tutto questo ci dice una cosa ancora più importante: la democrazia in Romania funziona. I diversi gruppi etnici hanno votato Iohannis malgrado i tentativi del primo ministro Ponta di usare la macchina statale contro le elezioni presidenziali. Il Presidente è eletto con voto diretto, ma condivide il potere esecutivo con il primo ministro e quando i due appartengono a partiti politici differenti allora si crea una rivalità ancora più ampia.

La mobilitazione ha dimostrato che la società romena è in grado di punire ogni tentativo di usare l’apparato statale per gli interessi partitici e che il consolidamento del pensiero democratico è iniziato.

Le elezioni presidenziali in Romania parlano anche di noi italiani: malgrado i sistemi diversi, in Italia non eleggiamo il presidente della Repubblica direttamente, abbiamo un sistema elettorale desueto che non si decidono a cambiare, non abbiamo un presidente del consiglio espressione di libere elezioni; ci dicono che critichiamo spesso gli altri Stati con stereotipi : “ i romeni sono tutti ladri” confondendo etnia con popolazione. Ebbene il popolo romeno si è mobilitato ha fatto sentire la sua voce è ha eletto il presidente che voleva per cambiare, noi che facciamo?

[1] Venuta meno l’ideologia che vedeva nella comune discendenza dall’impero romano un motivo per sostenere romeno, la scelta fra le due varianti può essere ricondotta al solo piano formale per cui, di contro alla ragione etimologica e alla tradizione letteraria a sostegno di rumeno, si pongono a favore di romeno la simmetria con Romania e la maggiore adesione alla lingua romena. Si può scegliere: in questo stesso sito potete trovare usate entrambe le forme. (dall’Accademia della Crusca: si dice romeno o rumeno?)