Febbraio 28 2022

Ucraina: la guerra ibrida

guerra ibrida

La visione del mondo europea-atlantica, particolarmente riguardo alla legittimità popolare e alla sovranità nazionale, è incompatibile con il “putinismo”. E dato il revanscismo che Putin abbraccia, è chiaro che è una strada senza uscita quella di stabilire una “linea di controllo” all’interno dell’Europa tra l’occidente e quello esso vede come la sfera di interesse della Russia.

È anche possibile che Putin continuerà ad apporre pressioni e a saggiare ulteriormente dove questa linea finirà con l’essere disegnata, e possibili luoghi per farlo non mancano: Bosnia, Moldavia, i più ovvi.

Da dove possiamo partire per tentare di comprendere le tensioni tra Russia e Ucraina?

Deterrenza e diplomazia coercitiva, sono concetti necessari per capire le tensioni tra Russia, Ucraina, Stati Uniti e NATO. Deter è un termine inglese, utilizzato anche in italiano, la cui traduzione più corretta è dissuadere –

La deterrenza è passiva nel suo orientamento. Essa è intesa a prevenire un’azione non ancora intrapresa ed iniziata, sia mostrando che quell’azione è destinata a fallire o che i costi che ne risultano sono significativamente più grandi di ogni beneficio che può essere ottenuto. L’obbligatorietà è più complicata. Essa implica l’ottenere dall’altra parte di fare qualcosa – o iniziare un’azione che altrimenti non sarebbe stata scelta o cambiare il corso di un’azione che è stata già iniziata. Ciò può essere compiuto attraverso minacce, incentivi o una mescolanza di entrambi.

In breve, ogni Paese nel mondo, a prescindere dal suo sistema politico o dai suoi valori, cerca di distogliere altri Paesi dall’intraprendere azioni che esso vede nocive per i suoi interessi nazionali, mentre si adopera ad ottenere influenza che obbligherà altri Paesi ad essere ricettivi delle sue richieste. Allo stesso tempo, per proteggere la sua propria indipendenza e la libertà di azione, cercherà di minimizzare le capacità degli altri di utilizzare la deterrenza e la obbligatorietà contro di esso. Alcuni Paesi possono generare un sufficiente potere di deterrenza e obbligatorietà per le loro proprie risorse, mentre altri potrebbero aver bisogno di mettere assieme una coalizione o cercare un’alleanza protettiva con un alleato più forte.

Deterrenza nella definizione classica di Thomas Schelling, risiede nella capacità che uno Stato deve avere per dissuadere (deter) un altro stato, deve comunicare l’esistenza di queste capacità e deve dimostrare l’impegno ad utilizzare queste capacità nell’eventualità che “linee rosse” precedentemente comunicate siano state oltrepassate.

Obbligatorietà richiede avere sufficienti risorse necessarie per la persuasione – una forza militare capace di imporre costi oppure le risorse economiche per comperare consenso. In entrambi i casi, i leader politici devono calcolare quanto sono desiderosi di spendere e di rischiare in linea con gli obiettivi che ritengono siano i più importanti e vitali per gli interessi del loro Paese, o alle volte, per la sopravvivenza. Applicazioni di successo della deterrenza e della obbligatorietà possono accadere quando, i fini strategici sono bilanciati con i mezzii che saranno utilizzati per raggiungerli. (questa l’ha detta Walter Lippman)

La crisi Russia – Ucraina è parte di un processo più grande di negoziazione, il risultato del quale lo vedremo all’aumentare del potere della deterrenza e della obbligatorietà da una parte e la diminuzione dall’altra.

In superficie questa crisi sembra quasi assurda. Da una parte la Russia che non vuole vedere l’Ucraina ammessa nella NATO. Dall’altra, malgrado la consapevolezza nei mesi passati che l’appartenenza alla NATO per l’Ucraina non è una possibilità realistica nel breve termine, i leader della NATO hanno rifiutato di chiudere formalmente la porta allo stato di membro dell’Ucraina, per evitare di ammettere il principio che ogni Paese europeo abbia il diritto di scegliere i suoi propri accordi di sicurezza.

Esaminando più attentamente la crisi, essa si trova in una complessa configurazione di obiettivi di sicurezza nazionale.

La visione della Russia è che il collasso dell’Unione Sovietica ha condotto ad un collasso analogo del potere di deterrenza e obbligatorietà di Mosca, particolarmente nella sfera militare.

Nel 2008 ed ancora nel 2014, la Russia ha segnalato che non avrebbe più accettato passivamente espansioni, utilizzando impegni militari limitati contro la Georgia e l’Ucraina, per alzare i costi di essere pienamente integrati nella comunità euro-atlantica al di là di un livello accettabile. Oggi la Russia è ancora impegnata nella diplomazia coercitiva per obbligare Kyiv e i suoi alleati occidentali ad accettare un compromesso in cui l’Ucraina resta al di fuori della comunità occidentale.

Per sua parte, l’Ucraina, nelle successive amministrazioni di Poroshenko e Zelensky, ha visto un più stretto allineamento con l’Occidente per controbilanciare gli avanzamenti militari russi. In parallelo, come ulteriore deterrenza contro una potenziale aggressione russa, Kyiv ha cercato di preservare la sua importanza come Paese transito chiave per il gas naturale per raggiungere i mercati europei.

La vendita di energia russa ai clienti europei resta un importante fonte di guadagno per lo Stato russo e nella misura in cui Mosca spera di preservare questo guadagno, potrebbe evitare di danneggiare l’infrastruttura di gas con l’invasione militare. Gli interventi militari in Ucraina nel 2014-2015 nella regione del Donbass hanno avuto luogo lontano dall’infrastruttura per il transito energetico che connette la Russia all’Europa.

Per rafforzare questo deterrente energetico contro la Russia, l’Ucraina vuole che i suoi partner europei chiudano i progetti di transito energetico che aggirano il territorio ucraino e Kyiv ha sollecitato Washington a sostenere questo obiettivo. Per parte loro la Germania, l’Ungheria e la Turchia, tra gli altri, hanno cercato di disconnettere la loro propria sicurezza energetica dalla crisi ucraina.

L’approccio russo combina le minacce militari all’Ucraina con la politica energetica disegnata per disconnettere l’Europa dalle forniture energetiche dal territorio di sicurezza ucraino.

A sua volta l’Ucraina sta cercando la protezione militare dall’occidente, mentre cerca di tenere le forniture energetiche connesse al suo territorio di sicurezza.

Spesso pensiamo che la deterrenza sia ragionevolmente stabile e che duri per decadi, come lo stallo tra Stati Uniti e Unione Sovietica nella Guerra Fredda. Ma nell’odierna crisi in Europa, la deterrenza è tutto fuorché stabile. Essa è cambiata nel corso del tempo e continuerà a farlo; questo a sua volta sta plasmando le scelte strategiche di tutte le parti coinvolte.

Se la Russia non è stata dissuasa dall’attaccare oggi, e se l’Occidente non accetta un accordo imposto sull’Ucraina da Mosca, Kyiv potrebbe essere in una posizione, per la fine della decade di esercitare un più alto grado di obbligatorietà contro la Russia. Questo potrebbe dire, ad esempio, riprendere il territorio perso nel Donbass senza accettare alcun accordo di federalizzazione come immaginato negli accordi Minsk-2, così come procedere con la sua traiettoria verso l’appartenenza alla NATO e all’UE. In altre parole, dissuadere Mosca nel breve termine potrebbe creare le condizioni per l’erosione delle capacità di obbligatorietà russe nel lungo termine.

Gli Stati Uniti sono concentrati di più sulla competizione strategica con la Cina e sul centro di gravità economico e strategico mondiale che sta continuamente muovendosi verso la regione indo-pacifica quindi l’amministrazione Biden o i suoi successori potrebbero nel corso del tempo essere più propensi ad un compromesso sull’Ucraina: accettare una cintura di Stati neutrali tra i mondi euroatlantici ed euroasiatici. Perciò una strategia russa di obbligatorietà, attraverso una via militare coercitiva e la diplomazia economica, potrebbe creare la condizione dove la Russia si sente meno dissuasa dall’Occidente.

Sfortunatamente, mentre si concorda sulla semplicità di questi concetti fondamentali di sicurezza nazionale in teoria, trovare un modo affinché guidino complesse interazioni sul terreno è molto molto più difficile.

Sembra ovvio che una nuova e innovativa iterazione di una dinamica di Guerra Fredda sia inevitabile, quale forma assumerà è molto difficile da immaginare, date le complesse interdipendenze economiche e politiche che legano le due parti.

Questa nuova Guerra Fredda ovviamente era in divenire molto prima della crisi ucraina, e non puramente sull’asse Russia – NATO. La rivalità Stati Uniti – Cina aveva già inspirato la retorica della Guerra Fredda, e sarà presumibilmente la dinamica più significativa che plasmerà il sistema internazionale e la costruzione di sfere di influenza in competizione nelle prossime decadi.

Cosa ci dicono queste prime schermaglie è che questa nuova Guerra Fredda sarà ibrida, con un focus molto sulle armi non cinetiche e tattiche così come sulla forza militare tout court.

Il numero delle crisi protratte che si sono generate nelle passate due decadi, molte delle quali non possono essere risolte in assenza della cooperazione multilaterale, rendono tutte molto imperativo che la nuova Guerra Fredda non si intensifichi nel tipo di contesti proxy e congelino il peacemaking.

Cosa ci suggeriscono gli strumenti e le armi che sono prominenti nell’odierno stallo geopolitico sulla forma del conflitto in divenire?

La minaccia posta dalle armi nucleari non è assente, ovviamente. Gli Stati Uniti, la Russia, la Cina hanno ancora arsenali nucleari in ottimo stato e sistemi in grado di utilizzarle anche più avanzati di quelli della fine della Guerra Fredda. Ma per ora, le armi nucleari non sono state uno strumento di definizione della competizione.

I principali poteri ovvero le armi per gli Stati Uniti e la Cina sono la loro dominazione dei nodi chiave nel sistema globale politico ed economico, che concede loro la determinazione dell’agenda ed il potere che detengono sul controllo, così come la capacità di armare l’interdipendenza globale. Oggi, questo posizionamento è più significativo dei loro arsenali nucleari in termini di permettergli di demarcare le sfere d’influenza e plasmare le dinamiche di potenze globali.

La Russia a questo riguardo ha meno potere da brandire. Tuttavia, la maniera in cui ha fatto leva sul suo veto alle Nazioni Unite, la sua abilità di proiettare una forza di spedizione e la legittimità dell’industria militare sovietica gli permettono di competere su scala globale per l’influenza e le risorse, e di bloccare altri dal farlo.

La Russia non ha un monopolio sulle tattiche militari a cui si affida – dal dispiego dei piccoli “uomini verdi” all’utilizzo della cattiva informazione, gli attacchi cyber, gli alleati proxy nelle zone di interesse occidentali. Pur tuttavia Mosca può dispiegarli in molte arene simultaneamente in modi in cui pochi altri possono.

Solo nello scorso anno, la Russia ha utilizzato queste tattiche per guadagnare influenza e irritare gli interessi occidentali in Sahel, Libia, Siria, Sudan, Balcani e, ovviamente, in Ucraina.

Considerato nel complesso, il tipo di armi e tattiche che gli Stati Uniti, la Cina, la Russia stanno impiegando rappresentano un’aggregazione di potere politico, di capitale economico e militare con cui poche altre nazioni possono competere. Ciò potrebbe rendere più difficile raggiungere la deterrenza e la distensione.

Il segnale che è necessario affinché la deterrenza sia credibile ed efficace è più difficile nel contesto della guerra proxy, cyber e ibrida, dove gli attori, le tempistiche ed anche gli attacchi stessi sono più difficili da leggere.

Ciò rende più difficile contenere le minacce, diminuirle, e la natura ibrida del conflitto – con il suo concentrarsi sulla competizione economica, politica e sociale e sulla forza militare – rende più probabile che i civili e gli altri attori neutrali siano travolti in (e da) esso.

Dal momento che queste nuove leve ibride di potere sono inconfutabili, relativamente comuni e possedute da attori al di là degli Stati in questione, ci potrebbero essere più vie di distruzione. Diversamente dal 1945, viviamo in un mondo dove le imprese private, gruppi violenti erranti, giocatori regionali minori, movimenti popolari di protesta e anche pirati informatici hanno la capacità di frustare le ambizioni delle super Potenze globali.

Un attore di cui non si parla spesso: la Turchia

La Turchia si trova tra l’incudine ed il martello. Non vuole essere l’antagonista della Russia, con la quale condivide interessi strategici vitali, ma ha necessità di mostrare il suo sostegno all’Ucraina e ai suoi alleati NATO. Ciò ha spinto la Turchia a camminare su un diplomatico e calibrato filo sottile di seta.

Erdogan ha visitato Kyiv il 3 febbraio 2022 proclamando il suo sostegno alla sovranità ucraina, reiterando la sua opposizione all’annessione della Crimea e firmando un accordo di libero scambio per segnalare l’impegno turco nella relazione di lungo termine con l’Ucraina. Tutto ciò, ovviamente è stato bilanciato da un’offerta per disinnescare la situazione convocando un incontro trilaterale con Putin, il presidente ucraino Zelensky ad Ankara o Istanbul. Erdogan continua a proporre questa via a Putin.

Le aperture diplomatiche di Erdogan, l’urgenza e l’importanza, sono comprensibili dal momento che Ankara ha affondato la sua mano economica in Ucraina e che tutto quello che sta avvenendo potrebbe regalarle il ruolo di uno dei principali perdenti economici. Nel 2021, la Turchia è diventata il più grande investitore in Ucraina, con investimenti in eccesso di 4 miliari di dollari. Vi sono al momento più di 700 imprese turche che operano sul terreno. Nei passati 5 anni, le esportazioni turche in Ucraina sono quasi raddoppiate a 2.6 miliardi di dollari, mentre le importazioni sono salite da 2.8 miliardi di dollari e 4,4 miliari di dollari.

La cooperazione bilaterale si sta muovendo particolarmente rapidamente nei settori della difesa e dell’aerospazio. Dal 2019 Kyiv ha acquisito una stima di una dozzina di droni Bayraktar. La marina ucraina ha anche ordinato due corvette MILGEM Ava-class, che saranno prodotte congiuntamente sul territorio turco e sul territorio ucraino. Le due parti hanno già firmato un accordo per costruire infrastrutture di addestramento e manutenzione per i droni turchi in Ucraina, a ciò è seguita la firma di un accordo per la produzione congiunta della prossima generazione di droni che farà leva sulla tecnologia avionica turca e sui motori a reazione ucraini.

La Turchia comprende molto bene che un cambio di regime in Ucraina metterebbe questi investimenti e le relazioni commerciali strategiche a rischio. Tuttavia, lo spazio di manovra della Turchia è in qualche modo limitato e la sua influenza diplomatica nel risolvere questa crisi è modesta.

Potrebbe esserci la possibilità che Erdogan e Putin possano far funzionare le cose malgrado gli ostacoli. Loro, dopo tutto, si sono perfezionati nell’arte della “geopolitica di vendita” – l’abilità di fare dei micro-accordi anche quando sono in disaccordo sul quadro più grande. Questo modo di fare affari è andato relativamente bene in vari teatri dalla Siria, alla Libia, al Caucaso. Questo potenzialmente spiega perché la Turchia permette alle sue compagnie di commerciare con la Crimea e l’Abcasia, malgrado la sua posizione ufficiale in sostegno dell’integrità territoriale dell’Ucraina e della Georgia. Vi sono poche ragioni per aspettarsi che l’Ucraina cambi il nome del gioco tra Ankara e Mosca.

Agosto 19 2019

La strategia tridimensionale della Russia

Russia strategia tridimensionale

La Russia occupa una posizione insolita sul palcoscenico mondiale. Con il Presidente Vladimir Putin, Mosca ha ripetutamente dimostrato di avere la capacità di destabilizzare l’ordine internazionale, ma non quella di riempire il vuoto che sta creando.

 

Ciò che attira l’attenzione è l’utilizzo da parte di Mosca della vendita di armi e di contratti militari come mezzo di costruzione di legami con Paesi in Asia, Africa e America Latina.
Anche se Mosca mantiene un’ingrombante influenza sul palcoscenico globale, a casa il malcontento cresce. Putin ha dominato la scena politica russa per più di due decadi, ma la sua popolarità sta diminuendo tra la lenta economia e lo sforzo di riforma pensionistica profondamente impopolare. Questo potrebbe aprire la scena ai suoi oppositori politici per richiamare l’attenzione sulla corruzione e la violenza che hanno contraddistinto il suo mandato.

Strategia globale

La Russia ha scovato dei modi creativi per fare il passo più lungo della gamba negli affari globali.
La disinvoltura dello schieramento delle forze speciali russe lungo la frontiera della Libia con l’Egitto, per fornire armi al Generale Khalifa Haftar, le cui forze dominano la parte est della Libia, potrebbe sembrare un fatto minore, in realtà è emblematico delle importanti tendenze della politica estera revanscista russa.
Quando Gheddafi controllava la Libia dal 1969 al 2011, era un eccellente cliente di armamenti  e consulenza militare russa. Nel caos dopo la sua deposizione e poi morte, l’ambasciata russa a Tripoli fu attaccata e tutti i diplomatici e le loro famiglie ritirate. Sembrava che Mosca avesse dichiarato la Libia irrecuperabile. Ora, sta rientrando in questo ambiente politico caotico in Nord Africa come parte di una strategia globale tridimensionale costruita per rafforzare la Russia politicamente, arricchirla economicamente e permettere di spingere in avanti il suo peso in un ambiente di sicurezza che cambia rapidamente.

Le dimensioni della strategia tridimensionale russa

La prima dimensione è l’intimidazione. Focalizzata sulle nazioni vicine, particolarmente quelle che una volta erano parte dell’Unione Sovietica o del vecchio impero russo, tale dimensione è progettata per assicurare che i governi vicini siano amichevoli e servili o almeno timorosi di Mosca. Ciò riflette il bisogno della Russia di zone cuscinetto di sicurezza attorno alla sua periferia, una geografia che le permise di essere invasa molte volte nel passato.

L’intimidazione russa assume una serie di forme, inclusa la pressione economica, gli attacchi cyber, come quello del 2007 all’Estonia e quelli del 2017 all’Ucrania, l’aggressione proxy da parte di alleati locali, spesso di etnia russa sparpagliati nel vecchio impero russo e sovietico e in casi estremi come quello della Georgia del 2008: l’intervento militare diretto.
Oggi è l’Ucraina l’obiettivo principale dell’intimidazione russa, ma altre nazioni vicine con meno capacità di resistere, hanno, ad un livello o un altro, ricevuto il messaggio. Anche Paesi che non hanno seguito l’esempio della Bielorussia e diventate completamente accondiscendenti verso Mosca cercano ancora di evitare il più possibile la sua ira.

La seconda dimensione è l’indebolimento dell’ordine mondiale costruito dall’Occidente, particolarmente attorno al Mediterraneo. Come l’intimidazione dei vicini, questo riflette dal strategia sovietica dalla Guerra Fredda. Parte dal suo ostruzionismo politico, utilizzando il veto nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per delegittimare o ostacolare gli sforzi collettivi americani ed europei per prevenire il genocidio durante la guerra civile libica; per arrivare ad apporre pressione al presidente siriano Bashar al-Assad affinchè lasciasse il potere, o almeno per negoziare la fine della disastrosa guerra civile in quel Paese.

Il collasso del Vecchio ordine nel Medio Oriente ed in Nord Africa sta creando mercati nuovi ed in espansione per armamenti russi e influenza.

La Russia utilizza differenti metodi per indebolire direttamente gli Stati Uniti e le nazioni europee, affidandosi fortemente alla guerra d’informazione per alimentare le divisioni politiche occidentali e minare la fiducia nelle istituzioni politiche. La “fabbrica dei troll” nei social media e la propagazione russa di “fake news” hanno influenzato le elezioni occidentali ad un grado significativo e forse anche decisivo. Mentre la Russia non ha creato quella sorta di iper-partigianeria ed eroso il volere nazione che sta indebolendo gli Stati Uniti ed altre nazioni europee a livello locale, essa le ha sfruttate in maniera più efficace rispetto a quanto avrebbe potuto l’ideologicamente limitata Unione Sovietica. Ciò è stato possibile a causa dell’assenza di una difesa collettiva chiara e definita degli Stati Uniti e degli alleati europei contro la guerra politica della Russia e dell’esistenza di leader politici occidentali, movimenti ed organizzazioni, disponibili a tollerare la manipolazione della Russia (fino a quando li beneficia).

La terza dimensione è la più commerciale: creare e proteggere i mercati per la vendita di armi. Questo è il motivo, reale, per cui Mosca sta cercando di tornare in Libia e, più importante, perché protegge Assad. A parte le armi, pochi beni fabbricati in Russia sono competitivi nell’economia globale; ciò la spinge ad affidarsi alle materie prime ed alle esportazioni energetiche. I leader russi sanno che un grande potere – uno status che vogliono disperatamente – deve fare di più che vendere merci.

La Russia può portare a termine questa dimensione della sua strategia perché le sue armi sono competitive nel mercato globale e, più importante, non ha alcun dubbio su chi siano i suoi clienti. Compratori come Haftar, Assad hanno poche altre scelte. Dal momento che le armi russe sono state collaudate nel loro utilizzo nella guerra civile siriana, Mosca sta cercando di aprirsi il mercato in nazioni che un tempo compravano armi solo dagli Stati Uniti e dall’Europa. Questo elenco include gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrain, il Qatar, l’Arabia Saudita e la Turchia.

La Russia ora vende armi a più di 50 Paesi e organizzazioni politiche

Queste tre componenti della strategia russa si rafforzano vicendevolmente e formano un piano globale efficiente e coerente, indebolendo l’Occidente politicamente, se non strategicamente, Mosca espande il suo mercato potenziale per la vendita globale di armi. Le esportazioni di armi, a loro volta producono denaro contante che può essere utilizzato per potenziare l’esercito russo e mettere a tacere ogni opposizione domestica al presidente Vladimir Putin, creando un flusso di denaro per alimentare la fedeltà delle élite russe. Piuttosto che minacciare la Russia o esserci qualcosa che Mosca vuole aiutare ad affrontare, il collasso in corso del vecchio ordine nel Medio Oriente ed in Nord Africa sta creando nuovi mercati in espansione per gli armamenti russi, e a sua volta, influenza.
Nel breve periodo, tuttavia, la Russia probabilmente non vuole completare la rovina dell’ordine globale esistente dal momento ciò avrebbe come risultato il caos, ma vuole indebolire il sistema. Ciò ci suggerisce che fino a quando gli Stati europei e gli Stati Uniti rimarranno incerti sul loro ruolo nell’ordine internazionale post-guerra, la Russia perseguirà la strategia tridimensionale che ha reso una nazione con una profonda debolezza politica ed economica un giocatore globale.

Agosto 11 2016

Trump – Putin: l’inizio di una lunga storia d’amore?

Trump

Trump e Putin sembrano molto più vicini di quello che appare. Il primo paga come direttore della sua campagna elettorale l’amico degli oligarchi russi ed il secondo si augura la vittoria di colui che può mettere la Russia in una posizione di vantaggio geopolitico.

Partiamo dall’inizio: la Clinton accusa Vladimir Putin di aver incoraggiato l’intelligence russa a violare i documenti del Comitato Nazionale Democratico e dare a WikiLeakes migliaia di email come parte di uno schema più ampio allo scopo di far eleggere Donald Trump come presidente.

La prima cosa che viene da chiedersi è: “perché Putin vorrebbe influenzare le elezioni presidenziali americane?“. 

Si possono “immaginare” diversi motivazioni, ad esempio, la voglia di aumentare le difficoltà di una campagna elettorale già abbastanza controversa. La Russia vede gli Stati Uniti nel loro punto più basso, Putin è persuaso che gli Stati Uniti giochino il loro nefando gioco nella politica russa; Mosca vorrebbe minare la credibilità internazionale americana mettendo in luce le deficienze nella politica partitica americana.
Inoltre, Putin ritiene che gli Stati Uniti l’hanno già fatto a lui. Secondo il presidente russo gli Stati Uniti si sono per primi immischiati nella politica russa quando Putin decise di ricandidarsi per il terzo mandato.

Facciamo un breve salto nel passato: 2011/2012, le strade della capitale russa erano piene di dimostranti che protestavano per le violazioni elettorali nelle elezioni parlamentari e la mancanza di candidati alternativi per l’elezione presidenziale. Secondo Putin la colpa era degli Stati Uniti, asserendo che l’allora segretario di stato Hillary Clinton aveva o incitato ovvero direttamente finanziato i dimostranti.

Nel pensiero di Putin, l’Occidente cerca sempre di abbattere la Russia. Il prossimo anno sarà il centenario della rivoluzione russa e quest’anno si celebra il 25° anniversario della dissoluzione dell’Unione Sovietica. Nella visione globale russa, prima la Germania nella Prima Guerra Mondiale, e poi gli Stati Uniti nella Guerra Fredda hanno tratto vantaggio dalle divisioni domestiche e dalle vulnerabilità e lo stato russo collassò due volte in un secolo.

Uno degli obiettivi primari di Putin è di forzare i leader occidentali ad indietreggiare per essere sicuro che questo non accada di nuovo.

Putin vuole che gli Stati Uniti e i governi occidentali smettano di finanziare, come parte della loro politica estera, organizzazioni che promuovono le trasformazioni politiche ed economiche in Russia. Vuole, inoltre, evitare che i funzionari americani incontrino figure e partiti di opposizione.

Nella prospettiva di Putin, la promozione della democrazia è solo una copertura per un cambio di regime.

Prima di essere leader della Russia, Vladimir Putin era un ufficiale del KGB, il servizio segreto dell’era sovietica, e questa esperienza continua a modellare, condizionare le sue visioni ed azioni. Putin affronta i suoi rapporti con gli Stati Uniti con la logica di un operativo sotto copertura, immerso in congiure e cospirazioni. È pronto a combattere in maniera sporca e si affida agli elementi della sorpresa tattica per assicurarsi il massimo effetto.
Putin ha due caratteristiche che lo distinguono da altri leader mondiali: conosce come “lavorare con il popolo” e “lavora con l’informazione”.

Nel KGB, Putin ha imparato come esplorare le vulnerabilità delle persone, scoprire i loro segreti e utilizzare informazioni compromettenti contro di loro.

In questa visione, gli altri leader mondiali sono essenzialmente “obiettivi”.  Il presidente russo raccoglie informazioni e attentamente confeziona su misura il suo approccio ad ogni leader per vedere come può superarlo con astuzia. Per farvi un esempio, vi racconto di come Putin abbia giocato sulla paura dei cani di Angela Merkel per metterla a margine in un incontro nella sua dacia. Egli permise che il suo Labrador nero annusasse intorno e si stendesse ai piedi del cancelliere tedesco. In molte occasioni ha mostrato che dei funzionari occidentali conoscesse informazioni personali da i loro vecchi file del KGB.

I documenti del Comitato Nazionale Democratico probabilmente non sono stati dati a WikiLeaks dall’intelligence russa, ma la selettiva diffusione di email, in un frangente dove con tutta probabilità possono ottenere la massima attenzione dei media internazionali ed avere il più negativo impatto nella politica degli Stati Uniti, ha il segno caratteristico di un’operazione considerata attentamente.

Trump – Putin: l’inizio di una lunga storia d’amore

Si specula molto sul fatto che Putin potrebbe vedere Donald Trump come qualcuno con cui fare affari e che nutra del risentimento verso Hillary Clinton.

L’elogio di Trump verso Putin come “forte leader” è un sostanziale punto di rottura con la linea generale dei politici americani e dei leader d’opinione che castigano Putin e criticano la Russia. Dall’altra parte, Putin ha fatto dei commenti apparentemente favorevoli a Trump.

In questo quadretto si può aggiungere la circostanza che, sia in pubblico che in privato, Putin e altri ufficiali russi hanno reso chiaro l’opinione negativa della Clinton. Già in un’intervista del 2014 ad una televisione francese, Putin aveva strigliato la Clinton per i commenti che lei fece su di lui, notando che era “meglio non discutere con una donna” e che la Clinton non era mai stata “raffinata nelle sue dichiarazioni”.

In ultima analisi, non ci si può aspettare, ragionevolmente, che Putin possa influenzare il risultato delle elezioni presidenziali americane. La migliore speranza di Putin è di ridurre l’abilità di chiunque si sieda nello studio ovale di perseguire politiche a detrimento degli interessi suoi e della Russia.

Vi propongo dunque un’altra chiave di lettura

La Russia avrà le elezioni parlamentari a settembre, tra un mese dunque, e le elezioni presidenziali nel 2018, quando Putin, ci si aspetta, si candidi per il suo 4° mandato. Le informazioni dei documenti del Comitato Nazionale Democratico per il pubblico russo e per il mondo, sottolineano che la politica americana è “sporca” come quella russa e come in qualunque altro paese. In questo modo gli Stati Uniti vengono mostrati molto meno credibili come autorità morale sulla condotta delle elezioni.
Indipendentemente che sia eletto Trump o la Clinton, nella prospettiva di Mosca, alla fine di questa rovinosa campagna politica, il nuovo presidente americano si presenterà ferito così come si presentò Putin quando entrò in carica nel 2012. Un presidente americano che è eletto tra controversie e recriminazioni, insultato da un consistente segmento dell’elettorato e impantanato nelle crisi domestiche, che incontrerà serie difficoltà a forgiare una politica estera coerente e a sfidare la Russia.

La visionaria politica estera americana di Donald Trump.

Donald Trump ha dichiarato al New York Times che potrebbe non andare in soccorso di uno stato baltico, tutti e tre membri NATO, se la Russia dovesse invaderli. Trump ha poi spiegato che la sua esitazione scaturisce dalla preoccupazione che gli Stati membri della NATO non paghino i loro conti. Resta, tuttavia evidente, quando si parla dell’Alleanza Atlantica, che le affermazioni di Trump vanno al di là dei dollari e dei centesimi. Le  sue ultime dichiarazioni risultano essere coerenti con altri commenti sulla Russia, su Putin e la NATO.

L’insieme di tutte queste dichiarazioni ci indicano che se diventasse presidente Trump, le relazioni tra gli Stati Uniti e la Russia subirebbero una trasformazione. Ricordiamo che Trump ha chiamato la NATO: “obsoleta”, mentre suggeriva a gran voce il miglioramento di legami bilaterali con la Russia.

Trump è rimasto sorprendentemente vago circa i dettagli di quasi tutti i suoi piani politici, tuttavia le sue dichiarazioni ci suggeriscono che in un’amministrazione Trump, gli Stati Uniti si tireranno indietro dalle aree di conflitto con la Russia, garantendo a Putin molta più libertà di movimento sulla scena globale.

È anche probabile che l’amministrazione Trump si limiti nel criticare le pratiche autocratiche del governo russo, incluso la limitazione della libertà di stampa e le repressioni contro l’opposizione politica.
Se Trump vincesse, la relazione tra Mosca e Washington potrebbe includere un canale non ufficiale, dietro le scene, percorso, con tutta probabilità dall’uomo che guida la campagna di Trump: Paul Manafort.

Paul Manafort: la lunga mano russa che guida la campagna elettorale di Trump

Manafort è arrivato a Trump dopo aver fatto miracoli in Ucraina a fianco dell’ex presidente Viktor Yanukovych, uno stretto alleato di Putin. Nel corso di più di una decade, è diventato molto familiare ai potenti giocatori nella regione.
Manafort arrivò a Kiev nel tardo 2004, quando gli ucraini anti corruzione e pro – democrazia erano nel bel mezzo della Rivoluzione cosiddetta “orange revolution”; assunto da Yanukovych, come consulente della campagna elettorale. Quando il popolare leader dell’opposizione, Viktor Yushchenko, fu ad un soffio dalla morte dopo essere stato avvelenato con la diossina, presumibilmente da agenti russi, la sua faccia sfigurata non fece altro che dipingere Yanukovych come il cagnolino di Putin.
Manafort non aveva abbastanza tempo per salvare il suo cliente che perse malamente le elezioni di quell’anno. Molti pensarono che la carriera di Yanukovych fosse finita, ma guidato da Manafort, giocò una lunga partita. Il 2010 fu l’anno di un’altra elezione. L’obiettivo principale di Manafort era quello di muovere Yanykovych più vicino all’occidente, ma di fatto quello che lui fece fu confezionare un’immagine di Yanukovych, alleato ucraino di Putin, che lo faceva apparire più vicino a Washington. Questa operazione ha incluso finanche un photoshop con il presidente Barack Obama in modo che gli elettori ucraini in contrasto con Mosca sarebbero stati propensi a sostenerlo. La vittoria di Yanukovych diede il via ad una rivolta che è terminata con Yanukovych che scappa da Kiev per trovare esilio a Mosca.

Gli anni in cui Manafort ha lavorato nella regione gli hanno permesso di sviluppare relazioni con persone molto vicine a Putin e gli oligarchi russi sono diventati i suoi partner d’affari.

Il modello d’affari di Manfort consisteva nel condurre due operazioni parallele. Una di consultazione politica, l’altra di investimenti che vedevano il continuo guadagno finanziario dai suoi legami sviluppati durante la campagna elettorale per cui lavorava.
La parte politica degli affari, che sembrava specializzata nell’aiutare dittatori, faceva un po’ storcere il naso e qualche volta colpì l’attenzione degli organi di polizia giudiziaria. I procuratori americani accusarono uno dei clienti di Manafort di essere un membro dell’intelligence pakistana. Uno dei suoi partner, il miliardario russo Oleg Deripaska, conosciuto come l’oligarca favorito di Putin è stato oggetto di investigazioni in molti paesi.

Tanto per darvi un’idea del tipo di legame: Deripaska assunse Manafort per aiutarlo quando l’FBI revocò il suo visto americano, tra gli altri, per possibili legami con il crimine organizzato. Manafort e Deripaska, in seguito divennero partner nelle telecomunicazioni ucraine.

Se Trump dovesse diventare presidente, uno dei suoi più visibili cambiamenti nella politica estera americana sarà incentrato sui legami con la Russia. Forse più drammaticamente, ancorché meno visibile, i cambiamenti presumibilmente saranno condotti sotto la guida di Manfort.

Marzo 21 2016

I russi fuori dalla Siria: sarà vero?

russi

L’intervento dei russi in Siria ha: addestrato le proprie truppe e ha dimostrato che Mosca è un attore importante nella regione. Il contingente russo che resta non solo è capace di sostenere una guerra, ma di ripristinare la campagna militare ad un cenno di Putin.

L’intervento militare dei russi in Siria ha due scopi fondamentali. Prima di tutto, prevenire la sconfitta militare di Assad e sostenere il regime. Inoltre, perché Mosca possa giocare un ruolo da attore principale nella soluzione della guerra civile in Siria e ancora di più all’interno della regione.

Ritiro russo solo parziale

e con una tempistica non specificata.
La base navale a Tartus e la base aerea a Khmeimim rimarranno pienamente operative, controllate dai russi e sorvegliate dai moderni sistemi di difesa aerea S-400. I consulenti ed istruttori militari russi resteranno nel paese e, secondo alcune stime, Mosca terrà fino a 1000 soldati sul terreno. La fornitura di armi al regime di Assad continuerà.
L’intervento russo ha significativamente indebolito l’opposizione. Assad ha solo ripreso una piccola parte del territorio che aveva perso l’anno prima dell’intervento russo e con le forze del regime impegnate in tanti fronti, sarebbe improbabile per Assad vincere la guerra.

russi

Un altro punto interessante del ritiro russo è la “relazione” tra Assad e Putin. Proprio perché è curiosa la circostanza per cui Assad, qualche settimana fa, dichiara che vuole riconquistare tutta la Siria e la Russia si ritira. Sembra proprio invece che Mosca voglia recapitare una busta ad Assad con un messaggio: “proteggiamo il territorio, ma non andremo oltre. Devi negoziare un accordo”. Una delle circostanze che ha indispettito Putin è stata l’emanazione del decreto presidenziale di Assad sulle elezioni parlamentari ad aprile. Questa azione è stata vista con tutta probabilità da Mosca come una decisione volta a rovesciare il cronogramma stabilito dagli accordi di Vienna. Il furbetto Assad si è dimostrato il tipo di alleato troppo costoso da mantenere nel lungo periodo.

Gli obiettivi russi

Il principale obiettivo dell’intervento dei russi in Siria è stato quello di garantire a Mosca ed al suo alleato Assad una sedia al tavolo di negoziazione. Prima dell’intervento russo l’occidente parlava della partenza di Assad come precondizione per i colloqui di pace. Se allarghiamo la nostra lente e guardiamo la situazione da un punto di vista più ampio scopriamo che con questo intervento militare i russi hanno dimostrato quanto siano importanti, decisivi, come attori nella regione. Mosca si presenta come l’attore che “risolve” e può incanalare i colloqui di Ginevra come meglio gli aggrada. Che si pensi che Putin è un opportunista tattico o che abbia una precisa strategia, ha raggiunto un obiettivo strategico: rendere la Russia geo – politicamente rilevante, forzando l’Occidente a tenere in considerazione gli interessi russi.

Un altro obiettivo raggiunto dai russi è stato quello di fornire un addestramento cruciale per le truppe di Mosca qualora Putin voglia condurre altre operazioni militari, che siano in Ucraina o in qualche vicino “scomodo”.

E, non da ultimo questo intervento e il conseguente ritiro possono essere venduti all’opinione pubblica russa come una vera e propria vittoria.

Il ritiro russo è solo formale

Alcuni aerei sono tornati in Russia, ma non sappiamo attualmente quanti ce ne siano perché arrivano altri, nuovi. Inoltre, non ci sono numeri di quanti erano all’inizio dell’intervento militare. È stato stimato che c’erano tra le 3 e le 6 mila truppe russe in Siria  e quello che sappiamo ora è che i russi hanno lasciato truppe a sufficienza per supportare logisticamente le loro forze  alla base aerea a Khmeimin e al porto di Tartus

Più importante: il dispiego di dispositivi d’arma così detti area denial weapon cioè quei dispositivi che servono a prevenire la creazione di corridoi umanitari o no – fly zone sono tutti rimasti. Le forze russe che monitorano e dominano lo spettro elettromagnetico sono rimaste.

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Anche i più avanzati velivoli SU – 35 e SU – 30 sono lì. I loro consulenti e l’artiglieria, i decisivi fattori sul terreno stanno ancora guardando il campo di battaglia siriano preparati a cosa debba avvenire dopo. 

Il contingente russo che resta non solo è capace di sostenere una guerra, ma di ricostruire la sua campagna militare ad un cenno d’ordine del presidente Putin. Mantenendo la sua capacità di area denial weapon contro l’occidente e la Turchia, si assicura che non ci siano sforzi per rovesciare il bilancio di potere sul campo di battaglia. Manda un chiaro messaggio alla Turchia e agli altri: la Russia continuerà ad assicurare che nessuno possa capovolgere la sua vittoria o minare il suo peso “riconquistato” nel sistema internazionale.
Un altro importante gruppo di attori non è definitivamente partito dal campo di battaglia siriano: le centinaia di truppe del Revolutionary Guard Corps iraniane, i combattenti di Hezbollah, un certo numero di milizie sciite provenienti dall’Iraq e dal Pakistan.

Se la vogliamo mettere proprio in termini semplici semplici: la presenza significativa di aerei russi non era più necessaria.
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Dicembre 31 2015

I quesiti lasciati in sospeso dal 2015

2015

Il 2015 ci lascia con questioni in sospeso: i giochi delle potenze a spese delle popolazioni già dilaniate da guerre civili. Africa, Medio Oriente, Europa, auguriamoci che il 2016 porti qualche risposta efficace.

I quesiti che il 2015 lascia aperti, sono purtroppo tanti. Alcuni più pressanti.

La Russia trionferà o sarà un epic fail in Siria?

Quest’anno il presidente Putin ha deciso di intervenire in Siria e questo avrà necessariamente un effetto di lungo termine sulla risposta che le grandi potenze daranno nelle prossime crisi. Se Mosca riuscirà ad aggiudicarsi un accordo di pace congeniale ai suoi interessi, i falchi dalla Cina e dagli Stati Uniti diranno che la forza militare è ancora un efficace mezzo nell’arte di governare mettendo una grande ombra sulle lezioni che si dovrebbero apprendere dal fallimento degli Stati Uniti in Iraq.
A Washington gli analisti invece prevedono che la Russia finirà per restare intrappolata in un pantano creato da essa stessa. Se questo sarà il caso allora le maggiori potenze diventeranno riluttanti nell’intervenire nelle nuove guerre.

Le coalizioni arabe sunnite riusciranno ad assumere il ruolo di “stabilizzatori” del Medio Oriente e del Nord Africa, minando ogni intervento esterno?

Uno degli interventi militari più significativi di quest’anno è stato l’incursione guidata dall’Arabia Saudita per cacciare i ribelli Houthi dallo Yemen. Riyadh è riuscita a mettere insieme una coalizione di alleati arabi sunniti, supportati da mercenari ben pagati. Questo intervento non è proprio andato liscio come l’olio, ha finito per rafforzare il potere dell’affiliato locale di Al Qaeda e gli arabi potrebbero rivolgersi alle Nazioni Unite per mandare i peacekeepers nel 2016. Tuttavia se i sauditi e i loro alleati concludono che malgrado i costi l’operazione in Yemen sia valsa la pena, potrebbero lanciare queste “missioni di stabilizzazione” nel Medio Oriente, Nord Africa negli anni a venire, minando i tentativi di incursione esterni nella regione.

L’Unione Europea sarà finalmente pronta per la gestione delle crisi?

L’Unione Europea si è sforzata di diventare una forza militare convincente per due decadi. Un po’ meglio è andata nel 2015, con le opzioni navali per gestire il traffico di migranti nel Mediterraneo. Tuttavia la crisi dei rifugiati, gli attacchi di Parigi, il disordine in Nord Africa gradualmente hanno spaccato l’Unione in cui ogni stato membro ha fatto i propri giochi di potere. Potremmo augurarci che il 2016 sia finalmente l’anno della serietà dell’Unione Europea nelle questioni di sicurezza.

Le potenze africane riusciranno a controllare il loro continente?

L’Unione Africana sta lavorando su piani di intervento per fermare la discesa verso il caos del Burundi. Se avesse successo potrebbe essere un buon passo verso la costruzione di qualcosa di meglio che le improponibili ed inefficaci missioni di stabilizzazione in Somalia ed il dispiegamento confuso nella Repubblica Centrafricana.

Il presidente della Repubblica Democratica del Congo, Kabila, riuscirà ad umiliare le Nazioni Unite?

Kabila sta cercando con grande determinazione e tenacia di aggirare la costituzione per vincere il terzo mandato al comando del più grande paese dell’Africa sub – sahariana, che ha ospitato i peacekeeper per 15 anni. Questo potrebbe rivelarsi un’enorme crisi di reputazione per le Nazioni Unite per aver “costruito” stati funzionanti che alla fine si rivelano dei grandi danni essi stessi. Tuttavia se Kabila decidesse di farsi da parte, sarebbe un segnale di successo per i caschi blu dopo le recenti battute d’arresto in Sud Sudan e Mali.

Riusciranno le grandi potenze ad eleggere come segretario generale delle Nazioni Unite, un vero manager delle crisi?

Nel 2017 ci sarà l’elezione del nuovo segretario generale ONU, in questo anno riusciranno a trovare uno diverso da Ban Ki – moon che ha sempre preferito stare nelle conferenze diplomatiche?

Ci auguriamo che il 2016 porti risposte concrete efficaci. BUON ANNO!

Dicembre 2 2015

La Russia e il petrolio

Russia petrolio

La Russia cerca un accordo con l’Arabia Saudita per alzare i prezzi del petrolio, ma la questione siriana rischia di rovinare i suoi piani.

L’economia russa è in caduta libera. La concomitanza delle sanzioni occidentali, i prezzi bassi del petrolio, un debole rublo hanno contribuito alla contrazione dell’economia russa del 3.4 % nella prima metà del 2015.

Non è la guerra in Siria, in se stessa, che manderà Putin in bancarotta. Anche ad un costo stimato di 4 milioni di dollaro al giorno, l’intervento in Siria sarebbe coperto da ingenti somme di denaro confluite nel budget della difesa russo. Secondo un calcolo fatto dal Financial Timesanche se la Russia continuasse i suoi attacchi aerei per un anno completo, userebbe meno del 3% dei fondi del budget della difesa nazionale nel 2016.

 

L’accordo con l’Arabia Saudita

Il problema economico russo potrebbe venire da un’altra parte. In estate, Mosca si è mossa per  raggiungere un accordo con l’Arabia Saudita e altre nazioni OPEC per far alzare i prezzi del petrolio. Tuttavia l’impegno russo in Siria e il suo focus su operazioni militari su gruppi che sono sostenuti da Riyadh rendono molto più difficoltoso il raggiungimento di un accordo. Considerando che la Russia fa affidamento su ricavi derivati dal petrolio per metà del suo budget nazionale, le speranze di Putin di far risalire l’ economia domestica non saranno positive se non ci sarà un aumento dei prezzi del petrolio. Inoltre, la Russia è già coinvolta in una “guerra dei prezzi” con l’Arabia Saudita, dal momento che entrambi i paesi stanno cercando di vendere il greggio a prezzi molto molto scontanti all’ Europa per catturare quote di mercato lì.

La Russia nel labirinto siriano

Al di là del “fronte petriolio” è verosimile che i sauditi e gli stati del golfo risponderanno alle strategie della Russia in Siria aumentando il loro supporto ai ribelli siriani. L’Arabia Saudita e gli stati del golfo, presenti sulla scena internazionale per arginare la Russia, avevano messo la Turchia in ultima fila, ed è questo il motivo per cui Erdogan ha deciso di abbattere l’aereo russo. La Turchia voleva disperatamente essere protagonista nelle vicende della regione già all’inizio della guerra civile in Siria nel 2011, ma non ci è mai riuscita. La questione dei curdi è un tarlo per Erdogan ed è disposto a tutto, anche ad un gesto azzardato come quello di abbattere un aereo russo, pur di non riconoscere neanche una zolla di terra ai curdi. La Russia ha risposto accusando la Turchia di voler proteggere il suo mercato illecito di petrolio con l’ISIS.

E’ difficile leggere questa situazione come qualcosa di positivo per Mosca, piuttosto la strada che pare stia intraprendendo la Russia sia più verso un isolamento nel Medio Oriente che verso una sua espansione. Malgrado si sia sforzata di dipingersi come il “mediatore” della questione siriana.
Il ruolo della Russia in Siria, come è spesso il caso negli interventi in Medio Oriente, potrebbe essere molto più lungo di pochi mesi.
Le ricadute dai primi due mesi di combattimenti in Siria per la Russia sono state: i civili russi morti nell’attentato in Sinai, aumento delle tensioni con gli stati del golfo o ora con la Turchia. Tutto ciò rischia di fare di Mosca un prigioniero degli eventi sul terreno in Siria e delle negoziazioni di Vienna sul futuro della Siria. Una volta entrati in questo tipo di guerre è difficile uscirne.

 

 

Novembre 18 2015

La Russia non è il benefattore che pensate

Russia

La Russia in Siria fa il suo gioco e non è certo il “salvatore” arrivato dall’est.

La Russia non è quella potenza totalitaria che ha invaso, occupato e preso la Crimea. Non è quella potenza totalitaria che tiene sotto scacco due regioni dell’Ucraina. Ci si dimentica facilmente di accadimenti recenti, per far posto alla superficialità di risposte “di pancia” , sull’onda dell’odio.

 

La Russia continua a dare priorità alla preservazione di Assad piuttosto che combattere l’ISIS atttraverso la sua campagna aerea in Siria.

Gli attacchi aerei russi, supportati dal regime con operazioni di terra, contro l’opposizione armata siriana (dal 13 al 15 novembre) si sono concentrati sulla parte sud della campagna di Aleppo altri  attacchi si sono concentrati nel nord della Siria mentre le forze del regime avanzavano.

La Russia continuerà a presentarsi come un partner decisivo per la lotta all’ISIS in Siria.

Agli occhi della comunità internazionale, la Russia vuole essere il “benefattore”, il “ci penso io”,mostrando come sia inutile l’Unione Europea ancora divisa sulla risposta alla minaccia al terrorismo internazionale. Quindi dichiarazioni di natura politica con temi forti come invocando la composizione di una “coalizione anti – Hitler”. Oggi addirittura l’annuncio della creazione di una commissione per combattere finanziamenti ai terroristi.

Cosa fa la Russia in Siria?

La campagna russa in Siria sta accelerando la radicalizzazione dell’opposizione armata al regime di Assad. La brutalità del regime di Assad contro la popolazione civile in 4 anni di conflitto armato ha portato i ribelli dritti in partnership con Jabhat al – Nusra, creazione in primis di Abu Bakr al Baghdadi e poi dimostratosi molto più vicino (per strategia) ad Al Qaeda centrale. Ufficiali del Pentagono hanno confermato che l’utilizzo di munizioni cluster* in aeree popolate ad Hama e nella Provincia di Idlib. Ci sono altre fonti che indicano che l’uso di munizioni cluster si è verificato anche nella provincia di Aleppo. Gli attacchi della Russia hanno ucciso 254 civili solo nel periodo 30 settembre – 26 ottobre, secondo il Syrian Network for Human Rights. Alla fine di ottobre 2015, secondo un rapporto di Medici senza Frontiere gli attacchi russi hanno avuto come obiettivi almeno 12 infrastrutture mediche in Siria. Il 12 novembre fonti locali hanno riportato l’uso di fosforo bianco** durante gli attacchi russi nelle provincia Idlib. L’intervento violento russo sta già avendo come conseguenza l’unificazione di ribelli in elementi estremisti ancora più potenti: tre gruppi di ribelli composti da foreign fighters  questi tre gruppi si sono fusi in un gruppo estremista di natura religiosa in particolare islamica che si chiama  Ahrar al-Shamhanno dichiarando alleanza a Jabhat al – Nusra.

Perché la Russia è in Siria?

Putin ha visto che un gran numero di ceceni si uniscono allo stato islamico ed è per lui una minaccia. Per la Russia la prorità è la preservazione dello stato siriano. Il leader russo guarda all’Afghanistan, all’Iraq, alla Libia e vede come gli interventi occidentali hanno avuto come risultato l’anarchia. E teme proprio questo.

Considerare la Russia un “alleato” vuol dire sottovalutare la portata e l’ampiezza dei suoi interessi personali di potenza mondiale. Il rispetto delle regole dell’ordine internazionale fa sì che questo sistema non si sgretoli di fronte alle minacce di gruppi terroristici transnazionali e abbandonare quel complesso di regole (togliere le sanzioni alla Russia, interventi di rappresaglia – sproporzionata) vorrebbe dire abbandonare quello che è stato costruito in anni e anni e trovarci in preda al vento di chi colpisce più forte.

 

 

 * Cluster bomb ovvero bombe a grappolo: ordigni contenenti un certo numero di sub – munizioni: le bomblets che, al funzionamento dell’ordigno principale (cluster), vengono disperse, secondo diversi sistemi, a distanza. (La Convenzione ONU sul divieto dell’utilizzo delle bombe ha grappolo non è stata né firmata né ratificata dalla Russia – e neanche dagli Stati Uniti)

**Fosforo bianco:  a contatto con l’ossigeno presente nell’aria produce anidride fosforica generando calore. L’anidride fosforica reagisce violentemente con composti contenenti acqua e li disidrata producendo acido fosforico. Il calore sviluppato da questa reazione brucia la parte restante del tessuto molle. Il risultato è la distruzione completa del tessuto organico.