Dicembre 1 2015

Decidere come definire l’ISIS

isis

Stabilire come definire l’ISIS è di cruciale importanza per decidere come combatterlo.

Le discussioni sull’ISIS si sono concentrate su quello che non si sa: le oscure connessioni in occidente, la propaganda che, a parte l’ Al – Hayat media centre, si diffonde sui social network non si sa bene da dove. Tuttavia decidere come considerare l’ISIS è cruciale per poter poi definire una strategia efficace per combatterlo. Obama parla di una strategia che si può definire containment plus: contenere il gruppo in Siria ed in Iraq e accelerare la caduta con attacchi aerei costanti e il supporto degli alleati regionali. I critici, invece, propongono una serie di opzioni: a partire dal permettere alle forze locali di sconfiggere il gruppo, a rendere le regole d’ingaggio più “morbide”. Dispiegare una forza di terra per combattere che dovrebbe consistere in circa 50 mila uomini, di cui 20 mila sarebbero soltanto americani.

Qual’è la strategia giusta?

La risposta dipende in parte da che tipo di nemico noi pensiamo sia l’ISIS. E’ un gruppo terroristico transnazionale con enormi risorse finanziarie che controlla porzioni sostanziali di territorio, che pianifica attacchi, coordina e addestra operativi e gestisce una complessa rete finanziaria? Oppure è uno stato che sponsorizza attacchi di natura terroristica?

Se lo consideriamo come un’organizzazione terroristica transnazionale allora il “contenimento” è una strategia difficile, perché anche se contenuto, potrebbe continuare a sostenere attacchi in altre parti del mondo. Tuttavia, se lo vediamo come un proto – stato, allora la prospettiva cambia decisamente: un proto – stato che combatte su tre fronti: Iraq ad Est, curdi a Nord e Siria e altri altri gruppi di ribelli ad Ovest.

ISIS = proto stato

Il paradosso creato dallo “stato islamico” è che al suo interno si comporta come un proto – stato. Quello che potremmo definire “pro- stato” capitalizza le privazioni dei sunniti in Siria ed Iraq e cresce nel caos causato dalla guerra civile in Siria.
Il progetto politico di cambiamento sociale messo in atto dall’ ISIS, ha permesso di sostenere il proprio modello di governance e di espanderlo capitalizzando le privazioni dei sunniti in Iraq e Siria. Ha combinato l’amministrazione municipale (polizia, educazione, servizi) con la gestione delle infrastrutture e l’assistenza umanitaria.

Centrale per la governance dello “stato islamico” è l’implementazione di una stretta forma della legge della shari’a. Ciò include l’imposizione di pene fisse per una serie di crimini; imposizione della partecipazione alle 5 preghiere quotidiane; divieto di droghe, alcool e tabacco; controllo dell’abbigliamento e di come ci si presenta; divieto del gioco d’azzardo. Imposizione di una forma di “protezione” sui monoteisti non islamici, che è apparsa a Raqqa dalla fine del febbraio 2014 e Mosul dal 7 luglio 2014. Pagando la tassa fissa, attenendosi a delle rigide regole, inclusa la non costruzione di altre infrastrutture lavorative, rimozione di tutti i segni visibili di fede, non utilizzare armi, non vendere né consumare alcool o carne di maiale. Se non si sottostava a questo “patto di protezione” si doveva abbandonare la città in 48 ore. Nei riguardi delle religioni non monoteiste, lo “stato islamico” si è rivelato completamente irremovibile. Nell’ottobre del 2014 l’ISIS ha ammesso di aver etichettato gli Yazidi come politeisti e dunque satanisti che potevano quindi essere ridotti in schiavitù e le cui donne potevano diventare le concubine dei combattenti dello “stato islamico”.
Immediatamente dopo la cattura di un territorio, l’ISIS cerca di stabilire l’ordine e la legge. Forze di polizia maschili e femminili, vengono formate rapidamente e dispiegate per i controlli. La rapidità di una tale mobilitazione viene spesso facilitata da salari generosi. Si stabiliscono corti “della shari’a”.
Un altro elemento chiave della governance politico – religiosa dell’ISIS è l’educazione religiosa e il proselitismo.
Significative risorse sono destinate alla fornitura di servizi sociali. Dopo aver preso il controllo, nella municipalità conquistata, di industrie, servizi e strutture municipali, assicura quello che l’ISIS percepisce come una più egalitaria ed efficiente distribuzione dei servizi. Esercita autorità di controllo su elettricità, acqua, gas industrie locali e persino panetterie (a Deir Ezzor ha abbassato i prezzi del pane nel giugno del 2014). Bus gratis, sanità gratis, vaccinazioni gratis per i bambini, pasti per i poveri, scuole, mutui per progetti di costruzione e persino l’ufficio per la protezione del consumatore.
Come proto – stato è estremamente debole, geograficamente vulnerabile, con risorse non sostenibili a lungo termine e con gravi problemi sul supporto della popolazione.

Decidere di confrontarci con l’ISIS – proto stato –

Ci sono tre punti fondamentali da prendere in considerazione se si decide di confrontarsi con l’ISIS come proto – stato.

  1. Finanziamento
    Sentiamo parlare molto del flusso di denaro dell’ISIS, che è ingente per un gruppo terroristico transnazionale, ma minuscolo per uno Stato. Nei primi anni di esistenza dell’ISIS, i suoi ricavi per la vendita di petrolio erano un grande problema per tutti, recenti stime estrapolate da una provincia ci dicono che i ricavi sono di circa 500 milioni di dollari all’anno solo per il petrolio. Tuttavia l’estrazione del petrolio e del gas non sono una risorsa finanziaria sostenibile. La produzione di petrolio sta crollando perché il gruppo manca di ingegneri e a causa del bombardamento alle infrastrutture petrolifere. Inoltre, il petrolio che l’ISIL può vendere deve avere un prezzo estremamente scontato rispetto ai prezzi di mercato mondiali, a causa delle sanzioni (risoluzione Consiglio di sicurezza n.2199 – 2015: oil trade) e delle limitazioni fisiche per trasportare il prodotto al mercato mondiale.
    Una risorsa alternativa di finanziamento, oggetto di molta attenzione è stata il saccheggio delle antichità. Nel lungo termine il sostegno finanziario che ne deriva sarebbe limitato; nel breve termine, il gruppo ha riempito il mercato di oggetti antichi per aumentare il denaro contante, ma i prezzi cadranno a meno che la domanda per questo tipo di beni  sia molto elastica, circostanza che sembra improbabile.
    Dunque l’ISIS resta con quella che si è rivelata la sua principale fonte di guadagno: le tasse alla popolazione sotto il suo controllo e l’estorsione. Ma anche questo tipo di finanziamento è insostenibile visto che molti residenti scappano, portandosi via i loro capitali (sia capitale umano che fisico), l’inflazione erode il valore delle tasse e le persone esposte ad eccessiva tassazione smettono di investire in attività produttive.
  2. Popolazione
    Ci sono due fonti scientificamente valide le cui stime combinano i dati di censimento che le immagini del satellite per stimare i numeri di popolazione nel mondo. Dunque mappe e stime insieme ci suggeriscono che le aree che l’ISIS tassa avevano una popolazione pre – guerra tra i 2.8 milioni e i 5.3 milioni di persone. Tuttavia il gruppo ha sofferto di massicce partenze dai suoi territori, talmente tante che la sua propaganda ha attaccato coloro che lasciavano i suoi territori.

Inoltre, i diritti (umani soprattutto) non sono protetti, le regole cambiano costantemente. Ci sono molti rapporti che rivelano che il gruppo forza le persone a restare e ci sono significative tensioni tra i combattenti locali e i combattenti stranieri che ricevono un trattamento diverso, preferenziale.

Il gruppo, chiaramente chiama persone che si uniscano alla sua causa. Queste persone sono più una moltitudine di combattenti con poco addestramento, piuttosto che ingegneri, amministratori o imprenditori di cui un’economia avrebbe bisogno.

La competenza del pro – stato come regime

L’ISIS sarebbe condannato come stato. La storia moderna ci mostra che imprevedibili regimi autocratici soffrono sempre di economie terribili e di scarsa crescita. Ogni stato che nello scorso secolo ha avuto una governance basata sull’estorsione (alte e imprevedibili tasse amministrate da una leadership autocratica che redistribuisce i guadagni a coloro che fanno parte dell’elite del regime) ha visto  la sua economia, nel corso del tempo, sgretolarsi.

Le istituzioni di governo dell’ISIS sono pessime viste da una prospettiva di attività economica: pochi diritti di proprietà, tassazione imprevedibile, nessun investimento in capitale umano, nessun mercato di credito o assicurazioni. A meno che la leadership dell’ISIS non abbia pianificato una maniera radicale per gestire la produzione che nessun altro paese ha ideato, la loro economia produrrà molto poco.

E’ impossibile predire in quanto tempo l’economia del proto – stato crollerà. Tuttavia il suo crollo nel tempo è certo.

Il problema ha afflitto stati molto più legittimi dell’ISIS. Lo Zimbabwe: ricco, prima che le sue istituzioni di governo lo condannarono alla stagnazione e poi al declino. Stati come lo Zimbabwe non svaniscono, in parte perché sono parte del sistema globale che valuta la loro stabilità ed in ultima analisi li tengono in vita. L’ISIS non ha ancora questa salvezza.

Il beneficio ideologico di farlo crollare da solo.

Se permettiamo all’ISIS di fallire da solo, sarebbe chiaro che il fallimento sarebbe dell’ISIS come idea, come progetto politico. Non sarebbe lo stesso se fosse sconfitto dalla potenza militare occidentale. Viste i suoi punti deboli strutturali e il suo valore simbolico nella guerra delle idee, la miglior strategia potrebbe essere quella basata sul contenimento, facendo sì che proprio l’ideologia che motiva il gruppo lo distrugga dall’interno.

Riempire i vuoti di potere in Iraq e in Siria.

L’ISIS si è inserito come un serpente in Iraq, facendo leva sul malcontento dei sunniti, in Siria nel vuoto di potere causato dalla guerra civile. Promuovendo le già accordate misure degli accordi di Ginevra che fanno peraltro parte dell’annesso I alla risoluzione 2118 del Consiglio di Sicurezza reiterate nell’ultima risoluzione 2249 del 21 novembre 2015, quindi compiendo i passi necessari verso la transizione politica in Siria è molto più effettivo ed efficace che mandare 50 mila uomini e donne a distruggere il già distrutto.

Novembre 29 2015

Come affrontare una conversazione da bar sull’ ISIS

ISIS conversazione da bar

Le conversazioni da bar sull’ ISIS sono insidiose, è facile perdere ed essere costretti ad uscirne sconfitti. Ecco una breve guida per uscirne vincitori e farvi magari offrire un caffè.

L’ISIS è indubbiamente l’argomento di conversazione che va per la maggiore in questo periodo. Dopo gli attacchi di Parigi anche al bar, tra un cappuccino, un cornetto e il caffè ci si ferma a “sragionare” su chi sono questi assassini. Vi propongo una serie di affermazioni a cui potreste rispondere e uscire vincitori dalla conversazione.

“Riguarda l’Islam”

Sì. L’ISIS combatte per ristabilire il Califfato che aveva governato i territori del Medio Oriente e del Nord Africa fino al Medioevo. Maometto, il fondatore dell’Islam, e i 4 rightly guided Caliph poi, usarono la violenza per stabilire uno stato basato sulla religione. Il leader dell’ISIS, Abu Bakr al – Baghdadi, ha un dottorato in “Sharia Law” e studi coranici.

No. L’ISIS ha bruciato vivo un pilota musulmano e l’ha filmato. L’ISIS ha giustificato l’atto crudele asserendo che l’uomo era un apostata che meritava di essere bruciato perché gettava bombe sui musulmani. Le scritture islamiche espressamente dicono che gli apostati non devono essere bruciati vivi. L’ISIS ignora questo fatto e tutti quelli che limitano l’uso della violenza. L’ideologia su cui si basa l’ISIS appartiene alla corrente conservatrice all’interno dell’islam sunnita: contiene elementi sia di salafismo che di whhabismo. Correnti estremiste, conservatrici appartengono a tutte le religioni monoteistiche.

“Questi dell’ISIS sono dei pazzi assassini senza cervello”

Sì. Alcuni di coloro che combattono per l’ISIS sono degli assassini tout court. Cercano solo un’opportunità per vivere le loro fantasie più nere ed orrifiche.

No. La leadership dell’ISIS pensa attentamente alla sua strategia. Non si stabilisce un “proto – stato” e lo si fa sopravvivere a dispetto di nemici molto potenti solo per fortuna o per caso. Il manuale di strategia utilizzato dal gruppo “the management of savagery”, spiega come stabilire un califfato e assicurarne la sua sopravvivenza.

“La strategia contro l’ISIS sta funzionando?”

No. L’ISIS continua a mantenere il suo governo in Siria e in Iraq e continua ad essere un “proto – stato”.  Si è espanso al di là della Siria e dell’Iraq attraverso una rete di affiliazione, concepita come un vero e proprio arcipelago di province, nel Medio Oriente, in Africa e persino del Nord Caucaso. Ha addestrato operativi in Europa che potenzialmente possono costituire una grande minaccia.

Sì. Con la campagna di bombardamenti l’ISIS ha perso circa il 25% dei suoi territori, perso milioni di dollari di ricavi e decine di migliaia di soldati nell’ultimo anno. I bombardamenti a Raqqa, agli obiettivi logistici dell’ISIS, hanno fatto sì che il tempo che l’ISIS ricollochi la sua logistica possa essere utilizzato dalla coalizione per tracciare e seguire gli spostamenti dell’ISIS (tracciare quindi individui, proxy e flussi di denaro).

Questo non vuol dire che i bombardamenti siano una strategia efficace a lungo termine.

“I soldati neri possono infiltrarsi in occidente con i rifugiati siriani e condurre attacchi”

Sì. Qualcosa di simile è accaduto già, quando due uomini legati ad Al Qaeda in Iraq sono arrivati negli Stati Uniti come rifugiati dalla guerra in Iraq per procurarsi armi. Uno degli attentatori di Parigi potrebbe essere arrivato in Europa con un passaporto siriano falso.

No. Un’organizzazione come l’ISIS che guadagna circa 2 milioni di dollari al giorno, non farebbe rischiare ad uno dei suoi operativi la vita per infiltrarsi in Europa via barcone, rischiando peraltro la vita e quindi con la possibilità di non poter realizzare ciò per cui era stato mandato. In almeno 6 video messaggi distribuiti dalla leadership dell’ISIS attraverso le sue province si asserisce chiaramente che coloro che abbandonano la terra del Califfato con i barconi non sono dei devoti musulmani. I messaggi invitano inequivocabilmente a non abbandonare la loro terra per andare nella terra degli infedeli. Il problema semmai risiede in coloro che sono cittadini europei e che seguono le direttive dell’ISIS in merito alla Hijra (migrazione): coloro che sono impossibilitati al raggiungimento del Califfato possono restare in occidente e combattere i crociati lì.

Probabilmente molti di voi resteranno delusi perché ad ogni affermazione non c’è mai un solo sì o un solo no. Il fenomeno del terrorismo internazionale è complesso e quello dell’ISIS lo è ancora di più soprattutto per la particolarità di essere un “proto – stato” al suo interno ed un’organizzazione transnazionale terroristica nella sua proiezione esterna.

Novembre 27 2015

E se anche i cristiani dovessero scusarsi per i fondamentalisti cattolici?

fondamentalisti

I musulmani in Italia scendono in piazza per dissociarsi dai fondamentalisti islamici, ma quante volte sono scesi in piazza i cristiani per manifestare contro i fondamentalisti cattolici?

Nel parlare comune, bombardati da mille trasmissioni televisive, articoli di giornale, la parola fondamentalismo si associa solo alla religione monoteistica musulmana. Generare confusione su temi complessi è una tecnica politica, questo lo sanno tutti e quindi facciamo chiarezza.

Cosa vuol dire fondamentalismo?

La parola fondamentalismo è stata coniata nel 1924 per connotare i cristiani evangelici negli Stati Uniti e poi estesa alle altre religioni monoteiste. Nel 1919 fu fondata a Filadelfia la World’s Christian Fundamentals Association, ispirata da W.B. Riley. Nel 1920 i fondamentalisti cristiani avviarono l’offensiva contro la modernizzazione nella Chiesa e nella società, sensibilizzando l’opinione pubblica e provocando gravi scissioni in vari gruppi protestanti.

Alcuni esempi di fondamentalisti cristiani?

Ci siamo presto dimenticati di cosa accadde nell’ Isola di Utoya dove un killer travestito da poliziotto raduna centinaia di ragazzi che partecipavano ad un campo estivo dei giovani laburisti, uccidendone 90. L’assalitore arrestato dalla polizia, Anders Behring Breivik confessa di essere l’autore della strage e si descrive come un fondamentalista cristiano, conservatore, di orientamento anti – islamico.

Nessuno è sceso in piazza mai per manifestare contro il genocidio di massa nella guerra in Ruanda che ha portato a circa 800.000 morti. Neanche quando questa guerra è stata definita “genocidio” dalla comunità internazionale e dalle Nazioni Unite. Perché? Molto semplice si fa fatica a dire che il genocidio è stato portato a termine dagli Hutu, prevalentemente di fede cattolica e da sempre molto vicini alla Chiesa Secolare, che sterminarono l’etnia Tutsi. Il genocidio massacrò più uomini all’interno delle chiese cattoliche che in ogni altro luogo.

E l’ esercito di Resistenza del Signore? Qualcuno se lo ricorda? Un esercito di guerriglieri  ultra-cattolici in nord Uganda, nel Sudan del Sud, nella Repubblica Democratica del Congo e nella Repubblica Centrafricana. Responsabili direttamente di un numero imprecisato di omicidi (tra i 5.000 e i 20.000) e dell’esodo in fuga di oltre 300.000 persone. Accusati di crimini contro l’umanità, compresi massacri, rapimenti, mutilazioni, torture, stupri, messa in schiavitù a fini sessuali. Peraltro utilizzando sistematicamente i bambini come combattenti, drogandoli mischiando il latte alla polvere da sparo.
Questo movimento religioso guidato da Joseph Kony si auto-dichiarava fondamentalista cristiano, contro all’Islam e a favore della creazione di una teocrazia basata sui Dieci Comandamenti.

Classificato come terrorista dall’FBI, Eric Robert Rudolph membro del movimento ultracattolico Christian Identity (che ritiene i cattolici ariani la Razza Eletta dal Signore) è autore di una serie di attacchi terroristici tra cui:l’attentato alle Olimpiadi di Atlanta presso il Centennial Olympic Park nel 1996 con 111 feriti ed un morto; la bomba ad una clinica per aborti ad Atlanta del 16 Gennaio 1997; la bomba all’Otherside Lounge, un bar per clientela lesbica, del 21 Febbraio 1997;la bomba alla clinica per aborti di Birmingham, Alabama del 29 Gennaio 1998; l’uccisione di Robert Sanderson, poliziotto di Birmingham e guardia part-time di una clinica abortistica.

Il 31 Maggio 2009 George Tiller, medico di Wichita in Kansas e persona di spicco a livello nazionale per l’esecuzione di aborti fu assassinato da Scott Roeder durante la funzione religiosa della domenica alla Reformation Lutheran Church.
Scott Roeder, cristiano convinto ed anti-abortista, confessò alla stampa l’omicidio dalla cella di detenzione, motivandolo come atto dovuto e contestando che l’uccisione di un medico abortista, responsabile per lui di decine e se non centinaia di “omicidi”, non rappresentava un reato ma un atto dovuto di ogni buon cristiano, secondo le teorie di David Leach. (David Leach, editore di “Prayer & Action News”, una rivista che incita all’uccisione dei medici che effettuano l’aborto, ha confermato numerosi incontri con Roeder e la sua participazione alla rivista). Leach è anche l’editore dell’”Army of God manual” che incita l’uccisione dei medici abortisti e contiene precise indicazioni per la creazione di ordigni esplosivi, uno dei testi base del movimento terroristico cristiano “Army of God”.

I morti per mano di un fondamentalista cristiano sono forse più accettabili?

Il problema della nostra società è proprio questo che ci vuole sempre qualcuno che paghi per gli errori di un altro o un capro espiatorio. La superficialità con la quale si conducono trasmissioni televisive, con cui i giornalisti scrivono articoli, ci porta alla semplificazione inesorabile di problematiche complesse, come la recrudescenza dei movimenti di fondamentalisti.

L’ideologia dell’ ISIS si basa su elementi di salafismo e whhabismo che sono due correnti conservatrici all’interno dell’islam sunnita.

Non mi sono giustificata, da cristiana cattolica, per la follia omicida di quei personaggi perché erano azioni di estremisti, ma in Italia ci siamo anche lamentati che erano pochi i musulmani in piazza.

Da cristiana cattolica gradirei che ci si preoccupasse di studiare l’ideologia dei gruppi estremisti religiosi e si desse una risposta al problema sapendo esattamente in cosa consiste il problema.  

Novembre 21 2015

Al Qaeda versus ISIS: guerra del terrore

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L’attentato in Mali ci rivela che è in corso una guerra intestina tra Al Qaeda e l’ISIS per la leadership del movimento jihadista globale.

Il gruppo che ha rivendicato, ieri, l’ attacco al Radisson Blue Hotel di Bamako, Mali è al-Mourabitoun.

Chi sono?

Il gruppo si è formato nel 2013 dalla fusione tra  al-Mulathamun (“The Masked Men”) Battalion (AMB) e Movement for Unity and Jihad in West Africa (MUJAO), dichiarando immediatamente che il movimento estremista della regione era ora più forte che mai. Al – Mourabitoun annuncia quindi le sue intenzioni di voler cacciare la Francia e i suoi alleati dalla Regione. Il gruppo ha condotto sistematicamente attacchi contro gli interessi francesi nella regione ed unità militari africane.

Belmokhtar è il suo leader ufficiale dal luglio 2015. Secondo il dipartimento di stato americano, Al – Mourabituoun è il gruppo che pone “la più alta minaccia medio termine agli interessi americani ed occidentali nel Sahel. Nel luglio del 2015 si allea ufficialmente con Al Qaeda rinominandosi: “Al Murabitoon – Al Qaeda in West Africa. Questo gruppo accusa la Francia di uccidere innocenti bambini, donne e anziani fin dal suo intervento in Mali nel 2013.

Cosa ci indica questo attentato?

Che è in atto una guerra intestina tra Al Qaeda e l’ISIS per la leadership del movimento jihadista globale. La guerra interna al terrore è iniziata quando il 31 agosto 2015 i Talebani confermano la morte del loro leader: il mullah Omar. Quest’ultimo era la colonna portante del rifiuto di alleanza con l’ISIS. La morte di Omar lascia liberi tutti coloro che avevano giurato alleanza a lui.  Il suo successore non eredita automaticamente nè il titolo di Amir al Mumineen (Commander of the Faithful) né le alleanze finora dichiarate. Visto che la morte di Omar risale al 23 aprile 2013 (fu dichiarata dai Talebani ufficialmente due anni più tardi), vuol dire che il titolo di Commander of the Faithful era presumibilmente vacante quando Abu Bakr al – Baghdadi ha rivendicato il titolo in concomitanza con la dichiarazione di califfato. Distruggendo in questo modo le argomentazioni pro – al Qaeda che l’ISIS aveva usurpato l’autorità legittima di Omar. Da questo punto in poi l’ISIS ha condotto la sua guerra interna contro al Qaeda diffondendo messaggi in cui si dipingeva al Qaeda come un’organizzazione mendace da cui provenivano ordini da un leader oramai morto da due anni. Argomenti che evidentemente hanno fatto leva su gli affiliati di Al Qaeda che quindi hanno spostato l’alleanza  (bayah) all’ISIS, ma ha sicuramente dato il via ad una guerra intestina che si gioca sugli assi del terrore.

Dov’è finito Zawahiri?

Se Zawahiri è ancora vivo, cosa fa in proposito? Finora abbiamo visto una sua guida che potremmo definire letargica, forse sperando che l’ISIS implodesse e che la situazione si risolvesse da sola. Presumibilmente non è più così. Questo attentato in Mali ci rivela molto di più di quanto sembra. La leadership di Al Qaeda non si tira in dietro nella guerra al terrore, ma questa volta la combatte contro il terrore interno che mina la sua stessa vita.

L’ISIS ha già eroso il territorio controllato da Al Qaeda.

Anche se nessuno ne parla l’ISIS ha tolto ad Al Qaeda 4 delle sei suddivisioni che formavano l’Emirato Islamico del Caucaso. (ISIS raggiunge il Nord Caucaso) Approfittando del vuoto di leadership dell’Emirato islamico, dopo l’uccisione del leader, Kebekov, da parte delle forze speciali russe, ha preso il controllo di 4 province e presumibilmente faranno da leva per le altre.

Questo è solo l’inizio della lotta del terrore nel terrore.

 

 

 

Novembre 21 2015

Convegno sulla realtà geopolitica in Medio Oriente

Locandina Convegno PerugiaOrganizzata dall’associazione Idee in Movimento un’ interessantissima opportunità per avere un quadro completo sulla realtà geopolitica del Medio Oriente. Il mio intervento verterà sullo “stato islamico” da un punto di vista politico – giuridico.

Le belle iniziative dell’Università degli studi di Perugia, dipartimento di Scienze Politiche.

Non per niente io mi sono laureata qui.

Novembre 18 2015

La Russia non è il benefattore che pensate

Russia

La Russia in Siria fa il suo gioco e non è certo il “salvatore” arrivato dall’est.

La Russia non è quella potenza totalitaria che ha invaso, occupato e preso la Crimea. Non è quella potenza totalitaria che tiene sotto scacco due regioni dell’Ucraina. Ci si dimentica facilmente di accadimenti recenti, per far posto alla superficialità di risposte “di pancia” , sull’onda dell’odio.

 

La Russia continua a dare priorità alla preservazione di Assad piuttosto che combattere l’ISIS atttraverso la sua campagna aerea in Siria.

Gli attacchi aerei russi, supportati dal regime con operazioni di terra, contro l’opposizione armata siriana (dal 13 al 15 novembre) si sono concentrati sulla parte sud della campagna di Aleppo altri  attacchi si sono concentrati nel nord della Siria mentre le forze del regime avanzavano.

La Russia continuerà a presentarsi come un partner decisivo per la lotta all’ISIS in Siria.

Agli occhi della comunità internazionale, la Russia vuole essere il “benefattore”, il “ci penso io”,mostrando come sia inutile l’Unione Europea ancora divisa sulla risposta alla minaccia al terrorismo internazionale. Quindi dichiarazioni di natura politica con temi forti come invocando la composizione di una “coalizione anti – Hitler”. Oggi addirittura l’annuncio della creazione di una commissione per combattere finanziamenti ai terroristi.

Cosa fa la Russia in Siria?

La campagna russa in Siria sta accelerando la radicalizzazione dell’opposizione armata al regime di Assad. La brutalità del regime di Assad contro la popolazione civile in 4 anni di conflitto armato ha portato i ribelli dritti in partnership con Jabhat al – Nusra, creazione in primis di Abu Bakr al Baghdadi e poi dimostratosi molto più vicino (per strategia) ad Al Qaeda centrale. Ufficiali del Pentagono hanno confermato che l’utilizzo di munizioni cluster* in aeree popolate ad Hama e nella Provincia di Idlib. Ci sono altre fonti che indicano che l’uso di munizioni cluster si è verificato anche nella provincia di Aleppo. Gli attacchi della Russia hanno ucciso 254 civili solo nel periodo 30 settembre – 26 ottobre, secondo il Syrian Network for Human Rights. Alla fine di ottobre 2015, secondo un rapporto di Medici senza Frontiere gli attacchi russi hanno avuto come obiettivi almeno 12 infrastrutture mediche in Siria. Il 12 novembre fonti locali hanno riportato l’uso di fosforo bianco** durante gli attacchi russi nelle provincia Idlib. L’intervento violento russo sta già avendo come conseguenza l’unificazione di ribelli in elementi estremisti ancora più potenti: tre gruppi di ribelli composti da foreign fighters  questi tre gruppi si sono fusi in un gruppo estremista di natura religiosa in particolare islamica che si chiama  Ahrar al-Shamhanno dichiarando alleanza a Jabhat al – Nusra.

Perché la Russia è in Siria?

Putin ha visto che un gran numero di ceceni si uniscono allo stato islamico ed è per lui una minaccia. Per la Russia la prorità è la preservazione dello stato siriano. Il leader russo guarda all’Afghanistan, all’Iraq, alla Libia e vede come gli interventi occidentali hanno avuto come risultato l’anarchia. E teme proprio questo.

Considerare la Russia un “alleato” vuol dire sottovalutare la portata e l’ampiezza dei suoi interessi personali di potenza mondiale. Il rispetto delle regole dell’ordine internazionale fa sì che questo sistema non si sgretoli di fronte alle minacce di gruppi terroristici transnazionali e abbandonare quel complesso di regole (togliere le sanzioni alla Russia, interventi di rappresaglia – sproporzionata) vorrebbe dire abbandonare quello che è stato costruito in anni e anni e trovarci in preda al vento di chi colpisce più forte.

 

 

 * Cluster bomb ovvero bombe a grappolo: ordigni contenenti un certo numero di sub – munizioni: le bomblets che, al funzionamento dell’ordigno principale (cluster), vengono disperse, secondo diversi sistemi, a distanza. (La Convenzione ONU sul divieto dell’utilizzo delle bombe ha grappolo non è stata né firmata né ratificata dalla Russia – e neanche dagli Stati Uniti)

**Fosforo bianco:  a contatto con l’ossigeno presente nell’aria produce anidride fosforica generando calore. L’anidride fosforica reagisce violentemente con composti contenenti acqua e li disidrata producendo acido fosforico. Il calore sviluppato da questa reazione brucia la parte restante del tessuto molle. Il risultato è la distruzione completa del tessuto organico.

Novembre 14 2015

Attacchi a Parigi: il chiasso degli esperti da salotto

Io che ho vissuto e lavorato in posti lontani, resto in silenzio per rispetto dei morti. Questa è una tragedia non un’occasione per farsi pubblicità.

Oggi voglio parlare a voi, che dalle poltrone comode, dalle vostre scrivanie lucide, parlate degli attacchi a Parigi. Voi che al massimo siete andati in vacanza in Egitto e perciò avete scritto sul CV “esperienza all’estero”. Voi che lucrate sulla morte senza rispetto, senza strategie, solo con frasi apocalittiche per un elettore in più. Sì, dico a voi che fate gli esperti di politica internazionale perché usate la curcuma e mangiate il cous- cous.

Adesso però parlo io: l’esperto di politica internazionale.

Io ho sentito l’esplosione, io ho visto una nuvola nera di polvere e detriti, io ero in un taxi con un uomo al volante ad ISLAMABAD, da sola. Io ero lì a lavorare e il venerdì pomeriggio volevo andare dal parrucchiere al Marriot, ma prima passare a ritirare i panni alla lavanderia, dove però è arrivato prima l’attentatore che si è fatto esplodere proprio lì dentro. Io ho lavorato in Pakistan, in Sierra Leone, in Libano, nella Repubblica di Macedonia, in Tunisia, in Libano. Ho lavorato con ministri panzoni e menefreghisti che venivano nel paese solo per le riunioni con i funzionari del ministero degli esteri perché “portano soldi”. Ho visto gente sorridermi, preoccuparsi perché mangiavo poco, prepararmi la paella in Pakistan portarla in bicicletta nel contenitore “preso in prestito” ad un diplomatico danese. Sono andata sulle montagne tra il Pakistan e l’Afghanistan per inaugurare un progetto e ho trovato silenzio e grandi sorrisi. Ho visto palazzi crivellati a Freetown e bambini venirmi incontro con una gamba sola per chiedere una caramella. Ho visto gente pregare il loro Dio perché ci fosse un mondo migliore.

Esperti che incitano  all’odio razziale. Brandire la spada della guerra di religione per un retweet in più.

Per il mio commento di politica internazionale sugli attacchi di Parigi, aspetto. Sì aspetto nel rispetto del dolore di quelle famiglie che non hanno più i loro cari. Aspetto che gli investigatori ci dicano di più.
In Italia è sempre così, il circo dell’esperto da salotto che non ha mai stretto la mano a nessuno che magari ha la colf filippina e allora si pensa uno multiculturale. Quelli che dicono: “dobbiamo andare in guerra”. (Giorgia Meloni dichiariamo guerra all’ISIS) Chi ci va? Tu con tutta la tua poltrona e a fare cosa?

Il terrore, quella sensazione che si ha dentro che qualcosa di tuo, di veramente tuo ti viene rubato e non lo puoi riprendere, non la puoi capire tu: politico che pensi che i perpetuatori degli attacchi di Parigi sbarchino a Lampedusa  (Salvini è convinto che si siano stipati sui barconi) e non la puoi capire tu che dici Daesh non sapendo che è l’acrononimo arabo di ISIS e quindi dici sempre lo stesso nome. La problematica dello “stato islamico” è complessa non si risolve con le bombe o incitando la caccia alle streghe. Ma oggi non è il giorno di fare analisi, oggi è il giorno del rispetto, della preghiera e del silenzio.

 

 

Novembre 13 2015

La brigata delle donne dello “stato islamico”

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Lo “stato islamico” ha creato una brigata di solo donne il cui compito è di far rispettare la Sharia. Troppo semplicistico chiamarle “spose jihadiste”

Per conto dello  “stato islamico”  chi recluta le donne è una donna ed usa nickname di: “al Khansala”. Questo nome corrisponde ad una poetessa tra le prime donne convertire all’islam ai tempi del profeta Maometto, conosciuta per aver ordinato ai suoi figli di andare in battaglia per l’Islam. Tutti e quattro sono morti. Al  Khansala è sempre stata attiva sui forum legati ad Al Qaeda, ben prima che apparisse sulla scena lo “stato islamico”. Aprì il suo primo account su Twitter nel 2012. Il suo interesse è sempre stato quello di connettere le donne che supportano la jihad una all’altra e alla rete più grande di Al Qaeda. Dopo aver defezionato da Al Qaeda si è unita allo “stato islamico” guidando una vera e propria brigata online che condivide il suo nome e si occupa di reclutare le donne che vogliono unirsi all’ISIS.

La brigata rosa vestita di nero

Agli inizi di quest’anno i sostenitori online di questa brigata “rosa” hanno fatto circolare un documento dal titolo: “Women In The Islamic State: Manifesto And Case Study” redatto allo scopo di reclutare, sostenere e dissipare miti circa il ruolo delle donne. Il testo fu dapprima diffuso online in arabo poi tradotto in inglese da un think – tank anti estremista. La propaganda per il reclutamento delle donne si traduce nell’adempimento del loro ruolo spirituale e divino che è quello di essere moglie di un forte jihadista e madre della prossima generazione.

Per entrare a far parte di questa brigata è essenziale che le ragazze siano nubili e di età compresa tra i 18 e i 25 anni.  Ogni donna riceverà un salario mensile pari a meno di 200 dollari. Dopo un mese di addestramento, imbracciano le armi con l’ordine di far rispettare la legge della Sharia nelle due più grandi città conquistate dal ISIS: Raqqa e Mosul. Le punizioni vengono assegnate da Umm Hamza, una donna descritta in un’intervista/confessione di una donna appartenente alla brigata delle donne dell’ISIS.

Unirsi alla brigata al – Khansala: più motivazioni per un fenomeno complesso

E’ importante evitare la generalizzazione quando si parla di forze che spingono le donne ad unirsi a questo tipo di gruppi. Asserire che le donne si uniscono allo “stato islamico” per diventare le “spose jihadiste” è troppo semplicistico ed ignora i diversi e complessi fattori che portando un numero sempre più crescente di donne ad unirsi a questo gruppo. Idee stereotipate invece suggeriscono l’idea che le donne sono o forzate o raggirate dagli uomini e che possono unirsi a gruppi di questo tipo per le stesse ragioni di un uomo.

Fattori che possono spingere le donne “occidentali” ad unirsi all’ISIS includono dei sentimenti di isolamento politico, sia culturale che sociale che comprendono sentimenti di insicurezza legati all’appartenenza alla cultura occidentale. Un’altra ragione chiave è il sentimento che la comunità musulmana internazionale è perseguitata e quindi prevale la frustrazione della percezione per la mancanza d’ intervento.

Entrano in gioco anche fattori come obiettivi idealistici legati al dovere religioso di quello che è visto come un utopico califfato, un senso di appartenenza e di “sorellanza” nel romanticismo di un gruppo estremista.

Potrebbero essere anche essere spinte da ragioni economiche o per prendersi una rivincita da un trauma personale, come lo stupro, la tortura o la perdita di un membro della famiglia.

Storie come quelle delle due adolescenti da Vienna, età 15 anni e 16 anni che lasciarono casa per recarsi a Raqqa, in Siria, dove sono state fatte sposare a combattenti ceceni che hanno scritto alle loro rispettive famiglie perché volevano scappare, rimaste peraltro incinte, ci fanno capire la complessità di questo fenomeno. Soprattutto dovrebbero portarci a riflettere al di là del nostro naso. Gruppi estremisti di matrice religiosa come lo “stato islamico” non fanno altro che focalizzare l’attenzione di eventuali sostenitori sulla semplicità della dicotomia: buono/cattivo. Evidentemente le nostre società sono molto più cattive di quello che pensiamo se le “nostre” ragazze volano nel nero.

Novembre 11 2015

Quando a farsi esplodere è una donna.

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L’impiego di donne come attentatori ovvero suicide bomber è una realtà.

Il ruolo della donna nella jihad non è chiaro neanche nel Corano e nella comunità islamica ci sono due grandi categorie che possono essere utilizzare per caratterizzare le idee dei gruppi di estremisti di matrice islamica riguardo al ruolo della donna. Un ruolo supportivo contro un ruolo attivo.
Tra i gruppi che sostengono l’idea del ruolo attivo delle donne nella jihad c’è HAMAS, fondato nel 1987 e attiva in Palestina. Hamas ha chiaramente dichiarato la sua posizione nell’ art. 12 del suo statuto: “resistere e soffocare il nemico diviene un compito individuale di ogni musulmano, uomo o donna. Una donna può andare a combattere il nemico senza il permesso di suo marito e così anche la schiava, senza il permesso del suo padrone”. Hamas utilizza donne come suicide bombers  in numero sempre maggiore. Huda Naim una delle donne leader, membro di Hamas, asserisce che molte donne in Palestina vogliono diventare più attive nella jihad.
Un’altra organizzazione che permette alle donne un ruolo attivo nella jihad è l’Islamic Jihad Union, gruppo attivo in Afghanistan ed in Pakistan.
Dal 2005, il numero di suicide bomber al femminile in Iraq è incrementato ed è cresciuto di più ogni anno. Il 9 novembre 2005, ad Amman, Giordania, ci sono stati 3 attacchi suicidi ad Hotel occidentali, il Radisson Hotel, il Grand Hyatt Hotel e il Days Inn, che hanno ucciso dozzine di persone. L’attacco al Radisson ha visto anche un suicide bomber donna. Sajida Mubarak al – Rishawi, 35enne irachena e suo marito anche lui 35enne, cercarono di farsi esplodere in una festa di nozze che si teneva in una delle sale da ballo dell’hotel. Il marito detonò la sua cintura esplosiva per primo, ma quando la donna cercò di farsi esplodere, la sua cintura non esplose. La donna raccontò l’accaduto in una confessione registrata.
Pur tuttavia l’impiego di donne suicide bomber non è nulla di nuovo visto che  agli inizi degli anni ’80, all’età di 16 anni un membro del Partito sociale nazionalista siriano: Sana’a Mehaidli si fece esplodere in una Peugeot vicino ad un convoglio israeliano durante l’occupazione del sud del Libano.
Un altro esempio del ruolo attivo giocato dalle donne è quello delle donne cecene che combatterono dopo che i loro mariti furono uccisi dalle forze russe.

Perché le donne?

Per le donne di gruppi estremisti che usano come tecnica il terrorismo è più facile ottenere l’accesso ai luoghi degli obiettivi indossando l’esplosivo sotto i loro vestiti. Gli atti terroristici delle donne posso attrarre molta più attenzione e quindi maggiore pubblicità rispetto a quelli degli uomini. Il “pubblico” è sia ripugnato che affascinato dalle donne che uccidono. Un altro punto importante è che indossare una cintura esplosiva e farla detonare non richiede grande addestramento e questa disponibilità immediata delle donne reclutate effettivamente raddoppia il numero dei potenziali attori per la causa del gruppo estremista.
Ci sono altre organizzazioni che hanno impiegato donne come suicide bomber: Al Aqsa Martyr’s Brigade, Palestinian Islamic Jihad, Hamas, Chechen rebels, Kurdistan Workers Party, Liberation Tigers of Tamil Eelam.
Le percentuali variano enormemente da gruppo a gruppo. Al Qaeda non ha usato donne fino al 2003, invece più del 50% dei terroristi suicidi sia per i ceceni che per il Kurdistan Workers’ Part erano donne.
Se si dovesse fare una graduatoria di celebrità nell’utilizzo di donne, al primo posto possiamo senz’altro mettere le Liberation Tigers of Tamil Eelam (che combattevano per secedere dallo Sri Lanka), le quali hanno compiuto circa 200 attacchi suicidi nel periodo dal 1980 al 2003 utilizzando le donne nel 30-40% dei casi. L’unità delle Tamil Tigers di donne suicide bomber si chiama: Black Tigress. La donna delle Black Tigress con il numero più alto di vittime si chiamama Thenmuli Rajaratnan, conosciuta anche come Dhanu. Secondo alcuni Dhanu era stata stuprata, i suoi quattro fratelli uccisi, da soldati indiani che erano parte della forza di peacekeeping che era entrata nello Sri Lanka per reprimere la rivolta delle Tamil Tiger. Per Boko Haram ora affiliato dello “stato islamico” che si fa chiamare ISWA (islamic state in west africa), l’impiego delle donne come suicide bomber è una tattica comune in Nigeria da almeno due anni. Uno degli attacchi più feroci c’è stato il 27 novembre 2014: due donne hanno ucciso 78 persone e ferito molte altri a Maiduguri. Dal giugno 2014, il gruppo estremista ha impiegato almeno 52 donne di età compresa tra i 9 e i 50 anni come suicide bomber in Nigeria e in Cameroon.

Il martirio delle donne ha un valore aggiunto.

Un atto perpretato da una persona considerata per natura non violenta può rappresentare la testimonianza che l’oppressione della sua gente è così grave che persino le donne sono disperate a tal punto da usare la violenza. Supponiamo che la società da cui viene la donna terrorista è caratterizzata da una profonda ineguaglianza di genere e che la società glorifichi il martirio per una casa giusta e suprema, come difendere la fede o difendere le persone contro una forza minacciosa. In questo quadro, un atto suicida di una donna assume un significato speciale che non è disponibile per i terroristi uomini. Questi ultimi possono diventare martiri per la fede del loro popolo oppure per la sopravvivenza come comunità. Tuttavia soltanto il martirio delle donne per la stessa causa può acquisire il valore aggiunto di promuovere una sorta di inusuale equità di genere tra i membri della società in questione.

“La violenza distrugge ciò che vuole difendere: la dignità, la libertà, e la vita delle persone.” – Giovanni Paolo II – 

Ottobre 28 2015

Kamikaze e attentatore suicida non sono sinonimi

kamikaze e terrorist suicide bomber

Kamikaze non è sinonimo di attentatore terrorista suicida, eppure in Italia si continua ancora ad usare il termine kamikaze. I kamikaze giapponesi non hanno nulla in comune con i contemporanei attentatori terroristi suicida.

La stessa notizia in Italia viene diffusa così: Turchia, attacco Kamikaze , all’estero così: Turkish troops killed in suicide blast. Evidentemente, in Italia, non solo per i giornalisti, usare un termine impropriamente è all’ordine del giorno, peccato che si fa davvero una figuraccia se si sapesse a cosa si riferisce il termine kamikaze.

Chi sono i Kamikaze

La strategia Kamikaze è emersa tra il 1944 ed il 1945, come diretta risposta al fatto che la marina imperiale giapponese aveva perso la maggior parte delle sue navi da guerra e quasi tutte le sue portaerei  ed i rifornimenti di carburante dall’Indonesia erano stati per la maggior parte tagliati. Nel 1944 le truppe dell’esercito imperiale giapponese non riuscivano a sopravvivere: senza cibo e senza munizioni. La battaglia di Leyte Gulf (23 – 26 ottobre 1944)  vide il primo attacco kamikaze: i piloti giapponesi si schiantavano con i loro aeroplani contro obiettivi militari.

La campagna Kamikaze è unica: i partecipanti ci hanno lasciato una vasta quantità di lettere, poemi, memorie. Le analisi condotte soprattutto dall’ Institute of Cognitive and Decision Sciences Evolution & Cognition Focus group dell’ Università dell’Oregon ci dicono che i piloti erano motivati dalla conoscenza che la loro morte, presumibilmente, avrebbe aiutato a migliorare le fortune dell’apparato militare giapponese in declino. La maggiore fonte di piloti kamikaze era l’ Air Force Cadet Officer System, venivano reclutati all’università e al liceo su base volontaria.

Perché non è possibile usare il termine Kamikaze come sinonimo di attentatore terrorista suicida ?

I piloti kamikaze: a) non agivano sotto coercizione; b) non erano fortemente motivati dalle attitudini culturali giapponesi verso il suicidio per se; c) non erano fortemente motivati dalla religione.

Non è possibile comparare la mentalità dei kamikaze con quella dei terroristi che si fanno saltare in aria. Un’importante differenza risiede nel fatto che gli attacchi kamikaze erano realizzati e legittimatati dall’apparato militare di uno Stato, mentre gli attacchi degli attentatori suicida sono generalmente pianificati e autorizzati da organizzazioni che si posizionano al di fuori della struttura dello Stato. In contrasto con i contemporanei attentatori suicida i loro obiettivi sono sempre stati aeroplani militari, navi e soldati, mai civili. Durante gli ultimi mesi della guerra del pacifico, gli obiettivi militari erano gli unici che i kamikaze potevano sfidare, secondo le condizioni di guerra. Per i piloti kamikaze l’obiettivo finale delle loro azioni non era uccidere i soldati nemici o raggiungere la vittoria della guerra, ma forzare gli Alleati a fare concessioni per terminare la guerra, terrorizzandoli con gli attacchi suicida.

 Le parole sono la più potente droga usata dall’uomo. (Rudyard Kipling)