Marzo 8 2015

Che cos’è il terrorismo? (versione aggiornata)

terrorismo

Il terrorismo è una tecnica usata da molti, differenti tipi di gruppi.

Quando parliamo di terrorismo internazionale ci riferiamo agli atti perpetrati da attori internazionali, da organizzazioni transnazionali, distinguendolo così dal terrorismo domestico, cioè interno ad un singolo stato. Il terrorismo domestico non è oggetto di vasta copertura mediatica come il terrorismo di attori internazionali, ma conta per una larga maggioranza di attacchi.

Il terrorismo è una tecnica che è stata usata per millenni, da differenti gruppi che si sono adattati al mutamento delle circostanze. Le organizzazioni transnazionali oggi, si sono evolute in reti che forniscono una mutua assistenza. Al Qaeda prima e lo stato islamico poi hanno strutture di rete. Altri gruppi terroristici hanno sviluppato legami con le organizzazioni criminali, specialmente quelle coinvolte nel traffico della droga o nel traffico di esseri umani.

Terrorismo internazionale: definizione giuridica

Una delle questioni più controverse e dibattute è la definizione giuridica di terrorismo internazionale. Il Consiglio di Sicurezza ha quasi sempre evitato di fornire una definizione: si è assunto, autoritariamente il potere di stabilire, a prescindere da qualsiasi definizione, quali individui o gruppi o quali precisi atti debbano essere qualificati come “terroristi” per poi adottare le misure repressive. Il problema principale della definizione di terrorismo internazionale condivisa dalla comunità internazionale sta nella circostanza che molti vogliono escludere gruppi che appoggiano, finanziano e includere gruppi che vogliono eliminare dalla scena.

I concetti chiave

Tuttavia ci sono dei concetti chiave da tenere bene a mente. Proviamo a dare una definizione di terrorismo relativamente neutrale che riconosce il principio base per cui il terrorismo è una tecnica usata da molti differenti tipi di gruppi. Essa include cinque elementi: (1) l’uso della violenza o la minaccia della violenza (2) da parte di un gruppo organizzato (3) per raggiungere obiettivi politici. La violenza (4) è diretta contro un obiettivo che si estende oltre le vittime immediate, che spesso sono civili innocenti. Inoltre (5) mentre un governo può essere sia il perpetratore della violenza sia l’obiettivo, è un considerato un atto di terrorismo solo se uno dei due attori non è governativo.

Sebbene l’organizzazione sia necessaria per il successo nel raggiungimento degli obiettivi, individui potrebbero operare in affiliazione con un gruppo. Anders Breivik, il norvegese di estrema destra che mise una bomba ad Oslo e andò in giro a sparare contro i giovani membri del partito labourista, si vedeva come un soldato di un’ ampia guerra contro i musulmani invasori dell’Europa e dei loro alleati locali e dei politici di sinistra.

Categorizzare gruppi secondo i loro obiettivi

Non esiste una singola causa che possa spiegare l’insorgenza di questi tipi di violenza. E’ un fenomeno complesso, dalle mille sfaccettature. Le motivazioni però ci danno una chiave di lettura che può essere usata per categorizzare i gruppi nei termini dei loro obiettivi. Le tipologie base sono: religiose, etniche o nazionaliste e ideologiche. Tuttavia ci sono gruppi che più difficilmente possono essere messi in una categoria, proprio per la complessità delle loro motivazioni.

I gruppi religiosi ovviamente sono quelli che nel ventunesimo secolo ci vengono subito alla mente. Deve esservi molto chiaro quello che sto per scrivere: il terrorismo religioso non è limitato alle organizzazioni islamiche, poiché gruppi estremisti di altre tradizioni religiose hanno usato questa tecnica. Facciamo esempi:

– le violente attività del movimento anti – aborto negli Stati Uniti sono basate su punti di vista cristiani;

– il credo cristiano è stato usato per giustificare la pulizia etnica contro i mussulmani in Bosnia;

– un estremista ebreo ha assassinato il primo ministro Yitzak Rabin per aver fatto concessioni ai palestinesi;

– Aum Shrinrikyo voleva attaccare la società giapponese per pulirla dagli impuri.

Poi ci sono i gruppi definiti secondo le loro identità linguistiche ed etniche. Solo per fare qualche esempio: il gruppo basco Euzkadi ta Askatasuna (ETA Basque for Homeland and Freedom) ha iniziato ad usare la violenza nel 1968. Le Tigri del Tamil che volevano l’indipendenza o perlomeno l’autonomia nelle aree dello Sri Lanka dove i Tamil sono la maggioranza.

Cause

Le cause del terrorismo sono, per molti versi, simili a quelle di altre forme di violenza politica (come le rivolte, le ribellioni, i coup d’etat e le guerre civili). Individui nella società  frustrati nella loro incapacità di ottenere quello che ritengono essere per loro il necessario cambiamento, avendo fallito con altri mezzi, ricorrono alla violenza. Ci tengo a sfatare un altro luogo comune: il terrorismo non è prevalente nei paesi poveri, non c’è l’assoluta evidenza che il terrorismo sia legato alla povertà in una relazione sistemica. Le caratteristiche generali di un sistema politico possono essere un fattore. Democrazie con limiti nella sicurezza danno spazio ai terroristi. Una partecipazione politica limitata e la repressione da parte di forze governative. Stati deboli come lo Yemen hanno permesso a gruppi come Al- Qaida nella Penisola Araba di operare pressoché indisturbati, la guerra civile di 5 anni in Siria ha permesso allo stato islamico di penetrare, così come il protratto vuoto di potere in Libia.

Concetti chiave:

1. il terrorismo è una tecnica che è disponibile per differenti tipi di gruppi che perseguono diversi tipi di obiettivi;

2. il terrorismo è un problema che risale a ben prima gli attacchi dell’11 settembre;

3. il terrorismo non è unico dell’Islam e del Medio Oriente.

 

Gennaio 2 2015

5 ragioni per unirsi allo Stato Islamico

Mi sono sempre chiesta quali ragioni potessero spingere le persone ad unirsi allo Stato Islamico. Motivazioni che non includessero la teologia; quale potesse essere la scintilla che scatena l’ “attrazione fatale”. Ho provato a riassumerli in cinque punti. Ho scelto le motivazioni razionali per cui non troverete argomentazioni di tipo filosofico/psicologico per cui un giovane inglese piuttosto che norvegese si unisce alla causa dello Stato Islamico. Qui si prende in considerazione la popolazione araba nel suo complesso, che è la fetta più consistente di appartenenti all’organizzazione.

1) Il sistema educativo arabo ha fallito. Invece che su talenti analitici vitali o su valori civili, le scuole hanno posto l’accento sulla acritica accettazione dell’autorità con un sistema di apprendimento molto basico. Curricula storici e religiosi hanno dato impulso e diffusione alla mentalità “noi- contro – voi” lungo linee etniche, ideologiche e settarie, rendendo i giovani vulnerabili alle influenze esterne. Tutto ciò ha contribuito alla trasformazione del panorama culturale delle città arabe, facilitando la diffusione delle ideologie militanti e del precoce indottrinamento della parte della popolazione più giovane.

2) La mancanza di opportunità economiche e un indebolimento del sistema del cosiddetto “welfare”, hanno spinto i cittadini a rivolgersi altrove. La liberalizzazione economica degli stati arabi ha minato i sistemi di welfare esistenti, rimosso le garanzie di pubblico impiego senza produrre alternative. I governi arabi non hanno promosso investimenti in settori produttivi e le loro economie non hanno generato il numero o la quantità di lavoro necessaria. Conseguentemente le  economie informali sono cresciute esponenzialmente. Per fare un esempio: il 33% dell’attività economica in Marocco e il 40% del Prodotto Interno Lordo in Egitto vengono dall’economia informale, lasciando molti senza accesso ad alcuna forma di sicurezza sociale. Questo è catastrofico per una regione dove uno su cinque in età compresa tra i 15 e 24 anni è al momento disoccupato, molti con un alto livello di educazione. Questa realtà ha forzato i cittadini arabi a rivolgersi ad altre entità – spesso islamiste – per la sopravvivenza. Governi hanno incoraggiato anche gruppi ultra – conservatori a fornire assistenza sociale, perché percepiti come a – politici e quindi con le loro regole, indipendenti da quelle governative. Ora, alcuni di questi gruppi reclutano attivamente i giovani arabi per conto dello Stato Islamico.

3) La cattiva amministrazione della cosa pubblica ha creato un senso molto concreto di ingiustizia. Il sistematico maltrattamento di cittadini arabi per mano degli stessi governi ha alimentato questo processo.

4) La risposta alla cosiddetta “Primavera Araba” (giusto due parole su questo termine, in inglese si parla di Arab Awakening, quest’ultimo termine in italiano si traduce con “risveglio” che ha un senso appropriato per indicare il risveglio appunto, di cittadini vittime di soprusi e di cattiva amministrazione da parte di governi che si muovevano tra l’autoritario e il dittatoriale. In italiano invece è stato tradotto con “primavera”. Posso mettermi a pensare che in fin dei conti è la stessa cosa, ma è in fin dei conti e non il suo significato. In Italia è sempre così, si traducono i titoli dei film nel 2015 quando tutti sanno l’inglese, dandogli però un nuovo nome, oppure entrano nel linguaggio corrente parole inglesi pronunciate in una strana lingua sconosciuta ai più), ha reso la situazione peggiore. La brutale stretta alle rivoluzioni con una sfumatura settaria o ideologica ha soltanto esacerbato il malcontento della società. Ha alimentato la polarizzazione della società e le tensioni settarie. Molti governi arabi hanno a lungo usato il settarismo come uno strumento per consolidare il potere politico attraverso la ripetuta marginalizzazione di gruppi etnici o religiosi dal processo politico. Questo è facilmente visibile in conflitti come quello siriano, in Iraq e nello Yemen.

5) Non c’è fiducia nell’Occidente. Lo Stato Islamico sta diffondendo il modello narrativo del “doppio standard” della comunità internazionale e delle potenze occidentali. Mentre l’occidente e i suoi eserciti intervengono in Iraq, in Libia, nello Yemen, hanno fallito nel sostegno della rivoluzione civile in Siria e nella democrazia in Egitto. Questo lascia al Califfato islamico, una provata forza sul campo, sembrando una valida alternativa per raggiungere e stringere a se gli arabi e i mussulmani.

 

Dicembre 28 2014

La cosmetica del terrorismo

Quello che oggi conosciamo con il nome di : “Stato Islamico” in realtà ha cambiato nome molte volte. Il gruppo ha mostrato ripetutamente la volontà di sfruttare quella che possiamo chiamare la “cosmetica del terrorismo”: attraverso una visibile, vigorosa presenza sul web e l’utilizzo di video scioccanti.

Al Qaeda in Iraq (AQI) sotto il controllo di Zarqawi era diventata molto impopolare nell’Iraq del 2006 e il gruppo aveva bisogno di un rebrand locale, cambiando nome in Stato Islamico dell’Iraq. Il cambiamento del nome riflette anche una importante differenziazione tra esso e l’essenza di Al Qaida.

Nel 1996 Osama Bin Laden dichiara pubblicamente guerra contro gli Stati Uniti come suo obiettivo principale, ma anche alla presenza di infedeli americani nelle varie terre islamiche (prima fra queste l’Arabia Saudita). Nel corso del tempo la sua organizzazione aveva avuto dei rapporti di partneriato con quella di  Zawahiri, il cui interesse principale originariamente si focalizzava sulla rimozione del governo egiziano. Nel 1998 gli obiettivi del gruppo diventarono ancora più specifici: l’uccisione degli americani e dei loro alleati civili e militari in ogni paese dove fosse possibile farlo (attentati alle ambasciate americane in Kenia e in Tanzania).

Lo Stato Islamico è cresciuto e resta un’organizzazione il cui principale e solo interesse è creare e mantenere uno stato islamico in Iraq. Il suo interesse primario è quello di ottenere potere politico e territorio che appunto ricadono poi in quelle che sono le caratteriste di uno Stato, cosi come inteso dal diritto internazionale: territorio, governo effettivo, popolazione; ci sarebbe poi secondo la Convenzione di Montevideo anche la capacità di intraprendere relazioni internazionali con altri stati, ma questo punto viene sempre un po’ lasciato in sordina. E’ chiaro che se uno Stato che fa dichiarazioni di disapprovazione su un certo altro Stato e poi firma accordi commerciali, a parte il ricavo, ne sta riconoscendo comunque la statualità. Provate a pensarci a quanti casi a stelle e strisce ci sono… Il loro unico (apparentemente) attacco contro gli americani è stata la decapitazione di giornalisti americani in Iraq che però è stato giustificato come rappresaglia per gli attacchi aerei americani.

Le organizzazioni estremiste, che per molti ricadono sempre e solo sotto il generico appellativo di: “terrorismo”  (argomento che sarà oggetto di un post specifico), oltre ad avere una struttura eccezionalmente efficiente ed efficace, hanno la capacità di catturare l’attenzione di tutti, di infondere il mostro della paura semplicemente cogliendo la sfumatura adatta. Usando un particolare colore, piuttosto che un messaggio sui social network, che riesce sempre a mantenere alta l’attenzione; e si anche l’attenzione dei finanziatori che si riconoscono nella causa che sia politica o religiosa e che elargiscono ingenti somme di denaro che servono a mantenere l’organizzazione, a comprare armi, persone e perseguire l’ideale a cui tendono.

Quanti hanno cliccato sui quei video su Youtube? Quanti telegiornali hanno mostrato le bandiere nere o uomini vestiti di nero che si aggirano con le armi. Il nero è il colore per antonomasia del cattivo; sì, certo il nero sfina, ma qui proprio non credo si tratti di linea fisica.

*foto tratta dal “Times of Israel”.

Novembre 26 2014

Della Siria non ci importa più

Non si parla più della Siria. Quei giorni in cui tutti erano concentrati sulle armi chimiche di Assad sono ormai un lontano ricordo, per non parlare delle migliaia di sfollati, di morti. Tutto dimenticato.

Invece la Siria oggi rappresenta uno dei più complicati scenari di guerra civile, con un coinvolgimento di diversi attori negativi che non si era mai visto prima.

Chi gioca in questo conflitto: Assad, il dittatore sanguinario e senza regole che non mostra alcun tipo di riluttanza nell’uccidere chiunque, persino i suoi stessi cittadini se ciò è necessario perché lui resti al potere. Scriviamolo il numero dei morti: CENTOMILA  vittime civili secondo le Nazioni Unite. Altri DUE MILIONI sono rifugiati negli stati confinanti e circa 4 MILIONI E MEZZO sono i cosiddetti internally displaced, cioè coloro che si spostano all’interno dei confini siriani alla ricerca di un posto sicuro. Per fare una percentuale questi numeri corrispondono a circa il 35% della popolazione siriana.

La Russia si rifiuta di fermare il rifornimento di armi ad Assad e continua ad usare il suo potere di veto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Putin promette a Damasco un sistema avanzato di difesa missilistica (s-300 per coloro che sono appassionati di armamenti) e sostiene che però è il momento di un accordo di pace con la Siria. Il governo saudita e il governo del Qatar finanziano ribelli con armamenti. Solo che Assad oltre che dai russi riceve finanziamenti anche dall’Iran che fornisce anche un training on the job ai militari. Il governo dell’Iraq che ha già i suoi problemi con il Califfato dello Stato Islamico si rifiuta di intercettare i voli iraniani che vanno in Siria. 

Jabhat al – Nusra il più grande gruppo armato in Siria è stato capace in pochissimo tempo di accedere ad una rete di finanziatori, principalmente negli emirati del Golfo e provveduto a garantire i servizi essenziali di base nelle aree devastate dagli attacchi del regime. E’ molto attivo alla frontiera con il Libano. Parallelamente cerca di sviluppare una roccaforte nel paese dei cedri, dove riscontra del terreno fertile tra alcuni settori della popolazione, specialmente nel nord e nel nord – est. Al – Nusra finora si è guadagnata le simpatie tra la popolazione locale in risposta agli attacchi degli Stati Uniti, i loro famigerati attacchi aerei chirurgici o attacchi mirati o come volete chiamarli sempre attacchi sono. Si è creata sul campo una rete, consolidata territorialmente e amministrativamente, che da sempre di più l’idea di un emirato. La pressione che il cosiddetto Stato Islamico sta esercitando sulla Siria potrebbe forzare Al- Nusra a scegliere se dare vita ad un emirato o accettare uno stato di partneriato con lo Stato Islamico, se non nell’ estrema ratio di confrontarsi apertamente con loro.

Non sono serviti né cessate il fuoco né attacchi mirati per mettere fine alla guerra civile siriana. Quello che potrebbe verosimilmente accadere è che il crescente ricorso degli Stati Uniti agli attacchi aerei porti ad una escalation nel confronto tra Al – Nusra e lo Stato Islamico. Anche se si sono rincorse le notizie di una probabile morte del leader dello Stato Islamico al – Baghdadi, la sua morte non è necessariamente la fine dell’intera organizzazione. Difficilmente gli americani imparano dalla storia, l’aver ucciso Bin Laden non ha decretato la morte di Al – Qaida, certo avrà avuto conseguenze sul morale di qualche componente dell’organizzazione, ma è rimasta in piedi. Il fatto di uccidere il capo forse da un punto di vista puramente militare ha senso, nell’ottica di decapitare l’organizzazione del vertice e quindi destabilizzare le truppe. Ma le organizzazioni estremiste, di base religiosa e soprattutto transnazionali difficilmente si sgretolano. Prima di tutto perché non sono puramente militari, ma nascono per motivi ideologico – religiosi e poi perché esse prevedono già nella propria struttura un secondo leader. Il carisma del leader porta avanti una missione, che per quanto possa essere crudele o cinica, viene seguita da persone non importa poi chi la conduce, proprio perché è strettamente interrelata a sentimenti religiosi. In un altro post parlerò delle ragioni fondamentali per cui una persona decide di diventare membro dello Stato Islamico.

La rimozione di Assad, potrebbe sembrare la giusta soluzione, un po come hanno pensato per Saddam Hussein o per Mubarak o per Gheddafi. Ebbene proviamo a vedere i risultati, si è creato un vacuum di potere talmente ampio che ha dato vita ad incontrollate frange che mosse da etnia, piuttosto che appartenenza religiosa non trovano un equilibrio. Il dittatore, per quanto possa sembrare cinico, riesce a mettere insieme più elementi della società che altrimenti non avrebbero modo di starci. Prendiamolo come il compositore di un puzzle. Non lo fa perché è un filantropo, ma perché ritiene nelle sue mani un enorme potere che da e toglie in maniera tale da tenere un equilibrio. In alcuni Stati è funzionato così per anni e poi arriva l’Occidente con il suo manto da supereroe ad esportare una democrazia che non garantisce nei propri confini. Dimenticando cosa sono le etnie, cosa sono le confessioni religiose e pensando che il caos che viene generato sia risolto da qualcun altro. In Siria non si interviene perché non c’è nessun interesse occidentale da difendere, semplice e lineare. L’unico interesse lo ha la Russia con il porto di Tartus. Dal 1971 affittato dalla Russia come parte di un multi – milionario debito siriano. Il porto essenzialmente serve per la manutenzione e il rifornimento della flotta russa. Queste navi da guerra non vengono anche dal Baltico o dai mari del nord ed hanno multiple missioni e eseguono compiti nel mediterraneo e operazioni di anti pirateria nel mar rosso nel golfo di aden in somalia. La Russia quindi ha un interesse nazionale nel mantenere il porto malgrado gli scenari che si potranno aprire con la guerra civile. Inoltre il porto di Tartus permette alla compagnia di esportazione di armi, Rosoboronexport, di fornire armi e rifornimenti direttamente al regime di Assad. Sicuramente Putin non ha nessun interesse a far cadere il regime mettere a rischio il porto. 

Gli attacchi aerei americani continuano il numero delle vittime civili continua e della Siria non importa più a nessuno.

 

Novembre 24 2014

L’Ucraina vista dall’Unione Europea

L’Unione Europea (UE) vede l’Ucraina cosi:  “non c’è ragione perché persone in Europa stiano al freddo d’inverno”. La frase è del commissario europeo dell’energia tale: Guenther Oettinger il giorno in cui si è  firmato l’accordo sulle forniture di gas tra Ucraina, Federazione Russa (Russia) e UE. Si è dimenticato, povero lui, che a  Donetsk, Kharkiv, Novoazovsk e in gran parte del sud – est dell’Ucraina tanta gente non si può riscaldare perché non ha le finestre a casa, chi una casa ancora c’è l’ha e non gli è stata bombardata. Non moriranno di freddo ma forse di fame si. Che poi l’accordo privato non è gratis, prevede che Mosca riapra i rubinetti di gas in cambio di pagamenti che verranno finanziati dai creditori occidentali di Kiev. Creditori, non benefattori.

La visione europea della situazione è nella mancanza di accordo tra i ministri degli esteri dell’Unione su ulteriori sanzioni da apporre alla Russia. Per cui senza preoccuparsi più di tanto della Russia o dei ribelli o della gente senza casa senza cibo cosa fa l’Europa? Il 22 luglio 2014 stabilisce una missione denominata EUAM (European Union Advisory Mission for Civilian Security Sector Reform Ukraine) che odi odi serve per assistere l’Ucraina nella riforma del settore sicurezza, incluso la polizia e per la cosiddetta rule of law, cioè la riforma delle regole di legge, ergo, del sistema giudiziario. Il 14 novembre scorso la cerimonia di firma accompagnata dai bei paroloni che sempre si dicono in queste occasioni: “per il bene del popolo ucraino”. Così, da spettatore io avrei apprezzato  una missione molto più articolata, accompagnata da qualche aiuto alla popolazione. Ricostituzione di servizi essenziali primari, non cose complesse. Eppure il carrozzone europeo va avanti così con le firme su pezzi di carta. Perché poi cosa fa esattamente l’UE? Ah! si si è spesa per l’accordo di cessate il fuoco. E un altro suo braccio lungo, l’OCSE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione Europea) ha il compito di monitoraggio dell’accordo di Minsk (il nome comunemente usato per denominare l’accordo di cessate il fuoco).

Al G20 in Australia, Obama incontra i leader europei per discutere una risposta coordinata alla Russia e certo perché se ne accorgono ora che la Russia ha violato il diritto internazionale, perché fornire armi pesanti ai separatisti in Ucraina, violando l’accordo di Minsk, sarebbe più grave di aver annesso una parte di territorio di un altro stato con l’uso della forza (vedi Crimea) o violato semplicemente l’integrità territoriale di uno stato sovrano, perché ricordiamoci che i famosi soldati senza insigne in Crimea non parlavano certo portoghese. Quello che trovo per certi versi comico è che seppur in violazione di tante norme di diritto internazionale riconosciute da tutti gli Stati ed anche dalla Russia che tanto si scandalizzò per la questione del Kosovo, Putin è andato allegramente al G20 e anzi nessuno gli ha detto: “oh che ci fai qui non ti ci vogliamo, conformati alle regole senno ciao”. No nient’affatto, strette di mano, sorrisi, foto insieme.

Il presidente ucraino dal lato suo ha ordinato che tutti i servizi statali incluso il finanziamento degli ospedali e delle scuole delle aree controllate dai ribelli nelle regioni di Donetsk e Luhansk siano ritirati. Non so se è chiaro quindi: il governo centrale ritira i finanziamenti agli ospedali di zone completamente distrutte, per farla pratica: se un ucraino va in ospedale deve essere fortunato a trovare un cerotto d’ora in poi. E cosa fa l’Europa? Una missione di sicurezza e nessuno vuole prendersi la responsabilità di incrementare le sanzioni alla Russia. Che ne so una missione di mentoring al Presidente ucraino? Perché poi Poroshenko,non ha finito con i decreti ne indirizza uno al parlamento, chiedendo di revocare la legge che garantisce l’auto – regolamentazione alle regioni di Donetsk e Luhansk. Mi chiedo: perchè ordini che le Regioni tornino sotto la giurisdizione del governo centrale e poi togli i finanziamenti agli ospedali?

In tutto questo circo di accordi e decreti il ministro degli esteri russo, Lavrov, pochi giorni fa, incontra il ministro degli esteri tedesco Steinmeir (non vi chiedete perché non incontra il ministro degli esteri italiano, perché a parte che Gentiloni deve ancora capire chi è lui stesso, confuso com’è sulle sue ideologie politiche/partitiche, ma gli bastano le dichiarazioni della Mogherini a sconfortarlo). In realtà Steinmeir ha proposto un’iniziativa denominata “clearing house” (casa pulita) che prevede lo scambio di informazioni tra le parti dei rispettivi rappresentanti militari.

Nell’ incontro si è anche parlato della cooperazione tra l’UE e l’Unione economica eurasiatica. Lo stesso Steinmeier afferma che ben 28 paesi dell’UE coltivano parecchi pregiudizi su cosa può essere fatto congiuntamente con la Russia. E si eh, avete letto bene, il Consiglio d’Europea con una mano bastona la Russia con le sanzioni e con l’altra le da tante belle carezze autoaccusandosi che ci sono 28 paesi che non gradiscono la Russia, poveri loro. La teoria del bastone e della carota si è rivelata inutile finanche per la cooperazione allo sviluppo, figuriamoci per i rapporti con la Russia. Ritengo che un grande errore del pensiero politico occidentale sia quello di considerarsi sempre più furbi dell’avversario. Se ti metto in ginocchio economicamente con sanzioni non ti vengo a dire che però sarebbe carino cooperare con la tua unione economica, perché l’avversario ben più intelligente di te (ricordiamolo che si è preso un pezzo di territorio di un altro stato in un batter d’occhio) sa che continua a ritenere un enorme vantaggio su di te che non sei coerente con quello che dici. Putin che è un fine giocatore di scacchi sa che le tue mosse saranno sempre a suo favore. La risposta di Lavrov è illuminante a riguardo perché lui asserisce che l’accordo di Minsk doveva essere firmato molto tempo fa, invece di “accusare gli altri di violazioni”. Continua dicendo che l’accordo poi è stato raggiunto da: Kiev e le forze cosiddette di autodifesa e che gli Stati Uniti che hanno dichiarato di sostenerlo avrebbero dovuto fare tutto il possibile e usare la loro influenza perché fosse raggiunta una consistente implementazione del documento. Ecco nella sua ironia e grande tragedia per chi poi vive in quelle zone c’è tutto quello che l’occidente fa fatica a comprendere: il vantaggio dell’avversario. Avere il controllo, se pure attraverso movimenti separatisti del sud- est dell’Ucraina, avendo la possibilità di garantire servizi primari (ricordiamo anche che insieme alle armi pesanti i russi mandano anche aiuti umanitari) sostituendosi a Kiev che gliene fornisce la possibilità su un lussuoso piatto d’argento. Un’ ultima considerazione: una missione di sicurezza per assicurare che Kiev possa garantire la sicurezza nei suoi confini è un aiuto certo, ma un’ implicita (e neanche tanto) ammissione che uno stato sovrano non è in grado di garantire la sicurezza del proprio territorio. Ditemi voi che visione ha l’Unione Europea della sovranità degli Stati.

Novembre 23 2014

La Romania e il suo nuovo Presidente

Per chi non lo sapesse proprio in questo mese di novembre ci sono state le elezioni presidenziali in Romania. Perché ci interessa? Beh la Romania è la frontiera dell’est dell’Unione Europea (UE) e la sua politica estera è estremamente importante specialmente nelle sue relazioni con la Moldavia e l’Ucraina. Ci interessa perché la società civile romena ha iniziato a capire cosa sia la partecipazione democratica e la classe politica, malgrado i problemi di corruzione e le spinte alla conservazione dello status quo, hanno dato vita ad un cambiamento. Esattamente quello che non avviene in Italia, dove abbiamo un primo ministro che nessuno ha eletto e partiti che oggi ci sono domani no ed un presidente della Repubblica che è decisamente “agée”.  In Italia la parola “Repubblica” è rimasta solo sulla carta costituzionale. Ma torniamo alla Romania.

Il nuovo presidente è Klaus Iohannis. Non vi sembra strano questo nome? E’ un signore tedesco i cui parenti fanno parte della piccola comunità tedesca in Romania. Un talentuoso manager ex sindaco di Sibiu una cittadina della Trasilvania trasformata proprio da lui in una punta di diamante del turismo. Il “tedesco” come lo chiamano anche i suoi elettori nei suoi primi interventi come presidente della Romania asserisce che le relazioni con l’Ucraina e la Russia dovranno essere decise in accordo con l’UE e la Nato.

Un  tema che presto potrebbe essere riaperto nel parlamento romeno è sullo status del Kosovo. Un piccolo aiutino, Iohannis non ha mai tenuto segreti i suoi buonissimi rapporti con la famigerata e molto discussa leader tedesca Angela Merkel e il partito che sostiene il presidente non avrà problemi a schierarsi in favore del riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo.

Se Bucarest tenesse questa posizione sul Kosovo causerebbe un effetto domino tra coloro che non l’hanno riconosciuto e quindi avrebbe un impatto sull’ allargamento dell’UE nel suo insieme? A parte il fatto che il riconoscimento non è certo il più grande ostacolo né alla via del Kosovo né della Serbia nell’UE. La questione invece cambia se anche la Moldavia si mette nel cestone dell’allargamento (Chisinau intende sottoporre la documentazione come membro dell’EU nel 2015). Il futuro dell’allargamento dell’UE potrebbe essere più roseo delle previsioni, ma certo Putin avrebbe  qualche cosa da dire in proposito.

Cosa ci dice l’elezione del “Tedesco”: il potere della società civile. L’elezione ha visto un’incredibile mobilitazione sociale, malgrado i problemi di voto dei romeni[1] all’estero.

Per molti anni, i critici dell’UE hanno puntato il dito su paesi come la Romania e hanno usato questi stati come i “deficit democratici” come argomentazione contro l’allargamento dell’UE.  Con questa elezione però i cittadini della Romania hanno dimostrato di voler abbandonare il vecchio post – comunismo, il populismo, raggiungendo un grado di maturità in grado di poter discernere quale candidato offre le migliori policy e quali seguire. Questa elezione ci dimostra che gli elettori possono essere persuasi ad andare a votare in massa e che le elezioni possono produrre un risultato diverso da quello che ci aspetta.

Ma tutto questo ci dice una cosa ancora più importante: la democrazia in Romania funziona. I diversi gruppi etnici hanno votato Iohannis malgrado i tentativi del primo ministro Ponta di usare la macchina statale contro le elezioni presidenziali. Il Presidente è eletto con voto diretto, ma condivide il potere esecutivo con il primo ministro e quando i due appartengono a partiti politici differenti allora si crea una rivalità ancora più ampia.

La mobilitazione ha dimostrato che la società romena è in grado di punire ogni tentativo di usare l’apparato statale per gli interessi partitici e che il consolidamento del pensiero democratico è iniziato.

Le elezioni presidenziali in Romania parlano anche di noi italiani: malgrado i sistemi diversi, in Italia non eleggiamo il presidente della Repubblica direttamente, abbiamo un sistema elettorale desueto che non si decidono a cambiare, non abbiamo un presidente del consiglio espressione di libere elezioni; ci dicono che critichiamo spesso gli altri Stati con stereotipi : “ i romeni sono tutti ladri” confondendo etnia con popolazione. Ebbene il popolo romeno si è mobilitato ha fatto sentire la sua voce è ha eletto il presidente che voleva per cambiare, noi che facciamo?

[1] Venuta meno l’ideologia che vedeva nella comune discendenza dall’impero romano un motivo per sostenere romeno, la scelta fra le due varianti può essere ricondotta al solo piano formale per cui, di contro alla ragione etimologica e alla tradizione letteraria a sostegno di rumeno, si pongono a favore di romeno la simmetria con Romania e la maggiore adesione alla lingua romena. Si può scegliere: in questo stesso sito potete trovare usate entrambe le forme. (dall’Accademia della Crusca: si dice romeno o rumeno?)

Novembre 5 2014

Politica internazionale: riflessioni e appunti di Barbara Faccenda

politica internazionale

Un blog sulla politica internazionale diverso. Appunti, riflessioni e uno sguardo particolare al terrorismo internazionale.

La politica internazionale è la mia passione…

…è quello che amo fare, di cui amo riflettere, che vedo in ogni cosa che mi circonda. Sono quella che apre il quotidiano direttamente alle pagine “esteri” e poi torna alla prima pagina. Quella che passeggia e pensa agli equilibri mondiali. 

Mi arrabbio con la televisione quando vedo e sento i telegiornali o le trasmissioni di approfondimento ridurre situazioni complesse ad una manciata di argomenti superficiali e populisti. Detesto chi scrive o chi si presenta in televisione pretendendo di sapere tutto su tutto. Sì, i tuttologi non sono tra i miei amici. 

Questo blog è il mio sguardo, la mia riflessione su temi di politica internazionale, specialmente sul terrorismo internazionale. 

Proverò a spiegare termini complessi, situazioni difficili, reti, ideologie, gruppi estremisti, relazioni tra paesi. 

Buona Lettura!