Settembre 29 2015

I soldi dell’ISIS

L’ISIS guadagna due milioni di dollari. Conoscere e interrompere la loro rete di finanziamento sembra essere più razionale che tirare bombe in Iraq e Siria.

Il terrorismo (sia internazionale che nazionale) è come ogni altra forma di crimine organizzato, altamente determinato e calcolatore. Molta della forza delle organizzazioni terroristiche risiede nell’ interdipendenza, in particolar modo quella economica, che essi instaurano tra loro stessi e le regioni in cui operano. Diventando parte integrante di una regione i loro crimini  vengono sfruttati in maniera tale da generare profitto.

Il denaro “sporco” è un grande potere. Estorsione, assassini, rapimenti, traffico di esseri umani, contraffazione,  il commercio della droga e di opere d’arte (per dirne alcune) valgono una considerevole quantità di denaro. Questo contraddistingue il terrorismo internazionale come una vera e propria azienda che fa affari e anche con un considerevole successo.

Molti dei nomi di gruppi terroristici che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi anni ha mantenuto un alto livello di gioco di potere proprio attraverso robusti finanziamenti. E’ il supporto finanziario che si procurano attraverso affiliati che contribuisce al fiorire di questo giro di affari.

Partendo dal presupposto che è difficile tracciare somme di denaro che sono intese per non essere rintracciate e che per questa ragione molti dei soldi che appartengono alle organizzazioni terroristiche costituiscono una stima dei loro guadagni , vediamo chi sono i gruppi terroristici più ricchi al momento.

  • Boko Haram: oltre 70 milioni di dollari. Gruppo nigeriano che combatte per rovesciare il governo nigeriano per implementare un regime islamista. Ci ricordiamo forse che hanno sequestrato più di 200 ragazzine in una scuola della Nigeria in difesa di un loro slogan: “l’educazione occidentale è peccato”.
  •  Al-Qaeda: oltre 100 milioni di dollari all’ anno. Più di 30 milioni di dollari li ha avuti attraverso donazioni. Bin Laden era un multimilionario.
  • ISIS: 2 miliardi di dollari.

Per farci un’idea di come l’ISIS possa fatturare una tale somma di denaro vediamo brevemente da dove arrivano questi soldi.

Considerevoli somme provengono dal saccheggio di depositi di armi e di banche. Per mantenere la sua economia “nera”, l’ ISIS opera come una catena base di rifornimento compresa la predisposizione e implementazione di accordi con i proprietari dei camion che trasportano il greggio così come il controllo dei percorsi dei traffici di petrolio. Il greggio, sotto il loro controllo in Iraq e in Libia, è inviato a rudimentali raffinerie sotto controllo ISIS  (cosa che richiede un rifornimento sostenibile) tale per cui poi l’ISIS è in grado di vendere il prodotto raffinato. L’ ISIS fa inoltre affidamento anche su prodotti petroliferi trafficati illegalmente dal sud Turchia in cambio di greggio.

Chiariamo che l’impatto del controllo dell’ISIS sul commercio illecito di petrolio dal Nord Iraq e Est Siria non ha un significativo impatto sulle forniture del mercato globale di petrolio nel breve e medio termine. Questo perché il principale giacimento di petrolio nel nord dell’Iraq, a Kirkuk, che produceva approssimativamente 600,000 barili al giorno prima che fosse spento nel 2014, riacceso a dicembre a seguito di un accordo tra Baghdad e il governo regionale curdo è sotto protezione delle forze curde. Il resto della produzione di petrolio irachena che costituisce circa l’80% della produzione totale, è locata nel sud e continuerà ad essere disponibile  vista la distanza dei territori controllati dall’ISIS.

Ogni impedimento continuativo da parte dell’ISIS di bloccare gli sforzi governativi di raggiungere l’obiettivo di produrre 9 milioni di barili al giorno per il 2020 avrà un impatto deleterio sull’ abilità del mercato internazionale di petrolio  di prevedere e pianificare la disponibilità di rifornimenti di petrolio globali.

Il controllo e la vendita di petrolio rendono all’ISIS qualcosa come 1 milione di dollari al giorno.

I seguaci dell’ISIS sono stati perfettamente in grado di sviluppare una rete interna dedicata al sostegno finanziario e l’auto – sufficienza unitamente all ’indipendenza da potenziali donatori esterni vulnerabili.

Estorsione e tassazione illecita costituiscono una significativa fonte di guadagno. Prima della cattura di Mosul, l’ISIS già guadagnava circa 12 milioni di dollari al mese soltanto nella città. Ciò è stato replicato, in maniera più organizzata, nel territorio controllato dall’ISIS e ufficiosamente anche in aree di parziale influenza. Per fare un esempio: è stato sviluppato un sofisticato sistema di tassazione sulla via principale tra la Giordania e Baghdad che rimpiazza la tassa governativa di importazione facendo pagare tasse ridotte per il trasporto dei beni nella capitale irachena. Il sistema d’affari dell’autotrasporto lungo l’Iraq occidentale è principalmente controllato dai sunniti per cui, imponendo minori tasse, l’ISIS guadagna un entrata regolare e offre ai suoi garanti un’ opportunità di aumentare i loro guadagni. Sistemi  simili ci sono anche nell’est della Siria, con questo doppio focus nel guadagnare denaro e contemporaneamente comprarsi il favore delle tribù su cui l’ISIS fa affidamento per la sua sopravvivenza nella società.

Finora ci si è concentrati sulla circostanza che l’ISIS è particolarmente dipendente dal vendere il petrolio a clienti stranieri (Turchia, Kurdistan iracheno, Giordania per fare alcuni nomi). Invece non esiste un focus di mercato, l’ISIS si è progressivamente concentrato nello stabilire un durevole mercato interno per la produzione di petrolio, assicurandosi un’affidabile fonte di carburante per il suo parco veicoli e creando una fonte di dipendenza tra i civili e la sua capacità di fornire petrolio a prezzi inferiori.

Tutto ciò detto, ribadisco l’inutilità degli attacchi aerei che hanno avuto come obiettivi il petrolio alla sua fonte, piuttosto che i suoi mezzi di trasporto ovvero la vendita. Qualcuno lo compra questo petrolio, qualcuno fa passare i camion su strade e siamo così ingenui da credere che siano invisibili.

Ritengo che sia un punto importante il fatto che centinaia di membri ISIS abbiano un passaporto occidentale. Questo li rende portatori di interessi di servizi finanziari, legali, di sviluppo di proprietà. Controlli e legislazioni più rigide sul riciclaggio di denaro potrebbero sostituire le bombe che cadono inesorabili su territori oramai ridotti a cenere. Verificare che paesi come il Qatar e l’Arabia Saudita implementino seriamente quelle poche norme che hanno varato contro il terrorismo finanziario, sarebbe molto meglio che litigare su chi si unisce alla carovana dei bombaroli.

Settembre 27 2015

Attacchi aerei in Siria: ce ne accorgiamo solo ora?

Dopo 7,002 bombardamenti tra Siria e Iraq, l’opinione pubblica si accorge degli attacchi aerei e nessuno condanna una coalizione di bombaroli inutile e dannosa.

Questa notizia che viene rimbalzata ovunque come lo scoop del secolo, della Francia che ha iniziato attacchi aerei in Siria contro obiettivi riconducibili allo Stato Islamico o ISIS (nell’acrononimo più diffuso) mi fa veramente incazzare. Primo perché non si impara dalla storia, non basta l’emergenza umanitaria in Siria no, si deve ancora bombardare e le bombe non sono intelligenti e se lo fossero certo chi le sgancia non lo è affatto.

Secondo, una coalizione che conduce attacchi aerei (non da ieri) esiste già da un po’ e nessuno ne ha mai parlato.

La coalizione denominata: ” Operation Inherent Resolve” guidata dagli Stati Uniti contro l’ISIS, secondo dati diffusi dal ministero della difesa americano al 22 settembre 2015 ha condotto un totale di 7,002 attacchi aerei, BOMBARDAMENTI così divisi: Iraq = 4, 444; Siria= 2,558. Gli americani da soli hanno compiuto un totale di 5,461 attacchi in entrambi i paesi e specificatamente: 3,304 in Iraq e 2,427 in Siria.

La coalizione invece ne ha condotti: 1,541 di cui 1,410 in Iraq e 131 in Siria.

Sorprendiamoci ora per la composizione della coalizione:

In Iraq:  Australia, Canada, Danimarca, Francia, Giordania, Olanda e Gran Bretagna 

In Siria: Australia, Bahrain, Canada, Giordania, Arabia Saudita, Turchia e Emirati Arabi Uniti

Per chi ha la memoria corta la Francia è stato il primo paese ad unirsi alla coalizione a guida americana conducendo attacchi aerei su obiettivi riconducibili allo Stato Islamico (ISIS) in Iraq. La Francia, inoltre, ha fornito armi a quello che IL GOVERNO FRANCESE considera ribelli moderati che combattono il regime del presidente Assad. 

Il rationale degli americani per gli attacchi aerei in Siria è il seguente: “siccome forniamo supporto e addestramento alle forze siriane è sensato fornire anche una copertura aerea contro ogni attacco”.
Partendo dal presupposto che in Iraq la questione fu diversa perché ci fu il consenso del governo agli attacchi contro obiettivi dell’ ISIS, è veramente dubbia la legalità di questo genere di operazioni in Siria. Gli Stati Uniti tirano la coperta dell’autorizzazione all’uso della forza militare del 2001 che secondo loro li legittima ad attaccare lo Stato Islamico, ma seppure vogliamo tirare questa coperta si scoprono i piedi del diritto internazionale dove non trova giustificazione l’attacco armato in un paese violando peraltro la carta delle Nazioni Unite. Può darsi che a me sia sfuggita la risoluzione del Consiglio di Sicurezza che autorizza l’uso della forza in Siria.

Ridicolo è poi l’attacco dell’ “occidente” alla Russia che in Siria pare abbia mandato i propri soldati in difesa di Assad. Certo è deprecabile la Russia che manda soldati e non chi bombarda. La tragedia di questi attacchi aerei è che non risolvono nulla. La situazione in Siria è questa: https://www.barbarafaccenda.it/siria-il-vostro-tavolo-da-gioco/ e l’idea che il nemico sia sempre e solo l’ISIS è  confezionata unicamente per mettere a tacere le proprie opinioni pubbliche. In nemico giurato ora sono loro, cosa importano i danni collaterali, cosa importa non trovare una soluzione, l’importante è annientarli. Radiamo al suolo tutto e diamo l’impressione ai nostri cittadini che noi stiamo facendo qualcosa di buono. Questo è in soldoni quello che pensa la Francia e tutti quelli che hanno aderito a questa folle coalizione. Bombardare la Libia con la scusa della responsabilità di proteggere fu un disastro e il risultato ce lo abbiamo sotto gli occhi, ma questo non basta perché fare una conferenza stampa e dire: abbiamo bombardato lo Stato Islamico rende potenti e tutti felici e contenti.

“Ottenere cento vittorie su cento battaglie non è il massimo dell’abilità: vincere il nemico senza bisogno di combattere, quello è il trionfo massimo”. Sun Tzu “l’arte della guerra”.

Settembre 20 2015

Libia: situazione politica

La complessità della situazione politica in Libia tra colloqui di pace svolti fuori dalla Libia, un accordo di unità nazionale pieno di lacune e la crescente minaccia del radicalismo religioso.

Poco più di mille km da Roma, la situazione politica della Libia è di poco interesse per nostri politici e per la stampa italiana., sottovalutando enormemente  la minaccia che potrebbe emergere da una Libia permanentemente instabile.
La situazione in Libia, merita un sunto di quello che è successo finora perché evidentemente ci siamo dimenticati cosa accade in un paese che quando fa comodo è l’amico del cuore dell’Italia, quando non fa comodo perché i nostri politicanti non hanno neanche idea di cosa fare allora via, la mettiamo fuori da ogni tipo di informazione.
La guerra civile libica è iniziata con proteste contro il regime di Gheddafi, durate dal 15 febbraio al 23 ottobre 2011 e finite con la morte di Gheddafi e la vittoria delle forze pro – opposizione. Gruppi di attivisti denunciarono il numero delle persone uccise: da 30,000 a 50,000, molti di questi erano civili le cui morti erano state causate dalle forze di Gheddafi. Questi numeri sono stati dimenticati in fretta.
Dopo la fine delle guerra, fu formato un governo ad interim (National Transitional Council) nel novembre 2011 e nel luglio 2012 viene eletto il General National Congress (GNC). Tuttavia, quello che seguì fu un diffuso collasso dell’ordine e una cronica mancanza del rispetto della legge di cui approfittarono gli ex gruppi di ribelli che conquistarono il controllo a livello locale. Molti di questi gruppi rifiutarono di allearsi con un comando militare unificato, riferendo invece a consigli militari locali che divennero dei governi locali de facto. Le milizie rivali frequentemente si scontravano l’un l’altro per il controllo del territorio, mentre omicidi per rappresaglia, furti, travolgevano la popolazione locale. 7.000 persone accusate di essere sostenitori di Gheddafi, la maggior parte civili (compreso donne e bambini), rimasero in prigione e furono torturati. Si formò un gruppo armato pro – Gheddafi chiamato Green Resistance che combatteva contro altri gruppi di ribelli.
La proliferazione delle armi divenne un grande problema: molti dei depositi di armi dell’era Gheddafi furono saccheggiati. L’influsso di armi in mani private ebbe effetti ben al di là delle frontiere della Libia, contribuendo ad irrobustire le capacità dei separatisti che presero il controllo del Mali nel 2012, così come di estremisti religiosi.
In questo periodo, il radicalismo religioso cresce e l’11 settembre 2012, estremisti attaccano il Consolato americano a Benghazi, uccidendo 4 americani. Tra i morti l’ambasciatore americano Stevens e due agenti della CIA.
Le forze islamiste e non, si sono contestate a lungo su chi fosse il legittimo “cuore” della rivoluzione del 2011. Le fazioni islamiste come il Partito Justice and Construction legato alla Muslim Brotherhood e il Loyalty to the Martyrs Bloc hanno dominato il GNC fino all’estate del 2013, quando l’aver approvato forzatamente la Political Isolation Law che di fatto espelleva tutti i membri dell’ex regime di Gheddafi (anche quelli che avevano combattuto contro il regime) dalla partecipazione nel governo per 10 anni. Alcuni membri più secolari come l’Alliance National Forces furono susseguentemente cacciate dal GNC. Sia per strategia che per conseguenza, le forze armate furono costrette a rimanere ai margini mentre il GNC autorizzava le milizie islamiste, sia ufficialmente e che semi- ufficialmente, a mettere in sicurezza il paese. Milizie non – islamiste basate a Zintan che si opponevano al Political Isolation Law, minacciarono di dissolvere il GNC.
Il 23 dicembre 2013 l’autorità legislativa della Libia: il GNC, unilateralmente estese il suo mandato di un anno basandosi sull’ interpretazione della Dichiarazione Costituzionale del 2011. Così si rifiutarono di tenere nuove elezioni previste per il gennaio 2014. A seguito di ciò, ci furono proteste pubbliche contro il GNC. Il malcontento originava da una presunta dominanza all’ interno dello stesso dei religiosi conservatori, soppressione dei dibattiti “non convenienti” e l’imposizione della segregazione di genere, pressando per l’introduzione di leggi islamiche come base ufficiale della legge nazionale.
Entra ora prepotentemente sulla scena il Generale Haftar. Brevemente vi spiego chi è. Insieme a Gheddafi era parte dei quadri di giovani ufficiali dell’esercito che presero il potere al Re Idris nel 1969. Gheddafi ripaga la sua lealtà dandogli il comando del conflitto contro il Ciad. Nel 1987 Haftar e 300 dei suoi uomini furono catturati dai ciadiani. Avendo precedentemente negato la presenza di truppe libiche nel paese, Gheddafi rinnega il generale. Tradimento che è causa due decadi più tardi della dedizione del generale alla deposizione del leader libico. Di tutti i posti del mondo Haftar si dedicò alla causa dall’esilio nello stato americano della Virginia. La sua prossimità al quartier generale della Cia a Langley diede adito a parecchie voci circa uno stretto rapporto con i servizi di intelligence americani che pare gli diedero il supporto in diversi tentavi di assassinio di Gheddafi.
La mattina del 16 maggio 2014, le forze sotto il comando del generale Haftar (che lui chiamò Operation Dignity) attaccarono le milizie più radicali dentro e intorno a Benghazi, dando la scintilla a quella che ora qualcuno chiama la seconda guerra civile libica. Il 25 giugno, si tennero nuove elezioni legislative per il Consiglio dei Deputati (anche conosciuto come House of Representative). Nazionalisti e liberali vinsero la maggioranza dei seggi nelle elezioni. Tuttavia, il blocco dei religiosi conservatori si autoproclamo il nuovo GNC, formato da politici che erano la parte perdente delle elezioni e si approfittarono del supporto della coalizione di milizie conosciuta come Libya Dawn per prendere il controllo della capitale: Tripoli. Subito dopo, l’appena eletto Consiglio dei Deputati (HoR) mosse la sede nella città dell’est: Tobruk con il supporto del generale Haftar. Nel corso dell’anno successivo, il GNC mise la propria base di potere nella parte occidentale del paese, controllando Tripoli, Misrata e Zliten e altre città. Invece l’ HoR che “guadagnò” il riconoscimento internazionale si stabilì nell’est e nel sud del paese con la sua capitale de facto a Tobruk, controllando la maggior parte degli oleodotti del paese. Forze alleate controllano anche delle citta nelle montagne a sud ovest di Tripoli. Una forza di guerriglieri Tuareg, alleate a Libya Dawn, prese controllo del pezzetto sud occidentale della Libia, contestandosi la più grande città: Sabha con i combattenti Tebu allineati al governo di Tobruk. Forze locali presero il controllo della fortezza di Gheddafi: Bani Walid.
Lo Shura Council dei Rivoluzionari di Benghazi, una coalizione di milizie di gruppi religiosi radicali prese il controllo di parti est della città di Derna e continuarono a contestare Benghazi con le forze di Operation Dignity (Haftar). In questo periodo la Libia ha assistito all’entrata del così detto Stato Islamico, che inizialmente si è stabilito a Derna, ma fu successivamente cacciato dallo Shura Council. Poi presero il controllo della città di Sirte, la città di Gheddafi, e l’area che la circonda, dopo aver espulso le forze del GNC. L’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti hanno condotto bombardamenti aerei in diverse occasioni sia contro il GNC che contro l’IS, in supporto del governo di Tobruk, mentre il Qatar e la Turchia danno il proprio supporto al GNC.
Ricapitoliamo quindi alcuni avvenimenti più significativi occorsi dal 2014 al 2015.
13.07.2014: i rappresentanti dei religiosi conservatori, il Libyan Central Shield con un milizia conservatrice alleata decisero di lanciare “Operation Libya Dawn”, una battaglia per il controllo dell’aeroporto di Tripoli (controllato dalle Zintan Brigade alleate ad Haftar). La battaglia continua per più di un mese, mentre la coalizione conservatrice cresce progressivamente, e acquisisce il supporto della Muslim Brotherhood e si fa chiamare Libya Dawn dal nome della sua missione “inaugurale”.
31.07.2014: lo Shura Council of Benghazi Revolutionaries, una nuova coalizione di milizie religiose radicali che include Ansar al – Sharia (il gruppo legato all’attacco del 2012 all’ambasciata Americana) prende il controllo di molta parte di Benghazi. Questo accade il giorno dopo che Ansar al – Sharia dichiara che Benghazi è un “emirato islamico”.
04.08.2014: il nuovo parlamento eletto si riunisce per la prima volta. A causa delle battaglie che si svolgevano a Tripoli e a Benghazi, il nuovo governo si riunisce nella città di Tobruk, ad est, una roccaforte del generale Haftar. Il numero dei rappresentanti nel parlamento scende da 200 a 115.
13.08.2014: il nuovo parlamento vota ufficialmente la revoca dell’appoggio a tutte le milizie, incluso le due parti coinvolte nella battaglia per l’aeroporto di Tripoli.
19-20.08.2014: le città occidentali di Nalut e Kabaw, seguite da Tarhouna, rifiutano l’autorità del nuovo parlamento, dichiarando il proprio supporto alle forze di Libya Dawn che assediavano l’aeroporto di Tripoli. I rappresentati delle maggiori città occidentali, incluso Misrata, Khoms e Zliten esprimono anche loro l’opposizione al nuovo parlamento.
23.08.2014: malgrado i duraturi bombardamenti di misteriosa origine, le forze di Libya Dawn ottengono pieno controllo dell’aeroporto di Tripoli dopo un mese di combattimenti. Il giorno dopo controllano l’intera città di Tripoli, dove esortano il GNC a tornare al potere.
01.09.2014: una settimana più tardi il GNC riconviene parzialmente a Tripoli con il supporto di Libya Dawn e nomina il suo primo ministro: Omar al – Hassi. Hassi diventa diretto rivale di Abdullah al – Thani che era stato scelto per guidare il nuovo parlamento a Tobruk. Il parlamento di Tobruk, appoggiato da Haftar rimane il governo riconosciuto dalle Nazioni Unite (NU), mentre il parlamento in competizione a Tripoli ha il supporto di milizie che controllano molte parti del paese.
05.11. 2014: i combattenti Tuareg che supportano Libya Dawn, con l’aiuto da Misrata, prendono il controllo del oleodotto di Shararah.
07.01.2015: lo “Stato Islamico” stabilisce ufficialmente una sua branca in Libia.
16.01.2015: Libya Dawn (GNC) dichiara un cessate il fuoco con le forze allineate a Tobruk in vista dei colloqui di pace di Ginevra, supportati dalle NU.
27.01.2015: attacco al Corinthia Hotel di Tripoli da parte di un affiliato dello Stato Islamico.
08.02.2015: guerriglieri allineati allo Stato Islamico rivendicano la cattura di Nawfaliya, una città vicino al terminale dell’oleodotto di Sidra in un combattimento con le forze di Libya Dawn. Nei mesi successivi, il controllo della città resta conteso tra i due gruppi.
11.02.2015: colloqui di pace supportati dalle NU si tengono a Ghadames con l’obiettivo di formare un governo unificato tra il GNC di Tripoli e la HoR di Tobruk.
11-13.02.2015: guerriglieri che dicono di essere membri dello Stato Islamico muovono dentro Sirte, prendendo parti della città senza incontrare alcuna resistenza.
20.02.2015: milizie affiliate allo Stato Islamico fanno esplodere bombe all’interno di autovetture a Qubbah, presumibilmente per una rappresaglia per i bombardamenti egiziani nelle vicinanze di Derna, controllata dallo Stato Islamico.
02.03.2015: il parlamento di Tobruk nomina il generale Haftar come il comandante ufficiale delle forze armate libiche.
03.03.2015: gli impianti petroliferi di Mabrouk e Bahi sono controllati da combattenti religiosi estremisti, presumibilmente riconducibili allo Stato Islamico.
06.03.2015: rappresentanti da Tobruk e Tripoli s’incontrano in Marocco per un altro round di colloqui di pace con una sessione aggiuntiva in Algeria e in Belgio.
24.03.2015: guerriglieri dello Stato islamico attaccano soldati governativi a Sirte e Benghazi, uccidendo sia combattenti fedeli al governo di Tripoli che a quello di Tobruk.
12.04.2015: attacco all’ ambasciata del Sud Corea a Tripoli.
13.04.2015: attacco all ’ambasciata del Marocco a Tripoli da parte di miliziani affiliati allo Stato Islamico.
29.05.2015: militanti dello Stato Islamico prendono il controllo dell’aeroporto a Sirte.
09.06.2015: guerriglieri dello Stato Islamico catturano una centrale energetica a Sirte completando il controllo della città.
27.07.2015: il portavoce del governo di Tobruk asserisce che “tutti gli oleodotti” in Libia sono sotto il controllo delle forze militari governative. Nessuna specifica informazione viene data a proposito dei giacimenti di Mabrouk e Bahi presi a marzo dallo Stato Islamico.
13.08.2015: gruppi di ribelli sudanesi combattono a fianco del Generale Haftar a Kufra.

Settembre 7 2015

Migranti: guida all’uso corretto dei termini

Non è vero che si possono usare termini come migranti, rifugiati, richiedenti asilo indistintamente come fa comodo per attirare l’attenzione.

Bono, noto cantante, ci fa una lectio magistralis su tutti i termini che può ricordarsi, uno dopo l’altro, asserendo che lui li ha letti sul vocabolario (mica ci vuole un minimo di competenza) e sa perfettamente poi elencarli: migrante, rifugiato, richiedente asilo e sa perfettamente applicarli al caso. LUI LO SA. Una cosa che in assoluto detesto più del massacro di Assad al mercato della settimana scorsa è il TUTTOLOGO. Accidenti! Se io mi rompo le scarpe vado dal calzolaio, pago un professionista del mestiere per una cosa che io non so fare. Se voglio riparare un rubinetto chiamo un idraulico: professionista. Bono, come tanti altri del resto, è sicuro che aprendo un vocabolario o wikipedia possa trovare la soluzione a tutti i problemi, ma allora perché fai il cantante? Non voglio ora qui entrare nel merito della sua filantropia perché non è poi così chiara. La questione è che non si può sempre pensare che quando si parla di politica internazionale o di diritto internazionale o di qualsiasi altro ambito che richiede una preparazione scientifica o tecnica  si possa improvvisare. Raccontare una notizia è un fatto, ma esprimere poi pareri tecnici è un altro e ci sono i professionisti per questo. Non è possibile che se si guarda il telegiornale o si legge un giornale ci siano sempre termini a caso usati indistintamente così perché fa figo o perché impressiona l’ascoltatore o il lettore.

Per cui oggi vi propongo un piccolo glossario di termini utile a tutti per destreggiarsi nel mondo dei migranti.

Prima di tutto chiariamo una volta per tutte questo termine. profugo /’profugo/ [dal lat. profŭgus, der. di profugĕre “cercare scampo”] (pl. m. -ghi). – ■ agg. [che è costretto ad abbandonare il proprio paese in seguito a eventi bellici, a calamità naturali, ecc.] ≈ esiliato, esule, fuggiasco, fuggitivo, rifugiato. ↔ rimpatriato. ■ s. m. (f. –a) [chi è profugo] ≈ e ↔ [→ PROFUGO agg.] (dal Vocabolario Treccani). Profugo in inglese si dice: refugee = rifugiato. Quindi vediamo di attenerci a termini internazionalmente riconosciuti e codificati in convenzioni.

La Convenzione di Ginevra sullo Status dei rifugiati del 1951, (resa esecutiva nell’ordinamento italiano con L.24 luglio 1954 n. 722) modificata dal Protocollo di New York del 1967 (autorizzata la ratifica in Italia con L. 14 Febbraio 1970 n.95) ci da una definizione di rifugiato all’art. 1, lett.A, n.2.:”chiunque nel giustificato timore di essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza ad un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trovi fuori dallo stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto stato, oppure chiunque, essendo apolide o trovandosi fuori dal suo stato di residenza abituale in seguito a tali avvenimenti, non può o, per timore sopra indicato, non vuole ritornarvi.” Definizione che è usualmente impiegata nella prassi ed è ripresa da altri strumenti internazionali, anche se altri se ne discostano e ne accolgono una più ampia, come la Convenzione sugli aspetti specifici del problema dei rifugiati in Africa del 10 settembre 1969 entrata in vigore nel giugno 1974“.ConvGinevra1951

La Convenzione non obbliga lo stato parte a riconoscere una persona come rifugiato, ma obbliga a valutare se possa essergli riconosciuto tale status e nel caso in cui lo Stato glielo riconosca,  è tenuto ad accordare alla persona una serie di diritti. Importante poi è l’art. 33,1 che stabilisce il principio di non – refoulement, cioè il divieto di espellere o respingere verso stati in cui la persona e’ (appunto dopo averlo accertato) a rischio di persecuzione. Il divieto si estende anche al fuori dal territorio, ma entro la giurisdizione dello stato, anche a bordo di navi in alto mare. Ricordiamo che la Corte Europea ha recentemente condannato l’Italia nella sentenza Hirsi c. Italia per aver violato il divieto di espulsione collettiva.

Richiedente asilo: il diritto internazionale generale non prevede l’obbligo di concedere l’asilo territoriale. Il diritto di asilo è enunciato in alcuni strumenti internazionali non vincolanti, è previsto anche dall’art. 10, 3°comma Costituzione italiana.

Determinazione dello status di rifugiato: un procedimento condotto dall’UNHCR o dallo Stato  che determina se un individuo possa essere riconosciuto come un rifugiato in accordo con le leggi nazionali e internazionali.

Refugee in orbit: anche se non ha fatto ritorno direttamente nel paese dove potrebbe essere perseguitato, non si trova uno Stato che voglia esaminare la sua richiesta oppure gli è negato l’asilo e quindi la persona in questione viene mossa da un paese all’altro in cerca di asilo.

Refugee in transit: ammesso temporaneamente nel territorio di uno Stato a condizione di essere rilocato altrove.

Refugee sur place: non erano rifugiati quando hanno lasciato il loro paese di origine, ma  sono diventati rifugiati più in là nel tempo, per esempio per un colpo di stato avvenuto nel loro paese o l’introduzione ovvero l’intensificazione di misure repressive o persecutorie dopo la loro partenza.

Migrante: non esiste una definizione accettata universalmente; il termine usualmente è utilizzato in  tutti i casi in cui la decisione di migrare è presa individualmente per ragioni di “convenienza personale”. Si applica quindi a persone o membri della propria famiglia che si muovono in un altro paese o regione per migliorare le condizioni materiali e sociali.

Migrazione: processo di movimento sia attraverso frontiere internazionali o all’interno di uno Stato. Movimento che include anche coloro che si spostano per ragioni economiche.

A questo punto vale la pena ricordare che stime dell’Organizzazione mondiale delle migrazioni ci offrono i seguenti dati ufficiali: 47,449 migranti arrivati in Italia dal mare tra gennaio e maggio 2015 di questi:

Eritrei: 10.985

Somali: 4.958

Nigeriani: 4.630

Siriani: 3.185

Gambiani: 2.941

Senegalesi: 2.328

Le principali nazionalità che sono arrivate in Grecia sono siriane e afghane.

 

Settembre 4 2015

La crisi dei migranti in Europa: non esiste

L’afflusso dei migranti in Europa nel 2015 è dello 0.068% della popolazione europea. Esiste la crisi politica dell’Unione Europea dovuta all’incapacità di gestione dell’afflusso dei migranti da parte dei politicanti nostrani ed europei.

La retorica apocalittica, la foto di corpi alla deriva, di bimbi morti, ha preso la mano a molti, soprattutto ai populisti, ai giornalisti in cerca di un momento di gloria. Ignoranti, nel senso che ignorano se veramente esiste una crisi di migranti. Dopo aver pubblicato su facebook, su twitter, la foto del piccolo Aylan Kurdi e commentato con frasi strappa lacrime, vi siete chiesti se questa crisi esiste davvero?  Esiste solo una crisi politica e basta!

I numeri ci suggeriscono che molti dei migranti in Europa provengono da Afghanistan, Iraq, Siria, Somalia ed Eritrea. Un flusso che è più simile ad una goccia nella terra  che dovrebbe assorbirla. La popolazione europea è di circa 500 milioni, l’ultima stima del numero di coloro che entrano attraverso mezzi illegali in Europa (quest’anno), via Mediterraneo o Balcani, è approssimativamente di 340.000. In altre parole l’afflusso di quest’anno è solo dello 0.068 % della popolazione europea. Facciamo un parallelo: gli Stati Uniti. Popolazione di 320 milioni, ha qualcosa come 11 milioni di immigrati senza documenti, circa il 3,5 % della popolazione. Per contro, l’Unione Europea (UE) ha tra 1.9 e 3.8 milioni si immigrati senza documenti  (dati 2008  gli ultimi disponibili, secondo uno studio sponsorizzato dalla Commissione Europea), meno dell’1% della sua popolazione.

Quindi perché questo panico in Europa? Molti paesi europei affrontano un profondo problema di calo delle nascite, con pochi giovani lavoratori a cui è chiesto di supportare troppi pensionati. Un afflusso di persone con una provata perseveranza sembrano fornire un’ iniezione di energia di cui l’Europea sinceramente ne ha bisogno. Ci sono diversi argomenti che fomentano il populismo della crisi dei migranti in Europa. Parlano (impropriamente) di “terrorismo”.  I gruppi estremisti ci hanno ampiamente dimostrato che sono capaci da soli e anche parecchio bene, di inviare i loro affiliati/seguaci in Europa o addirittura di reclutarli direttamente in Europa attraverso mezzi molto più convenzionali. Come nessun rifugiato sarebbe così coraggioso da attraversare il mediterraneo o negoziare una via di terra attraverso i Balcani se ci fosse stata un’alternativa disponibile, queste rotte sono del tutto improbabili come miglior passaggio per gruppi che godono di ingenti finanziamenti.

Cultura. Molti europei hanno paura che l’afflusso di stranieri mini la loro “confortevole cultura”. Ricerche ci suggeriscono che questo è il maggior argomento di cui si servono i partiti populisti in molti paesi Europei. In Francia hanno Marine Le Pen, in Olanda Geert Wilders, noi Matteo Salvini, la Repubblica Ceca Milos Zeman, il partito UKIP in Gran Bretagna. Paura che viene accentuata dalla grande “Europa Cristiana” contrapposta alla religione musulmana: Polonia, Bulgaria e Slovacchia hanno espresso una forte preferenza per soli rifugiati cristiani.

È una sfida politica, che richiede una leadership politica, non è una questione della capacità di assorbire i recenti immigrati. Dovrebbero ricordarsi quando altri hanno risposto generosamente durante la Seconda Guerra Mondiale, quando molti europei vittime di persecuzione sono diventati rifugiati. L’UE ha fallito nella responsabilità di gestione delle crisi e il suo Common Security and Defence Policy è solo un enorme distributore di fumo dietro il quale soldi e consulenze sostituiscono un pronto, deciso e robusto intervento nelle aree di crisi. Si sono seduti nelle loro confortevoli sedie e hanno aspettato che qualcun’altro facesse qualcosa. Gli stati membri dell’UE pagano i 2/5 del budget delle missioni di peacekeeping; la European Commision African Peace Facility è stata una fonte cruciale per il finanziamento delle missioni dell’Unione Africana negli ultimi 10 anni, fornendo circa 1 miliardo di euro principalmente per Darfur e Somalia. Pianificano sì, quanto so bravi a fare i Joint Plan UE/ONU e poi in pratica? In Libia aspettiamo che Leon (rappresentante ONU) porti a termine dei negoziati a cui una volta sì e una no una delle due parti non partecipa. In Siria, figuriamoci, l’Africa ce la siamo dimenticata, il Mali boh e poi ci chiediamo: “ma perché arrivano?”

Si sente poi parlare di frontiera al flusso migratorio...no, mi dispiace il Mediterraneo o i Balcani non sono la frontiera. Visto che ho iniziato con i numeri che contano più del populismo: secondo le Nazioni Unite, alla fine di maggio c’erano circa 4 milioni di rifugiati siriani (la popolazione, pre – guerra di Damasco era di 1,7 milioni). Molti sono ospitati dai paesi vicini e l’impatto è qualcosa di sconvolgente. In Libano la popolazione prima della crisi siriana era di 4.4 milioni adesso ospita 1.1 milioni di siriani. Persino il paese più ricco del mondo avrebbe difficoltà ad assorbire e gestire questo tipo di afflusso. La Turchia ne ospita 1.7 milioni e la Giordania 628.000. Ricordiamo che la terra del Medio Oriente è arida e spesso inabitabile con una cronica mancanza di sviluppo di infrastrutture per cui molte delle popolazioni dei paesi arabi tendono a concentrarsi in aree urbane e dipendono da beni di prima necessità importati. La Giordania importa l’87% del suo cibo e all’improvviso ha centinaia di migliaia di bocche da sfamare. L’ esodo siriano è arrivato dopo la crisi dei rifugiati iracheni. Nell’aprile 2007 UNHCR ha riportato che c’erano più di 4 milioni di iracheni in giro per il mondo di cui 2 milioni nel Medio Oriente. La Giordania ne ha ospitato 750.000. La Siria ne ospitava 1.1 milioni, cifra che è scesa nel 2013 a 146.000. L’anno scorso il consiglio dei ministri turco ha approvato il rilascio ai rifugiati siriani di carte d’identità che gli consentono l’accesso al sistema sanitario e ai servizi di educazione, offrendo una speranza per un permesso di lavoro condizionale. Ma questo è un’ eccezione nella Regione perchè la Turchia vuole entrare nell’UE anche se poi ultimamente li ha colpiti con i cannoni ad acqua. Gli altri stati li tollerano: sono l’intera frontiera della crisi siriana per la loro collocazione geografica e non fanno molto altro.  L’ UNHCR ci dice che i donatori governativi internazionali hanno contribuito solo per il 20% sulla cifra di 4.5 miliardi di dollari di cui hanno bisogno i rifugiati siriani in questi paesi.

Quindi cosa abbiamo? Una crisi di retorica, di populismo, di ignoranza. L’Unione Europea con i suoi valori predicati ai quattro venti con un carrozzone per miliardi di milioni di euro che non è capace di gestire l’afflusso di migranti e inetta nel rivedere la sua politica di sicurezza e di difesa. Inappropriata nel gestire le crisi ai suoi confini, quelle vere, di conflitti che non risparmiano nessuno e le cui foto non commuovono nessuno. Poi ci sono gli Stati del Golfo che tollerano milioni di persone senza fornire servizi e neanche speranza. Ma perchè credete che queste persone fuggano da paesi molto più vicini e attraversino l’inferno per venire in Europa? L’Europa dei diritti, della Commissione Europea dei diritti umani, l’Europa della pubblicità: non esiste. Quello che esiste è un nuvolo di politicanti e di funzionari ignoranti, questa è la vera tragedia.

Agosto 27 2015

Siria: il vostro tavolo da gioco

La Siria è diventata un tavolo da gioco dove il rumore delle armi e il potere dei soldi dell’Iran, Russia, Arabia Saudita, Giordania, Turchia, Israele hanno soffocato, nel silenzio complice della comunità internazionale, il sangue di 4 anni di guerra civile.

Pensate ad tavolo rotondo marrone di quelli antichi, massicci, con sopra la mappa della Siria, plastificata lucida, i nomi delle città, le strade i confini. Intorno al tavolo sedie grandi rivestite di quel tessuto stampato in velluto con i fiori bordeaux, poggiate su enorme tappeto persiano, bello grande. Sul tavolo giusto perpendicolare un lampadario di quelli antichi con tante lampadine. Seduti su quelle sedie se ne stanno quelli che per denaro, per potere, spudoratamente continuano a giocare in un paese oramai dimenticato da tutti. Vediamo chi gioca e come.

Iran: i primi di agosto il ministro iraniano degli affari esteri, Zarif, visita Damasco, dove incontra anche il leader di Hezbollah, Nasrallah, poi si dirige in Pakistan ad Islamabad. Il suo ruolo principale: chiarire le implicazioni dell’accordo di Vienna sul nucleare (ricordo che quell’accordo è poi stato ripreso in toto e annesso alla risoluzione n. 2231 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, quindi vincolante per tutti e dico: tutti). Il commercio delle armi dell’Iran è molto importante per la Siria di Assad. La priorità di Khameini è quella di migliorare la propria difesa, negli ultimi anni si è visto come la sua stessa sicurezza sia inestricabilmente legata ad una rete di alleati regionali e di proxies che ha coltivato in Iraq, in Libano, e nella stessa Siria. Questo include Assad e una serie di milizie pro – governative, giusto per fare qualche nome, e lo farò in inglese perché mettersi a tradurre i nomi mi pare decisamente fuori luogo: National Defence Forces (la più grande rete di milizia), the Jerusalem Brigade, the Syrian Resistance, Syrian Social Nationalist Party, Popular Front for the Liberation of Palestine – General Command, Desert Falcons. Con tutti i miliardi spesi per il supporto ad Assad è assai improbabile che Teheran si faccia da parte. Aprile 2015, il presidente russo Putin, evidenziando i progressi nelle negoziazioni per l ‘accordo con l’Iran sul nucleare, dichiara d’avere una buona ragione per togliere il divieto di vendita degli S – 300 all’Iran, un potente sistema di difesa aerea, visto come un utilissimo mezzo per compensare la superiorità aerea degli americani e degli israeliani. Qualche giorno fa il presidente iraniano Rouhani ha rivelato che il paese ha prodotto il suo ultimo modello di SSM: il Fateh (vincitore) 313, missile balistico con un raggio di 500 km. Per Assad l’accordo di Vienna con tutta probabilità assicurerà la crescita di influenza politica e finanziaria del suo più affidabile alleato. Tanto per essere chiari: l’Iran con i suoi contatti politici, organizzazione e finanziamento sostiene il traffico di autocisterne che tengono a galla l’economia, le infrastrutture di Assad . Il sostegno finanziario dell’Iran, le spedizioni, hanno permesso l’acquisto di petrolio e di altri beni d’importazione essenziali. Tanto per capirci: all’inizio del 2013 la banca centrale siriana ha raggiunto un accordo con l’Iran di 3 miliardi di dollari di credito per coprire i rifornimenti di petrolio, parte di una più ampia linea di credito per un valore di circa 7 miliardi di dollari. Un totale di 17 milioni di barili di crudo sono stati spediti alla raffineria di Baniyas tra il febbraio e l’ottobre del 2013, finanziate da lettere di credito iraniane e trasportate da autocisterne dall’Iran e Iraq via l’oleodotto Sumed che attraversa l’Egitto. Il 19 maggio di quest’anno l’Iran e la Siria hanno firmato un accordo per una linea di credito di un miliardo di dollari che è per Assad una gran bella mano. E’ vero che tutte le sanzioni multilaterali e unilaterali secondo l’accordo di Vienna e la risoluzione verranno revocate non prima di 8 anni, immagino che però molti partner e molti ex partner commerciali dell’Iran, tra cui alcuni paesi membri dell’Unione Europea, possano chiudere un occhio sulla politica regionale iraniana se questo è il prezzo per prendere un pezzo della torta. Morale della storia: più soldi all’Iran, più soldi ad Assad.

Russia:  come abbiamo visto vende gli S- 300 all’Iran e si garantisce un bel controllo dell’area, ma contemporaneamente previene un intervento armato americano, perché diciamocelo la Russia è sempre rimasta fissata con l’idea della guerra fredda. Importantissimo, la Siria è sempre stata un cliente fisso dell’industria di difesa russa, tra l’altro molti ufficiali siriani sono stati addestrati in Russia, sposati a donne russe. Putin ha bisogno di quei soldi, ricordiamoci che le sanzioni per la storia dell’Ucraina hanno un costo per l’ economia russa e i soldi servono. La Siria è centrale per le aspirazioni geopolitiche russe, continuano a tenere una struttura di riparazione e rifornimento per la marina russa al porto di Tartus, dove peraltro avevano investito molto denaro per la ristrutturazione poco prima che iniziasse la guerra civile nel 2011. Le aspirazioni russe nel rivestire un ruolo importante nel Mediterraneo dell’est e nel medio oriente sono vive e vegete. Così si è offerta recentemente di ospitare colloqui di pace a Mosca ricevendo Khaled Khoja, il presidente del National Coalition for Syrian Revolution e le forze opponenti.

Arabia Saudita: l’attività diplomatica continua ad avere un profilo molto alto, il ministro degli esteri e della difesa da giugno si focalizzano sul trovare una posizione comune con la Russia. La sicurezza è cruciale e la Siria è terreno fertile di estremisti islamisti non graditi alla monarchia.

Giordania: la sicurezza delle sue frontiere è la sua preoccupazione maggiore. Rinforza la sorveglianza delle frontiere e si allea con gli Stati Uniti nella coalizione anti Stato Islamico.

Turchia: l’assillo di Erdogan, a parte le sue personali aspirazioni di leader regionale, è quello di prevenire la formazione di un Kurdistan nel nord della Siria e con la scusa di fermare lo Stato Islamico, una bomba a loro ed una ai curdi. Una cosa diversa però Ankara l’ha fatta: diminuire le relazioni con Israele. Sì perché Israele ultimamente ha avuto non pochi problemi con l’accordo sul nucleare. Continuano le relazioni commerciali certo, ma la diplomazia sembra essersi imbalsamata.

Israele: non gli è andato giù per niente l’accordo di Vienna, definendolo un errore storico, ripete che il più grande pericolo per Israele é l’arco strategico che si estende tra Teheran, Damasco e Beirut. Raid israeliani  bombardano un’importante via di rifornimento usata da Hezbollah  nelle montagne di Qalamon (area che include una serie di strade che Hezbollah usa per trasferire esseri umani e supporto logistico dentro e fuori dal territorio siriano). Ha bombardato poi 14 postazioni del regime siriano nella parte siriana delle alture del Golan tutto in risposta ad un bombardamento del regime in un villaggio del nord di Israele.

NATO:  con un annuncio a sorpresa del 16 agosto  in cui si dichiara che il dispiegamento dei Patriot finirà a gennaio 2016, si evidenzia un crescente vuoto, oserei dire, tra gli Stati Uniti e i suoi alleati che non è compensato dal recente accordo che consente che aerei americani possano decollare per missioni di combattimento dalla base di Incirlik in Turchia.

Sul tavolo di questo gioco c’è lo Stato Islamico e una serie di gruppi estremisti, piccoli e grandi che si muovono in questo vuoto di potere. Non fanno più notizia i bombardamenti al mercato di Douma di Assad, le foto dei bambini morti. Da poco qualcuno si è accorto che ci sono i profughi siriani e li accolgono perchè sono in fondo dei filantropi. La disgrazia di questo paese è essere un tavolo da gioco, un punto geopoliticamente importante dove il rumore delle armi e quello silenzioso, ma potente dei soldi, coprono il sangue, la miseria, la distruzione. E così Signori, fate il vostro gioco, rien ne va plus.

Agosto 24 2015

L’insospettabile protagonista in Yemen

Gli Emirati Arabi Uniti insospettabili protagonisti di una campagna terreste in Yemen, si tolgono dallo schiaffo della monarchia saudita mostrandole chi ha i muscoli nella Regione. Alleati con gli Stati Uniti sono pronti a difendere la propria sicurezza in Yemen e dovunque sia necessario.

In Yemen  le forze fedeli al Presidente Abdrabbuh Mansour Hadi combattono contro i ribelli conosciuti come Houthi. Fosse solo così sarebbe una guerra civile come tante, ma la situazione è complicata dall’emergere verso la fine del 2014 di un affiliato yemenita del gruppo che si conosce con il nome di Stato Islamico (IS) , Wilayat al-Yemen, o Provincia dello Yemen, che cerca di eclissare la presenza di Al Qaida della Penisola Araba (AQAP). Sia Hadi che gli Houthi sono opposti ad AQAP e IS.  Dopo che a fine marzo di quest’anno i ribelli avevano preso d’assalto Aden, una coalizione, guidata dall’Arabia Saudita, ha risposto ad una richiesta di Hadi di intervenire e così è stato. La coalizione comprende 5 Stati del Golfo aArabo, Giordania, Egitto, Marocco e Sudan.

Il Re Salem e suo figlio Salman, avrebbero voluto guidare anche una coalizione di terra, ma dopo aver chiesto aiuto all’Egitto e nella visita al Cairo aver ricevuto un sonoro no, nonostante l’Egitto sia legato a Riyadh da finanziamenti per billioni di dollari. Altro paese indebitato con l’Arabia Saudita a cui è stato chiesto aiuto per un invasione di terra: il Pakistan, ha declinato un coinvolgimento in questo senso. L’azione in Yemen della monarchia saudita quindi si risolve in bombardamenti aerei, blocco navale, addestramento di soldati anti – houthi aiutati dall’Egitto e dal Senegal.

Ed ecco che sulla scena compare un insospettabile protagonista: gli Emirati Arabi Uniti, ma non come satellite di Riyadh ovvero al suo comando. Pur condividendo gli stessi interessi politici e di sicurezza, soprattutto per la minaccia Iran e dei gruppi islamisti e avendo lavorato fianco a fianco sostenendo el Sissi in Egitto ed ora contro gli Houthi in Yemen, le strategie politiche delle due potenze sembrano prendere decisamente due strade diverse.

Gli Emirati Arabi Uniti possiedono una delle più potenti aviazioni militari  della regione, con più di 60 versioni avanzate dell’F-16 fighter jet (prodotto in America), un numero simile di Mirage 2000 fighter (produzione francese). Nel 2011 hanno partecipato  alle operazioni contro il Col. Geddafi in Libia, a fianco degli Stati Uniti contro lo Stato Islamico in Libia e nello Yemen. Gli Emirati hanno intenzione di usare la forza contro i militanti islamisti molto di più di quanto abbia fatto l’Arabia Saudita. Quest’ultima s’era opposta alla Fratellanza Islamica in Egitto MA insieme alla Turchia supportano in Siria: Jaish – al – Fatah ovvero the Army of Conquest, una struttura di comando per gruppi jihadisti che include anche Jabhat al Nusra. Army of Conquest ha un centro di comando nelle provincia del nord siriano di Idlib. Ufficiali turchi hanno ammesso di fornire supporto logistico e di intelligence al quartier generale di Army of Conquest che ha al suo interno ben sette gruppi jihadisti. Materiale di supporto come armi e denaro invece arriva dai sauditi con i turchi che facilitano il passaggio attraverso i villaggi di frontiera di Guvecci, Kuyubasi, Hacipasa, Basalan, Kusakli, Bukulmez.

Abu Dhabi ha instaurato una forte relazione con gli Stati Uniti, inter alia, ospita gli F-22 Raptor e ad Al – Dhafra ospita l’Air Warfare Center dal 2004. La realtà è che gli Emirati hanno bisogno di partner fuori dalla regione per garantire la propria sicurezza: diventando militarmente utile per questioni di mutuo interesse, aumenta il proprio valore agli occhi degli Stati Uniti.

Agli inizi di agosto di quest’anno hanno deciso di fare di più inviando 3500 soldati in Yemen (sud del paese) con veicoli armati e armi pesanti. Sbarcati ad Aden si sono aggiunti alle 100 forze speciali che si trovano nel paese dallo scorso maggio. Ricordo che gli ostaggi inglesi sono stati liberati proprio dalle forze speciali degli Emirati. Notizia passata così un po’ sottotono. Ed invece la campagna terrestre del sud dello Yemen che ha cacciato gli Houthi da Aden e dalla provincia Lahj (sede della più grande base militare del paese)  pianificata e condotta  dagli Emirati segna la prima volta che uno Stato del Golfo manda propri cittadini in una guerra dopo l’esercito del Kuwait che fu sonoramente battuto da Saddam Hussein in Iraq nel 1990.

L’interesse di Abu Dhabi è che possa in questo modo forzare  la formazione di un governo a loro congeniale a Sanaa. Fatto più importante:  Abu Dhabi ha messo in chiaro una volta per tutte che  a) non ha paura a mandare proprie truppe in altri paesi per stabilizzare conflitti fucina di gruppi fondamentalisti e che non è affatto il fanalino di coda della monarchia saudita, ma è pronta ad allearsi con le potenze occidentali per la propria sicurezza e di altre parti della Regione. Per la serie : watch out!

 

 

*fonte foto: www.armyrecognition.com

Luglio 10 2015

A me Tsipras non sta simpatico

No, non mi è simpatico neanche un po’, perché trovo che “usare” il popolo greco per i suoi show verso l’Europa o verso possibili apparentamenti di convenienza è da stronzi. Tutti ad applaudirlo per aver usato la democrazia. Allora cosa avrebbero dovuto dire i greci dopo essere stati in fila per delle ore a ritirare gli ultimi risparmi nelle banche, dopo 5 anni di condizioni miserevoli, di una contrazione del 25% del PIL ed il 25,6% di disoccupazione?  Hanno detto:  noi non vogliamo stare nell’Eurozona, non vogliamo più l’Euro; e cosa fa questo baluardo della democrazia cerca un accordo con l’Europa per restare nell’Euro. E finalmente si decide a proporre una serie di misure, roba che sono anni che La Banca Centrale Europea gli chiede di varare RIFORME STRUTTURALI, un’occhiatina alla corruzione? Voglio dire l’ha dichiarato un medico greco che la sanità è praticamente una mazzetta gigante persino per le prestazioni obbligatorie del medico di famiglia. Ah no, oggi questo geniale Primo Ministro greco propone un aumento delle tasse sulle compagnie marittime, tagli alle spese della difesa, prevedendone un ulteriore dimezzamento nel 2016 (poi mi spiegherà con quali soldi contribuirà come paese membro della NATO),  privatizzazione degli assetti statali come il porto di Piraeus (grande colpo di genio, così magari se lo prende una bella compagnia russa) e aereporti regionali. Il colpo di genio, poi:  aumento IVA per hotel e ristoranti, taglio alle pagamento delle pensioni dei più poveri e aumento delle tasse per le isole. Gli agricoltori perderanno il loro trattamento preferenziale per le tasse e i sussidi sui carburanti.

Intanto il popolo ha proprio detto NO all’aumento delle tasse; all’interno del suo partito, coloro che credevano nella buona fede di Tsipras hanno dichiarato che non voteranno questo pacchetto di misure.

Qui non si tratta più di una crisi finanziaria ed economica, ma di un Primo Ministro con manie di grandezza che prende in giro il suo popolo che s’incontra con Putin per spaventare i creditori. Vi confesso che per un minuto ho creduto che fosse così intelligente da voler dimostrare che l’Eurozona è stata mal concepita che non c’è mai stata un Unione Monetaria; che inglobare economie divergenti era un errore. Ho finanche pensato che iniziasse a farsi stampare la Dracma :” se il mio popolo dice che non vuole l’ Euro così sia. E non importa se tiro dentro anche altri paesi, l’Euro zona o si rivede o fuori”.

Da un punto di vista meramente di politica internazionale, dubito che la Cina possa entrare in partita, a parte che ha già una bella gatta da pelare con la sua crisi economica, è più orientata a commerciare con i paesi europei in euro e con la totalità dell’Unione Europea. La Russia sì, è interessata ai porti, ma se Assad cade e dopo aver risolto il problema ucraino. Sono curiosa di sapere se Tsipras ha considerato che la Grecia è anche un membro della NATO e quanto gli costerebbe in termini di politica estera uscirne o trovarsi a non poter contribuire neanche con una pistola.

Chiediamoci perchè il ministro dell’economia greco, Varoufakis si è dimesso all’indomani del referendum e non un ministro come quelli italiani che prima giocavano a monopoli e poi si sono messi a capo del dicastero dell’economia.

Insomma Tsipras non ha utilizzato il NO del referendum come si conveniva: uscire dall’euro, ma per avere una chance in più per farsi prestare altri soldi. Chapeaux simpaticone.

 

* immagine di:  realsourceofjokes.blogspot.com

Giugno 24 2015

EUNAVFOR Med: solo una pezza a colore

La gestione del flusso  dei migranti mi fa venire in mente le “toppe”, le “pezze a colori” che si mettono su un buco, uno strappo. L’altro giorno sono stata alla stazione Tiburtina, non ho visto nessun campo, ma ho pensato che quest’allestimento super pubblicizzato, quando per anni e anni alla stazione ci sono stati migliaia di senza tetto, di ogni colore che si addormentavano li, chi chiedeva l’elemosina, chi vendeva gli asciugapiatti, chi i calzini; e mi è parso proprio che l’intento dietro l’allestimento di questo campo sia quello di mettere la polvere sotto il tappeto e di fare dei gran bei spot pubblicitari per la Croce Rossa che non ho mai visto alla stazione Tiburtina quando per esempio pioveva e si bagnavano i cartoni dei barboni e le coperte tutte zuppe, non ho mai visto distribuire pasti gratis…che strano, davvero. Vado da anni tutte le settimane a Roma e non ho mai visto tutta questa carità prima d’ora…INCREDIBILE!

A parte questa riflessione di morale, che chiaramente non hanno tutti quei giornalisti che sono li a fare domande del tipo: “ma ti hanno sparato?”; “vieni dall’Eritrea e hai preso il barcone in Libia?”, ” ti hanno picchiato?”, cerchiamo di fare un po di chiarezza sull’operazione EUNAFOR MED.

Quest’operazione così pubblicizzata come la migliore idea per risolvere il problema è in assoluto l’operazione più ridicola che si potesse mai ideare e peggio ancora realizzare. Consta di tre fasi sequenziali. La prima: sorveglianza e valutazione del traffico di esseri umani, delle sue reti, la seconda e la terza: individuazione e distruzione degli assetti dei trafficanti sulla base del diritto internazionale e di una partnership con le autorità libiche. Vediamo quindi punto per punto l’idiozia insita in questo programma. Prima vorrei portare alla vostra attenzione quanto accaduto in sede di redazione del testo di questa operazione che ci viene spiegato dal nostro ministro della difesa: “in vista di un eventuale risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (non si sa bene poi cosa dovrebbe decidere) la parola “affondamento dei barconi” è stata modificata in “eliminazione”. Ovviamente è chiaro a tutti che affondare una barca è diverso da eliminare. Questo perchè evidentemente anche il nostro ministro della difesa è colto da quel disturbo cognitivo e comportamentale per cui se uno mette una parola più figa tutto suona molto meglio. Perchè chiaramente distruggere (disrupt) come recita il testo inglese vuol dire che sul barcone non rimane più nessuno se fosse in mare e invece ancorato al porto, è oltremodo palese che sulla barca del trafficante c’ ha scritto: “trafficante” e quindi sono in grado di effettuare un eliminazione selettiva rispetto a tutte le barche ancorate in un porto, sapendo che i porti della Libia sono talmente piccoli che ci saranno solo le barche dei trafficanti. Probabilmente saranno tutte quelle con scritto “Caronte”. Quindi il problema si risolve eliminando il mezzo di trasporto. Allora facciamo un esempio: io elimino tutte le imbarcazioni dei trafficanti e tutti coloro che hanno attraversato almeno altri due Stati per arrivare in Libia tornano indietro.

Altro punto del tutto trascurato: le autorità libiche. Mi sorge spontanea una domanda: “quali”? Non ci sono forse due compagini governative che pensano di essere entrambe le rappresentanti del popolo libico, non ci sono forse una serie innumerevole di schieramenti, più di 300 partiti politici e soprattutto l’ambasciatore alle Nazioni Unite del governo riconosciuto dalla comunità internazionale (e qui evito in questo post di parlare del riconoscimento degli stati perchè anche qui ci sarebbero una serie di argomentazioni che sconfesserebbero tutti quei luminari che insistono che siccome tre paesi l’hanno riconosciuto allora è un governo legittimo) ha dichiarato proprio mentre si redigeva il testo di EUNAVFOR MED che non avrebbe mai dato il consenso per eliminare le barche nel territorio libico (quindi anche nelle acque territoriali). Il governo di Tobruk dalla parte sua non ha assunto finora nessuna posizione ufficiale. Saranno ottimisti e penseranno che prima o poi lo daranno o ne faranno a meno come tante volte si fa per un Bene Superiore, quello di mettere le pezze ovviamente.

La parte che più mi fa ridere è la frase :”in accordo con il diritto internazionale”, che evidentemente nessuno conosce. L’uso della forza previsto dall’operazione viola la proibizione dell’uso della forza sancita dall’art. 2 (4) della Carta Nazioni Unite, a meno che non si applichi una di queste eccezioni. L’attacco alle navi potrebbe essere qualificato come “law enforcement” piuttosto che “uso della forza” (Guyama v Suriname), ma sarebbe ugualmente illegale nel territorio ovvero nelle acque territoriali di uno stato in assenza di queste eccezioni: l’auto – difesa e l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza. L’eccezione dell’auto – difesa non è applicabile perchè non c’è un attacco armato contro un paese dell’UE da parte di Stati Africani o dai trafficanti (punto che sarebbe rilevante se si riconoscesse un diritto all’auto – difesa contro attori non – statali). Si potrebbe verificare il diritto degli Stati all’uso della forza per proteggere i propri cittadini, peccato che i cittadini europei non siano nè minacciati nè coinvolti nei traffici. L’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza secondo il capitolo settimo della Carta NU. Il Consiglio di Sicurezza concesse l’autorizzazione per l’Operazione Atalanta (anti pirateria, coste somale); tuttavia l’autorizzazione fu data a condizione che ci fosse il consenso del governo somalo. Altro problema: i 5 membri permanenti ed in particolare la Russia. La vedo difficile che non apponga il veto soprattutto dopo l’abuso che i paesi occidentali hanno perpetrato quando fu concessa l’autorizzazione del 2011 proprio in Libia. Il Consiglio di Sicurezza però emana l’autorizzazione all’uso della forza quando è necessario per “mantenere la pace e la sicurezza internazionale (art.42) ovvero in presenza di una minaccia o violazione della pace ovvero per un atto di aggressione (art. 39). Una via plausibile sarebbe quella di arguire che la situazione nel Mediterraneo costituisca una minaccia alla pace; con la Risoluzione 668 (Iraq: trattamento della popolazione curda) il Consiglio di Sicurezza stabilì che un massiccio flusso di rifugiati verso e oltre le frontiere internazionali costituisse una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale.

Inoltre se si concedesse l’applicazione delle norme di diritto internazionale umanitario, le navi dei trafficanti sarebbero intitolate alla protezione come “oggetti civili”. Le attività dei trafficanti non si qualificano come pirateria secondo l’articolo 101 della Convenzione sul diritto del Mare (UNCLOS) e in ogni caso secondo l’art. 105 la forza può essere utilizzata sono nelle acque internazionali.

Concludendo, l’uso della forza non avrà granchè di basi giuridiche e non risolverà il problema. Resta più facile far andare avanti il carrozzone così perché affrontare le condizioni degli Stati da cui provengono i migranti richiederebbe uno sforzo molto più grande e non di denaro giacché il costo di EUNAFOR MED è di 11, 82 milioni di euro solo per i due mesi di start up, ma uno sforzo di politica estera europea che richiederebbe una serie di expertise di cui evidentemente il carrozzone europeo non è assolutamente dotato ed avendo alla guida proprio della politica estera la persona più inadatta della storia di tutti i tempi: la Mogherini.

 

 

Giugno 4 2015

Il calcio e la politica internazionale

Ci si potrebbe chiedere: ma con tutto quello che ha da fare l’FBI possibile che si mette ad indagare sulla FIFA?. Gettare fango su un rito di milioni di persone, su quelli che prendono a parolacce la telefonista Premium perchè non attiva la carta per vedere una partita (la sottoscritta). La corruzione, sì, che storia trita e ritrita, dicono gli affezionati del bar e del caffè corretto fuori dallo stadio.  Ed allora proviamo a guardare la situazione da un punto di vista di politica internazionale.

L’ “affair” FIFA è come un microcosmo di più ampie tensioni che affliggono le istituzioni internazionali e ci offre una lezione magistrale, oserei dire, sui limiti da parte dei paesi occidentali di fare appello alla moralità e alle regole di legge per influenzare la pubblica opinione globale.

L’ex segretario generale delle Nazioni Unite dichiarò che la Coppa del Mondo FIFA è  uno dei pochi fenomeni universali pari alle Nazioni Unite (NU). Infatti le 209 associazioni nazionali di calcio che formano il congresso FIFA sembrano essere “sensibili” alla geopolitica così come i diplomatici che siedono nel Consiglio di Sicurezza e nell’Assemblea Generale.

Osservando l’ “affair FIFA” sembra di essere davanti all’ ultimo esempio di come gli Stati Uniti e i suoi alleati europei cerchino di tenere ben salda la presa su istituzioni internazionali malgrado le oscillazioni dell’equilibrio del potere globale. Il “caso Blatter” arriva in un momento in cui Washington e i suoi amici stanno diventando incredibilmente diretti nel voler stabilire le regole del gioco multilaterale. Washington è stata colta di sorpresa dalla decisione della Cina di lanciare la Banca asiatica d’investimento in infrastrutture, un possibile primo passo per sfidare gli organismi a guida americana come la Banca Mondiale. Parlando di un patto sul commercio nel Pacifico, Obama dichiara che bisogna essere sicuri che gli Stati Uniti, e non paesi come la Cina, siano tra coloro  che scrivono le regole del secolo per l’economia mondiale. Quindi dopo l’economia sembra che gli Stati Uniti vogliano scrivere le regole del calcio mondiale.

Il Congresso della FIFA prevede che ogni singolo membro abbia un singolo voto, di uguale valore rispetto a quello di qualsiasi altro membro. Dove gli Stati Uniti non esercitano nessun controllo diretto. Un altro esempio di un voto = un membro, nei consessi internazionali, è la Conferenza Generale dell’UNESCO.

Sebbene le decisioni dell’UNESCO interessano molti, ma molti meno di quelle della FIFA, Washington ha tagliato i fondi a quest’ organismo internazionale dopo che ammise la Palestina come membro nel 2011. L’amministrazione Obama ha sempre fatto del suo meglio (e continua a farlo) per trarre i propri vantaggi e crearsi legami nei forum delle NU come l’Assemblea Generale o il Consiglio dei Diritti Umani.

Questo scandalo sembra un tentativo di cortocircuitare il governo dell’organizzazione e se Washington e l’Europa non possono deporre Blatter attraverso delle procedure formali di governance perché non creare lo scandalo nel momento giusto? Le critiche americane alle NU guidarono Annan in un disonorevole e precoce pensionamento nel 2005 proprio per accuse di corruzione.

Mi sembra improbabile che gli Stati Uniti investano ingenti capitali politici per fomentare un vero e proprio ” coup d’etat” per uno sport che non è esattamente lo sport nazionale, anche se la sua squadra femminile se la cava gran bene.

Blatter potrebbe o no aver beneficiato direttamente o indirettamente di pratiche corrette nel corso degli anni, ma sicuramente ha beneficiato della sfiducia che oggi c’è attorno alle regole multilaterali e nelle istituzioni ed è questa l’altra grande lezione da trarre da questa storia. Che l’America Latina, qui dove il calcio scorre nelle vene di chiunque, sia la zona maggiormente colpita dallo scandalo e che sia accaduto al momento giusto nel posto giusto, questo è un altro ulteriore esempio di come si piloti l’equilibro globale. ” Cari amici del Brasile, del Paraguay, dell’Argentina, del Cile, gli affari si fanno se la smettete di dire che la corruzione è un modo di vivere. Firmato Barack Obama”. Ecco il messaggio veicolato attraverso quello che è lo sport più seguito in questi posti.

Noi, popolo dei tifosi del calcio, continueremo a seguire questo bellissimo sport credendo nella genuinità di quei bambini che giocano sentendo i propri genitori inveire contro l’arbitro. Lo seguiremo mangiando il gelato alla fine del primo tempo, perchè è un rito e se non si fa porta sfiga. Continueremo ad andare da Gianni il vinaiolo giallorosso e a salutarlo affettuosamente dopo che la sua squadra ha perso, non accettando lezioni di morale da paesi che finanziano gli estremisti.