Dicembre 28 2015

Nel 2015 il Peacekeeping è stato il Chatkeeping

peacekeeping

Il Peacekeeping si è contraddistinto in quest’ultimo anno come un’occasione per chiacchierare piuttosto che per agire.

Si è parlato molto del dispiegamento di peacekeepers in zone di guerra, ma il risultato è stato paradossale: meno azione. Sembra che in questo 2015 i governi e le organizzazioni internazionali abbiano intrapreso un approccio più cauto nel comporre nuove missioni in ambienti ad alto rischio.

Il difficile equilibrio tra i dispiegamenti all’infinito e l’inazione

In Ucraina, l’OSCE ha mantenuto la sua missione civile di monitoraggio, lanciata nel 2014, anche se fronteggia regolarmente l’ostruzionismo dei secessionisti nell’est del paese. I funzionari dell’OSCE hanno occasionalmente proposto di aggiungere una componente militare alla missione e il governo ucraino ha dichiarato che sarebbe aperto ad una missione di larga scala di peacekeeping delle Nazioni Unite. Sembra del tutto improbabile che la Russia accetti ogni dispiegamento di forze che restringa la sua libertà d’azione nell’est dell’Ucraina nel prossimo futuro.
All’inizio del 2015, l’Unione Africana ha assunto la guida di una Multinational Joint Task force per fronteggiare la minaccia crescente di Boko Haram. Il Consiglio di Sicurezza ha dato a questa nuova formazione la sua benedizione e la Francia ha esercitato parecchia pressione per farla funzionare. Tuttavia l’Unione Africana ha sempre rimandato l’inizio delle operazioni a metà 2015 e non ha ancora raggiunto la sua piena capacità operativa. Il Ciad, un potenziale cruciale contributore, ha negato le sue truppe a seguito di tensioni sulla strategia delle forze in campo.
In Libia, il diplomatico tedesco inviato delle Nazioni Unite, è riuscito a far impegnare i leader delle varie fazioni a formare un governo di unità nazionale. Ora si discurte nel consesso delle Nazioni Unite di dispiegare una piccola forza militare di peacekeeping per proteggere questa nuova amministrazione a Tripoli, in parallelo con azioni più aggressive contro lo stato islamico in Libia. Ma non è ancora certo se questa proposta sarà politicamente fattibile, e c’è il rischio, che una volta sul terreno, le forze di peacekeeping vengano messe sotto pressione per costringere le Nazioni Unite a dispiegare una forza più ampia nella regione.
La forza di stabilizzazione in Afghanistan inizia, dopo tutto, come una piccola presenza stazionata a Kabul per proteggere le autorità post- talebani nel 2001. Alla fine è cresciuta con un personale pari a più di 100.000 unità, intrappolato in una guerra che non potrà mai vincere.
Per la maggior parte dell’anno, si sono susseguite proposte per operazioni di peacekeeping in Siria, che però rimangono interamente ipotetiche. Il Consiglio di Sicurezza ha autorizzato il così detto “tavolo di proposte” di Ban Ki – moon per un “monitoraggio di cessate il fuoco, meccanismo di verifica e rapporto” inteso come un complemento ai colloqui di pace che si terranno all’inizio del 2016. Nessuno vuole ripetere i precedenti sforzi di monitoraggio delle Nazioni Unite in Siria: una missione di caschi blu  che fallì nel fermare l’aumento delle ostilità del 2012.
le violazioni del cessate il fuoco potrebbero essere monitorare dalle parti in guerra o da organizzazioni civili e riportate alle Nazioni Unite” sembra proprio una proposta di disperazione diplomatica. Ci sembra davvero parecchio difficile vedere come il meccanismo di “auto – rapporto” godrebbe di diffusa credibilità dopo 4 anni di guerra.

L’unione Africana ha autorizzato una proposta per una operazione di 5000 soldati per fermare la deriva violenta che sta attraversando il Burundi. Il governo del Burundi ha rigettato la proposta come “forza d’invasione” .

Ognuno di questi processi è fragile e nella migliore ipotesi  stabiliscono  un lungo ed infinito sentiero di risoluzione.
Malgrado i principi post – Rwanda e post – Srebenica di prevenzione del genocidio o di atrocità di massa con o senza il permesso dello stato, le Nazioni Unite sono ancora basate sul sistema di sovranità dello stato. Il risultato è che è virtualmente impossibile per le Nazioni Unite impegnarsi massivamente senza il permesso dello stato ospitante. La Siria, fino ad ora è stata ricettiva solo di una modesta missione di osservatori delle Nazioni Unite e di aiuto umanitario. Yemen e Libia erano più aperte ad un ruolo Nazioni Unite sperando per una operazione di peacekeeping di lungo termine che potesse aiutare a guidare la ricostruzione economica come la riconciliazione politica.

L’apertura alle forze di peacekeeping non è necessariamente risolutiva del conflitto.

Ci si chiede spesso perché il peacekeeping non riesca ad ottenere risultati sperati, perché in alcuni paesi le forze di peacekeeping sono rimaste impantanate senza vedere via d’uscita. Molto semplice: le organizzazioni regionali, le grandi potenze hanno un’enorme influenza nel creare le condizioni affinchè la missione di peacekeeping sia produttiva. Se potenze regionali  sentono che in qualche modo la missione mini i loro interessi, possono facilmente boicottarla, come è il caso dello Yemen e della Libia. L’Arabia Saudita considera la stabilità dello Yemen come un interesse vitale di sicurezza nazionale. Il diretto interesse e coinvolgimento degli stati regionali complica il compito delle Nazioni Unite. Non è un segreto che gli inviati delle Nazioni Unite ricevano pressioni dalle potenze regionali che vogliono proteggere i loro clienti o un particolare risultato. La conseguenza è che potrebbero quindi arroccarsi in posizioni che influenzano l’approccio che le Nazioni Unite dovrebbero intraprendere e lo scopo della missione di peacekeeping. Possono benissimo utilizzare alcune tecniche politiche che conferiscono legittimità ai ribelli piuttosto che ricreare un governo rimosso, oppure strutturare i colloqui di pace attorno ad un’artificiale simmetria di potere tra le forze contendenti.
Le grandi potenze possono anche bloccare i progressi degli sforzi di mediazione NU. Siria è l’esempio più lampante.

Vietare l’uso dell’ipocrisia quando si parla di peacekeeping

Per il nuovo anno auguriamo al Consiglio di Sicurezza di farsi un esame di coscienza. Il 31 dicembre 2015 speriamo che buttino dalla finestra le chiacchiere infinite su le missioni di peacekeeping e si dirigano senza esitazione su due vie: la riforma del Consiglio di Sicurezza e il dispiegamento delle forze di peacekeeping con un mandato preciso e attagliato al contesto, senza ricadere nell’errore di rinnovare ogni anno la missione che era nata per uno scopo e dopo 10 anni evidentemente non è neanche più lo stesso. E’ facile dire che il peacekeeping è inutile, le Nazioni Unite sono inutili, quello che è veramente inutile ed essere sempre uguali a se stessi, se il sistema è nato dopo la seconda guerra mondiale, beh è obsoleto, non si può pensare che il mondo sia lo stesso e non si può neanche pensare di combattere il terrorismo sapendo che proprio nel Consiglio di Sicurezza sia gli Stati Uniti che la Russia si oppongono ad una definizione di terrorismo univoca che acquisti rilevanza giuridica perchè temono che poi nella definizione ricadano i gruppi che proteggono ed armano.

Dicembre 3 2015

La Gran Bretagna, i bombardamenti illegali in Siria e l’ordine internazionale

Gran Bretagna

L’ordine internazionale si mantiene con le regole che gli stessi stati hanno stabilito anche attraverso la carta Nazioni Unite. Far diventare il mondo il Far West nuoce soprattutto ai cittadini.

Forse l’attimo di una telefonata, neanche il tempo di uscire dall’aula del parlamento inglese, che i tornado della RAF si sono alzati in volo dalla base aerea a Cipro per ottemperare alla decisione della Gran Bretagna: bombardare la Siria. Gli attacchi avevano come obiettivi i giacimenti petroliferi di Omar in mano all’ISIS nell’ est della Siria.

Le armi della Gran Bretagna

I tornado inglesi sono equipaggiati con quelle che vengono chiamate le Paveway bomb. I tornado della RAF posso portare fino a 5 Paveway IV bomb. Sono moderne e accurate munizioni che comunemente vengono usate contro obiettivi statici. I tornado hanno anche i missili Brimston che hanno un radar e un laser guida con due testate che possono essere usate contro veicoli e obiettivi multipli. Sono conosciuti come “scarica e dimentica”. La Gran Bretagna attraverso il suo ministero della difesa ha dichiarato che 93 missili Brimstone, ognuno dei quali costa più di 100,000 sterline, sono stati usati da gennaio a settembre nelle operazioni militari in Iraq.

Il dibattito nell’ House of Commons

Nel dibattito durato una decina di ore i parlamentari inglesi hanno anche sollevato la legalità di questi bombardamenti dal punto di visto di diritto internazionale. Soprattutto alla luce dell’ultima risoluzione del consiglio di sicurezza: UNSC n. 2249.
Cameron, nel suo discorso, argumenta che gli attacchi contro le forze dell’ISIS in Siria sarebbero un esercizio di legittima difesa indivuale e collettiva (facendo finta di niente sul punto che comunque c’è bisogno dell’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza). Egli fa leva su aspetti della risoluzione 2249 quali la circostanza che la risoluzione sia stata adottata unanimemente dal Consiglio di Sicurezza (e quindi?) e cita il passaggio in cui si richiamano gli stati a “take all necessary measures” per eradicare i safe heaven dell’ISIS e restringere le loro attività. Camoron prosegue dicendo che la risoluzione asserisce che l’ISIS è: “unprecedented threat to international peace and security”. (ancora: e quindi?)
Ascoltando solo Cameron, uno potrebbe avere l’impressione che un Consiglio di Sicurezza quanto mai unito ha autorizzato carta bianca per attaccare le forze ISIS in Siria.
Non è così. La risoluzione 2249 non autorizza chiaramente ed inequivocabilmente all’uso della forza armata in Siria.

Le regole stabilite dalla Carta ONU

Partiamo innanzitutto dal fatto che l’art. 2, 4 della Carta delle Nazioni Unite, che vieta l’uso della forza, corrisponde al diritto internazionale generale, valevole quindi per tutti gli stati e non solo per i membri delle Nazioni Unite, appartenente allo jus cogens e contemplante un obbligo erga omnes. La carta delle Nazioni Unite contiene due espresse eccezioni: a) l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza in ottemperanza agli articoli 39 e 42 e, b) legittima difesa, con l’art. 51, che deve avere i requisiti di proporzionalità, necessità e immediatezza.
Un’eccezione extra carta Onu all’uso della forza in uno stato sovrano è quella che deriva dal consenso dello stato, un esplicito consenso a che la comunità internazionale aiuti lo stato nell’eradicazione della minaccia. Cosa avvenuta in Iraq. Il consenso dell’Iraq all’uso della forza da parte di altri stati sul suo territorio è espressamente dichiarata in una lettera datata 20 settembre 2014 dal governo iracheno indirizzata al presidente del Consiglio di Sicurezza. In questo caso lo stato che non è in grado di controllare il proprio territorio chiede assistenza alla comunità internazionale.  Di contro, Assad  ha inviato due lettere, la prima datata 16/9/2015 e l’altra 17/9/2015 in cui contesta l’interpretazione dell’art. 51 ONU da parte degli stati che intervenivano. Nella seconda lettera ufficialmente avverte che “se qualsiasi stato invoca la scusa del counter – terrorism per essere presente sul territorio sovrano siriano, sia terra, aria e acque territoriali, le sue azioni devono essere considerate una violazione della sovranità siriana”. La Russia è stata invitata da Assad nell’eradicazione dell’ISIS, pertanto legittimata dal consenso dello stato territoriale.

La risoluzione n.2249

Al punto 5, chiama tutti i membri, che hanno la capacità di farlo, a prendere tutte le misure necessarie, in ottemperanza al diritto internazionale, alla Carta delle Nazioni Unite, al diritto internazionale dei diritti umani, al diritto internazionale umanitario. Autorizza le misure lecite che potrebbero essere adottate senza rendere lecite quelle che non lo sarebbero. La risoluzione 2249 non fa riferimento al Capitolo VII della Carta ONU che disciplina il sistema di sicurezza collettiva delle Nazioni Unite insieme al Capitolo VIII. Per intenderci il Capitolo VII all’ art. 39 regola le raccomandazioni; art. 40 misure provvisorie; art. 41 misure non implicanti l’uso della forza; art. 42 misure implicanti l’uso della forza.

Quando si parla di questa risoluzione NESSUNO legge cosa c’è scritto dopo il punto 5 e cioè  che la situazione in Siria continuerà a deteriorare ulteriormente in assenza di una soluzione politica al conflitto siriano ed enfatizza la necessità di implementare l’annesso II alla risoluzione 2118 (2013) – principi concordati e linee guida per una transizione a guida siriana. Il punto 9 ha come titolo: “Passi chiari nella transizione”.
a) Stabilire un ente/organo di transizione che può stabilire un ambiente neutrale in cui la transizione possa avere luogo. L’organo/ente di transizione deve esercitare pieni poteri esecutivi. Potrebbe includere membri del governo presente, l’opposizione e altri gruppi, ma che sia formato su base di mutuo consenso
b) Tutti i gruppi e segmenti della società devono partecipare al processo di dialogo nazionale
c) Su queste basi ci potrebbe essere una revisione dell’ordine costituzionale e del sistema legale. Il risultato della bozza costituzionale sarebbe soggetto ad approvazione popolare.

Ignorare le regole è pericoloso

Lo scopo del diritto internazionale è quello di rendere possibile la convivenza di tutti gli esseri umani e le comunità in un mondo privo di un’autorità universale. Ignorare questo vuol dire scavalcare le regole, vuol dire costruire un ponte verso il caos.

Gli stati esercitano, ciascuno, la propria autorità sugli individui che nel suo territorio, ed esiste un diritto che è comune a tutti gli stati: il diritto internazionale.

Tutti coloro che asseriscono senza ombra di dubbio che l’ONU sia inutile, che le regole siano inutili, evidentemente sono disposti ad andare in giro a farsi giustizia da soli. Molto probabilmente sono quelli che non rispettano le regole della vita quotidiana. Le azioni hanno delle conseguenze, non si può pensare che sia possibile agire unilateralmente senza peraltro una strategia a lungo termine, soltanto perché vittime della ricerca di consenso per le prossime elezioni.

La Gran Bretagna ha trovato la sua soluzione interna, almeno nel parlamento, leggendo la risoluzione 2249 come le faceva più comodo. Per la serie: “io ho bombardato il giacimento petrolifero dell’ISIS” e la mia coscienza è salva. Ahimè non risolverà la minaccia anzi avrà messo un mattoncino in più per il ponte verso il caos.

Dicembre 2 2015

La Russia e il petrolio

Russia petrolio

La Russia cerca un accordo con l’Arabia Saudita per alzare i prezzi del petrolio, ma la questione siriana rischia di rovinare i suoi piani.

L’economia russa è in caduta libera. La concomitanza delle sanzioni occidentali, i prezzi bassi del petrolio, un debole rublo hanno contribuito alla contrazione dell’economia russa del 3.4 % nella prima metà del 2015.

Non è la guerra in Siria, in se stessa, che manderà Putin in bancarotta. Anche ad un costo stimato di 4 milioni di dollaro al giorno, l’intervento in Siria sarebbe coperto da ingenti somme di denaro confluite nel budget della difesa russo. Secondo un calcolo fatto dal Financial Timesanche se la Russia continuasse i suoi attacchi aerei per un anno completo, userebbe meno del 3% dei fondi del budget della difesa nazionale nel 2016.

 

L’accordo con l’Arabia Saudita

Il problema economico russo potrebbe venire da un’altra parte. In estate, Mosca si è mossa per  raggiungere un accordo con l’Arabia Saudita e altre nazioni OPEC per far alzare i prezzi del petrolio. Tuttavia l’impegno russo in Siria e il suo focus su operazioni militari su gruppi che sono sostenuti da Riyadh rendono molto più difficoltoso il raggiungimento di un accordo. Considerando che la Russia fa affidamento su ricavi derivati dal petrolio per metà del suo budget nazionale, le speranze di Putin di far risalire l’ economia domestica non saranno positive se non ci sarà un aumento dei prezzi del petrolio. Inoltre, la Russia è già coinvolta in una “guerra dei prezzi” con l’Arabia Saudita, dal momento che entrambi i paesi stanno cercando di vendere il greggio a prezzi molto molto scontanti all’ Europa per catturare quote di mercato lì.

La Russia nel labirinto siriano

Al di là del “fronte petriolio” è verosimile che i sauditi e gli stati del golfo risponderanno alle strategie della Russia in Siria aumentando il loro supporto ai ribelli siriani. L’Arabia Saudita e gli stati del golfo, presenti sulla scena internazionale per arginare la Russia, avevano messo la Turchia in ultima fila, ed è questo il motivo per cui Erdogan ha deciso di abbattere l’aereo russo. La Turchia voleva disperatamente essere protagonista nelle vicende della regione già all’inizio della guerra civile in Siria nel 2011, ma non ci è mai riuscita. La questione dei curdi è un tarlo per Erdogan ed è disposto a tutto, anche ad un gesto azzardato come quello di abbattere un aereo russo, pur di non riconoscere neanche una zolla di terra ai curdi. La Russia ha risposto accusando la Turchia di voler proteggere il suo mercato illecito di petrolio con l’ISIS.

E’ difficile leggere questa situazione come qualcosa di positivo per Mosca, piuttosto la strada che pare stia intraprendendo la Russia sia più verso un isolamento nel Medio Oriente che verso una sua espansione. Malgrado si sia sforzata di dipingersi come il “mediatore” della questione siriana.
Il ruolo della Russia in Siria, come è spesso il caso negli interventi in Medio Oriente, potrebbe essere molto più lungo di pochi mesi.
Le ricadute dai primi due mesi di combattimenti in Siria per la Russia sono state: i civili russi morti nell’attentato in Sinai, aumento delle tensioni con gli stati del golfo o ora con la Turchia. Tutto ciò rischia di fare di Mosca un prigioniero degli eventi sul terreno in Siria e delle negoziazioni di Vienna sul futuro della Siria. Una volta entrati in questo tipo di guerre è difficile uscirne.

 

 

Novembre 18 2015

La Russia non è il benefattore che pensate

Russia

La Russia in Siria fa il suo gioco e non è certo il “salvatore” arrivato dall’est.

La Russia non è quella potenza totalitaria che ha invaso, occupato e preso la Crimea. Non è quella potenza totalitaria che tiene sotto scacco due regioni dell’Ucraina. Ci si dimentica facilmente di accadimenti recenti, per far posto alla superficialità di risposte “di pancia” , sull’onda dell’odio.

 

La Russia continua a dare priorità alla preservazione di Assad piuttosto che combattere l’ISIS atttraverso la sua campagna aerea in Siria.

Gli attacchi aerei russi, supportati dal regime con operazioni di terra, contro l’opposizione armata siriana (dal 13 al 15 novembre) si sono concentrati sulla parte sud della campagna di Aleppo altri  attacchi si sono concentrati nel nord della Siria mentre le forze del regime avanzavano.

La Russia continuerà a presentarsi come un partner decisivo per la lotta all’ISIS in Siria.

Agli occhi della comunità internazionale, la Russia vuole essere il “benefattore”, il “ci penso io”,mostrando come sia inutile l’Unione Europea ancora divisa sulla risposta alla minaccia al terrorismo internazionale. Quindi dichiarazioni di natura politica con temi forti come invocando la composizione di una “coalizione anti – Hitler”. Oggi addirittura l’annuncio della creazione di una commissione per combattere finanziamenti ai terroristi.

Cosa fa la Russia in Siria?

La campagna russa in Siria sta accelerando la radicalizzazione dell’opposizione armata al regime di Assad. La brutalità del regime di Assad contro la popolazione civile in 4 anni di conflitto armato ha portato i ribelli dritti in partnership con Jabhat al – Nusra, creazione in primis di Abu Bakr al Baghdadi e poi dimostratosi molto più vicino (per strategia) ad Al Qaeda centrale. Ufficiali del Pentagono hanno confermato che l’utilizzo di munizioni cluster* in aeree popolate ad Hama e nella Provincia di Idlib. Ci sono altre fonti che indicano che l’uso di munizioni cluster si è verificato anche nella provincia di Aleppo. Gli attacchi della Russia hanno ucciso 254 civili solo nel periodo 30 settembre – 26 ottobre, secondo il Syrian Network for Human Rights. Alla fine di ottobre 2015, secondo un rapporto di Medici senza Frontiere gli attacchi russi hanno avuto come obiettivi almeno 12 infrastrutture mediche in Siria. Il 12 novembre fonti locali hanno riportato l’uso di fosforo bianco** durante gli attacchi russi nelle provincia Idlib. L’intervento violento russo sta già avendo come conseguenza l’unificazione di ribelli in elementi estremisti ancora più potenti: tre gruppi di ribelli composti da foreign fighters  questi tre gruppi si sono fusi in un gruppo estremista di natura religiosa in particolare islamica che si chiama  Ahrar al-Shamhanno dichiarando alleanza a Jabhat al – Nusra.

Perché la Russia è in Siria?

Putin ha visto che un gran numero di ceceni si uniscono allo stato islamico ed è per lui una minaccia. Per la Russia la prorità è la preservazione dello stato siriano. Il leader russo guarda all’Afghanistan, all’Iraq, alla Libia e vede come gli interventi occidentali hanno avuto come risultato l’anarchia. E teme proprio questo.

Considerare la Russia un “alleato” vuol dire sottovalutare la portata e l’ampiezza dei suoi interessi personali di potenza mondiale. Il rispetto delle regole dell’ordine internazionale fa sì che questo sistema non si sgretoli di fronte alle minacce di gruppi terroristici transnazionali e abbandonare quel complesso di regole (togliere le sanzioni alla Russia, interventi di rappresaglia – sproporzionata) vorrebbe dire abbandonare quello che è stato costruito in anni e anni e trovarci in preda al vento di chi colpisce più forte.

 

 

 * Cluster bomb ovvero bombe a grappolo: ordigni contenenti un certo numero di sub – munizioni: le bomblets che, al funzionamento dell’ordigno principale (cluster), vengono disperse, secondo diversi sistemi, a distanza. (La Convenzione ONU sul divieto dell’utilizzo delle bombe ha grappolo non è stata né firmata né ratificata dalla Russia – e neanche dagli Stati Uniti)

**Fosforo bianco:  a contatto con l’ossigeno presente nell’aria produce anidride fosforica generando calore. L’anidride fosforica reagisce violentemente con composti contenenti acqua e li disidrata producendo acido fosforico. Il calore sviluppato da questa reazione brucia la parte restante del tessuto molle. Il risultato è la distruzione completa del tessuto organico.

Ottobre 8 2015

In Siria non c’è solo l’ISIS.

In Siria la minaccia estremista non arriva solo dall’ISIS. Anche se fa comodo pensarla così, ci sono almeno nove gruppi di estremisti attivi presenti attualmente in Siria.

Tutti fissati con questo bombardare l’ISIS in Siria, tutti convinti di questa grande idea risolutiva. Vi siete mai chiesti se l’ISIS è l’unico gruppo di estremisti in Siria di cui avere paura? Ecco allora un quadro generale dei gruppi di estremisti di matrice islamica o se preferiti di terroristi, presenti in Siria che combattono Bashar al – Assad. Ricordiamo che Assad non si è mai fatto alcuno scrupolo a bombardare il mercato pieno di civili, usare armi chimiche, non lo considerate un santo, lui sulla via di Damasco folgora nel vero senso del termine i suoi cittadini.

estremisti Siria

Ahrar al-Sham: (conosciuta anche come Harakat Ahrar al-Sham al-Islamiyya, oppure Islamic Movement of the Free Men of the Levant) è uno dei più grandi gruppi appartenenti al Fronte Islamico, un’organizzazione di militanti islamici sunniti che combattono contro il regime di Assad. Creata alla fine del 2011,  per prima è emersa come una significativa forza sul terreno siriano nel gennaio del 2012. Molti dei membri fondatori di Ahrar al – Sham, incluso il comandante: Hassan Aboud, erano ex prigionieri politici del regime rilasciati nel maggio del 2011 a seguito dell’amnistia atta a placare le proteste religiose nel periodo in cui la primavera araba iniziava a minacciare i governi regionali. Originariamente il quartier generale era a Idlib,ma nell’estate 2013 conduceva operazioni in tutto il paese. Nel febbraio 2014 il dipartimento Americano di Intelligence ha classificato Ahrar al – Sham come uno dei tre gruppi di ribelli più efficaci in Siria. Così come tutti i più forti gruppi militanti in Siria, Ahrar al – Sham mantiene relazioni con la popolazione fornendo servizi di base nelle città che controlla. Mentre il suo obiettivo sarebbe quello di un governo basato sulla Shariah, è visto come un’alternativa moderata ad al – Nusra e all’ISIS. Riceve finanziamenti dalle reti di islamisti del golfo persico ed è supportata dal Qatar. Lo sceicco Hajjai al – Ajami, un prominente raccoglitore di fondi era nel 2012 uno dei donatori chiave. Gli sforzi umanitari sono stati sponsorizzati della Turkish Humanitarian Relief Foundation and Qatar Charity. E’ la forza di opposizione con miglior equipaggiamento. Mantiene dei contatti con la leadership di Al Qaeda, mentre il gruppo non ha mai ufficializzato una partnership con loro.

Al Qaeda: emersa dal movimento mujahidden che opponeva gli jihadisti contro l’occupazione sovietica dell’Afghanistan nel 1970. Osama Bin Laden arrivò in Afghanistan per unirsi alla guerra nel 1980. Figlio di un uomo d’affari saudita estremamente ricco, diventò un importante membro della jihad fornendo fondi al movimento. Nell’arco dell’occupazione, lavorò con un prominente religioso palestinese Abdullah Azzam per creare un gruppo chiamato Mektab al – Khidmat (Bureau of Services) che incanalava jihadisti in Afghanistan. Nella metà degli anni 80 il leader dell’Haqqani Network (HN), Jalaluddin Haqqani, garantì a bin Laden territori sulla regione montuosa tra l’Afghanistan ed il Pakistan. Bin Laden così stabilisce una presenza nella regione e costruisce campi di addestramento che diventeranno campi di elite per i mujahidden arabi – afghani. L’organizzazione assume il nome di Qa’ida al-‘Askariyya, ovvero “the military base”. In tutto lo sviluppo di Al Qaeda(AQ), HN continua a servire come un facilitatore, fornendogli addestramento, esperienza di combattimenti e risorse, creando luoghi sicuri per i jihadisti e facilita la creazione della rete tra AQ e altri gruppi. La CIA e l’Arabia Saudita incanalavano assistenza finanziaria verso gruppi di mujahidden attraverso l’ Inter-Services Intelligence Directorate (ISI) pakistano per tutta l’occupazione sovietica e sebbene sia i leader di AQ che i membri della CIA negarono che AQ ricevesse finanziamenti americani, alcuni conti ci dicono che più di 600 milioni di dollari in finanziamenti americani sono andati ai mujahidden che hanno lavorato vicino a bin Laden. Sunniti, l’obiettivo di AQ è quello di sradicare l’influenza occidentale nel mondo islamico, distruggere Israele e creare uno Stato Islamico che si dipana dalla Spagna all’Indonesia che impone strette interpretazioni sunnite della legge Shariah. Tuttavia, non tutti i membri di AQ e i suoi affiliati si trovano concordi sulle stesse leggi. Alcuni arguiscono che gli sciiti sono apostati, disaccordo che ha causato parecchie tensioni tra AQ e i suoi affiliati, una per tutte: AQ in Iraq uccide gli sciiti in Iraq in palese contrasto con le istruzioni di bin Laden in proposito. Inizialmente si pensava che bin Laden finanziasse personalmente la maggior parte delle attività di AQ, invece è stato scoperto che le donazioni private finanziano più di 30 milioni di dollari l’anno. Alcune organizzazioni benefiche come Al Wafa sono guidate interamente da membri di AQ e canalizzano direttamente fondi al gruppo terroristico. Il reclutamento avviene per la maggior parte attraverso tribù locali in Pakistan ed Afghanistan: si offrono tra i 1,000 e i 1,500 dollari al mese per nuove reclute più numerosi benefit e vacanze in cambio di lealtà e segretezza. All’inizio del 2014, lo Stato Islamico (IS) ha sfidato AQ per la dominanza del movimento jihadista globale e alcuni gruppi hanno iniziato a giurare alleanza all’IS in molti casi rimpiazzando cosi la loro affiliazione ad AQ. Soprattutto è il caso di Boko Haram che precedentemente affiliato ad AQ, giura alleanza al leader dello Stato Islamico nel marzo di quest’anno. Controversie sulle alleanze ha causato la frantumazione di alcuni gruppi in cui alcuni membri si sono alleati con AQ e altri con Baghdad, leader dell’IS. Nominiamo alcuni affiliati di AQ, per dare un’idea del fenomeno.
Al Qaeda in the Islamic Maghreb (AQIM): gruppo sunnita basato in Algeria che supporta la creazione di uno stato islamico e il rovesciamento del governo algerino.
Al Qaeda in Yemen (AQY) : affiliato di AQ nello Yemen.
Al-Qaeda nella penisola araba (AQAP): organizzazione estremista di sauditi e yemeniti, considerata una delle più grandi minacce terroristiche dagli Stati Uniti, regolarmente attacca gli interessi degli Stati Uniti in contemporanea alla sua guerra contro il governo saudita e alla partecipazione della guerra civile in Yemen.
Al Qaeda in Iraq (AQI): la prima organizzazione affiliata accettata formalmente da AQ e l’unica annunciata personalmente da bin Laden.
Al Qaeda Kurdish Battalions (AQKB): fondata nel 2007 attraverso la fusione di alcune organizzazioni terroristiche curde. Opera lungo il confine tra l’Iran e l’Iraq.

ANSAR AL-SHAM (KATAIB ANSAR AL-SHAM, “SUPPORTERS OF THE LEVANT BRIGADE”): particolarmente attiva nella distribuzione di aiuti umanitari e nel funzionamento delle scuole nelle aree che controlla. Membro fondatore dell’ Fronte Islamico, ma il più piccolo. Salafiti e sunniti, il loro obiettivo è quello di rovesciare il regime di Assad e stabilire uno stato islamico sunnita. Diversamente dagli altri gruppi di opposizione, specialmente quelli del Fronte Islamico, non ci sono chiare rivendicazioni ideologiche attribuibili al gruupo. Molti appartenenti all’organizzazione sono locali. Ci sono evidenze che l’Arabia Saudita li supporti finanziariamente.

Hezbollah: organizzazione militante politica sciita basata in Libano. Secondo il manifesto del 1985 gli obiettivi originari erano: distruggere Israele, espellere l’influenza occidentale dal Libano e più ampiamente dal Medio Oriente e combattere i nemici all’ interno del Libano, particolarmente il Phalanges party. Un nuovo manifesto del 2009 riflette cambiamenti del ruolo dell’organizzazione in Libano dal 1985: più enfasi  all’unità nazionale,denunci del settarismo, continuando a sottolineare l’obiettivo di liberare la Palestina, l’opposizione agli Stati Uniti e l’impegno a combattere l’espansione e l’aggressione di Israele. L’obiettivo di proteggere il regime di Assad, un alleato chiave nella regione, si è unito alla lotta a sostegno del governo in Siria. L’Iran è una risorsa chiave di finanziamento dell’organizzazione il cui ammontare varia dai  60,000 ai 200 milioni di dollari all’anno. Il governo siriano ha giocato un ruolo chiave come strada di rifornimento di armi dall’Iran ad Hezbollah.

Al – Nusra Front: conosciuto come Nusra Front ovvero Jabhat al – Nusra: formato verso la fine del 2011, la prima forza siriana a rivendicare gli attacchi che uccisero i civili. La loro reputazione tra i ribelli siriani è così forte che quando gli Stati Uniti li designarono come organizzazione terroristica nel dicembre 2012, un discreto numero di gruppi anti governativi incluso alcuni del Free Syrian Army protestarono. Nell’estate del 2014, l’ISIS spinge fuori dalle roccaforti di Deir Al – Zor al – Nusra e alcuni suoi alleati, zona di giacimenti di petrolio, importante risorsa e guadagno per al – Nusra. Nel 2012 un gruppo di veterani di AQ conosciuto come “Khorasan Group” arriva nei territori siriani controllati da al – Nusra ed usa questi spazi per sviluppare piani di attacchi internazionali. Nel settembre 2014 il governo statunitense annuncia che in aggiunta agli attacchi aerei contro l’ISIS l’obiettivo sarebbe stato anche la cellula Khorasan, ripensandoci poi nel novembre dello stesso anno, asserendo la possibilità di espandere gli attacchi ad Al – Nusra in generale. Obiettivo dell’organizzazione di estremisti: rovesciare il regime di Assad e rimpiazzarlo con uno stato islamico sunnita. Una grande porzione delle risorse di Al – Nusra arriva da oltremare incluso gli esplosivi e le armi. Secondo solo all’ISIS, Al – Nusra attrae la maggior parte dei foreign fighters tra i ribelli in Siria. Arrivano dal Medio Oriente, ma anche dalla Cecenia e dagli stati Europei, con un piccolo numero da paesi come l’Australia o gli Stati Uniti.

Jaish al-Islam: è il risultato della fusione tra una cinquantina di gruppi di opposizione islamista basati a Damasco, cosa che li ha resi la forza ribelle dominante a Damasco. Finanziati dall’Arabia Saudita che ha iniziato l’unificazione dei gruppi per comporre Jaish al – Islam nel tentativo di opporre l’influenza di AQ e dei suoi affiliati a Damasco.  L’Arabia Saudita ha agito come un avvocato/intermediario dell’organizzazione, chiedendo con grande urgenza agli Stati Uniti di rifornire il gruppo con missili anti carro e anti aereo ed incoraggiando Jaish al – Islam ad accettare l’autorità del Consiglio Supremo militare un affiliato del Free Syrian Army.

Settembre 29 2015

I soldi dell’ISIS

L’ISIS guadagna due milioni di dollari. Conoscere e interrompere la loro rete di finanziamento sembra essere più razionale che tirare bombe in Iraq e Siria.

Il terrorismo (sia internazionale che nazionale) è come ogni altra forma di crimine organizzato, altamente determinato e calcolatore. Molta della forza delle organizzazioni terroristiche risiede nell’ interdipendenza, in particolar modo quella economica, che essi instaurano tra loro stessi e le regioni in cui operano. Diventando parte integrante di una regione i loro crimini  vengono sfruttati in maniera tale da generare profitto.

Il denaro “sporco” è un grande potere. Estorsione, assassini, rapimenti, traffico di esseri umani, contraffazione,  il commercio della droga e di opere d’arte (per dirne alcune) valgono una considerevole quantità di denaro. Questo contraddistingue il terrorismo internazionale come una vera e propria azienda che fa affari e anche con un considerevole successo.

Molti dei nomi di gruppi terroristici che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi anni ha mantenuto un alto livello di gioco di potere proprio attraverso robusti finanziamenti. E’ il supporto finanziario che si procurano attraverso affiliati che contribuisce al fiorire di questo giro di affari.

Partendo dal presupposto che è difficile tracciare somme di denaro che sono intese per non essere rintracciate e che per questa ragione molti dei soldi che appartengono alle organizzazioni terroristiche costituiscono una stima dei loro guadagni , vediamo chi sono i gruppi terroristici più ricchi al momento.

  • Boko Haram: oltre 70 milioni di dollari. Gruppo nigeriano che combatte per rovesciare il governo nigeriano per implementare un regime islamista. Ci ricordiamo forse che hanno sequestrato più di 200 ragazzine in una scuola della Nigeria in difesa di un loro slogan: “l’educazione occidentale è peccato”.
  •  Al-Qaeda: oltre 100 milioni di dollari all’ anno. Più di 30 milioni di dollari li ha avuti attraverso donazioni. Bin Laden era un multimilionario.
  • ISIS: 2 miliardi di dollari.

Per farci un’idea di come l’ISIS possa fatturare una tale somma di denaro vediamo brevemente da dove arrivano questi soldi.

Considerevoli somme provengono dal saccheggio di depositi di armi e di banche. Per mantenere la sua economia “nera”, l’ ISIS opera come una catena base di rifornimento compresa la predisposizione e implementazione di accordi con i proprietari dei camion che trasportano il greggio così come il controllo dei percorsi dei traffici di petrolio. Il greggio, sotto il loro controllo in Iraq e in Libia, è inviato a rudimentali raffinerie sotto controllo ISIS  (cosa che richiede un rifornimento sostenibile) tale per cui poi l’ISIS è in grado di vendere il prodotto raffinato. L’ ISIS fa inoltre affidamento anche su prodotti petroliferi trafficati illegalmente dal sud Turchia in cambio di greggio.

Chiariamo che l’impatto del controllo dell’ISIS sul commercio illecito di petrolio dal Nord Iraq e Est Siria non ha un significativo impatto sulle forniture del mercato globale di petrolio nel breve e medio termine. Questo perché il principale giacimento di petrolio nel nord dell’Iraq, a Kirkuk, che produceva approssimativamente 600,000 barili al giorno prima che fosse spento nel 2014, riacceso a dicembre a seguito di un accordo tra Baghdad e il governo regionale curdo è sotto protezione delle forze curde. Il resto della produzione di petrolio irachena che costituisce circa l’80% della produzione totale, è locata nel sud e continuerà ad essere disponibile  vista la distanza dei territori controllati dall’ISIS.

Ogni impedimento continuativo da parte dell’ISIS di bloccare gli sforzi governativi di raggiungere l’obiettivo di produrre 9 milioni di barili al giorno per il 2020 avrà un impatto deleterio sull’ abilità del mercato internazionale di petrolio  di prevedere e pianificare la disponibilità di rifornimenti di petrolio globali.

Il controllo e la vendita di petrolio rendono all’ISIS qualcosa come 1 milione di dollari al giorno.

I seguaci dell’ISIS sono stati perfettamente in grado di sviluppare una rete interna dedicata al sostegno finanziario e l’auto – sufficienza unitamente all ’indipendenza da potenziali donatori esterni vulnerabili.

Estorsione e tassazione illecita costituiscono una significativa fonte di guadagno. Prima della cattura di Mosul, l’ISIS già guadagnava circa 12 milioni di dollari al mese soltanto nella città. Ciò è stato replicato, in maniera più organizzata, nel territorio controllato dall’ISIS e ufficiosamente anche in aree di parziale influenza. Per fare un esempio: è stato sviluppato un sofisticato sistema di tassazione sulla via principale tra la Giordania e Baghdad che rimpiazza la tassa governativa di importazione facendo pagare tasse ridotte per il trasporto dei beni nella capitale irachena. Il sistema d’affari dell’autotrasporto lungo l’Iraq occidentale è principalmente controllato dai sunniti per cui, imponendo minori tasse, l’ISIS guadagna un entrata regolare e offre ai suoi garanti un’ opportunità di aumentare i loro guadagni. Sistemi  simili ci sono anche nell’est della Siria, con questo doppio focus nel guadagnare denaro e contemporaneamente comprarsi il favore delle tribù su cui l’ISIS fa affidamento per la sua sopravvivenza nella società.

Finora ci si è concentrati sulla circostanza che l’ISIS è particolarmente dipendente dal vendere il petrolio a clienti stranieri (Turchia, Kurdistan iracheno, Giordania per fare alcuni nomi). Invece non esiste un focus di mercato, l’ISIS si è progressivamente concentrato nello stabilire un durevole mercato interno per la produzione di petrolio, assicurandosi un’affidabile fonte di carburante per il suo parco veicoli e creando una fonte di dipendenza tra i civili e la sua capacità di fornire petrolio a prezzi inferiori.

Tutto ciò detto, ribadisco l’inutilità degli attacchi aerei che hanno avuto come obiettivi il petrolio alla sua fonte, piuttosto che i suoi mezzi di trasporto ovvero la vendita. Qualcuno lo compra questo petrolio, qualcuno fa passare i camion su strade e siamo così ingenui da credere che siano invisibili.

Ritengo che sia un punto importante il fatto che centinaia di membri ISIS abbiano un passaporto occidentale. Questo li rende portatori di interessi di servizi finanziari, legali, di sviluppo di proprietà. Controlli e legislazioni più rigide sul riciclaggio di denaro potrebbero sostituire le bombe che cadono inesorabili su territori oramai ridotti a cenere. Verificare che paesi come il Qatar e l’Arabia Saudita implementino seriamente quelle poche norme che hanno varato contro il terrorismo finanziario, sarebbe molto meglio che litigare su chi si unisce alla carovana dei bombaroli.

Settembre 27 2015

Attacchi aerei in Siria: ce ne accorgiamo solo ora?

Dopo 7,002 bombardamenti tra Siria e Iraq, l’opinione pubblica si accorge degli attacchi aerei e nessuno condanna una coalizione di bombaroli inutile e dannosa.

Questa notizia che viene rimbalzata ovunque come lo scoop del secolo, della Francia che ha iniziato attacchi aerei in Siria contro obiettivi riconducibili allo Stato Islamico o ISIS (nell’acrononimo più diffuso) mi fa veramente incazzare. Primo perché non si impara dalla storia, non basta l’emergenza umanitaria in Siria no, si deve ancora bombardare e le bombe non sono intelligenti e se lo fossero certo chi le sgancia non lo è affatto.

Secondo, una coalizione che conduce attacchi aerei (non da ieri) esiste già da un po’ e nessuno ne ha mai parlato.

La coalizione denominata: ” Operation Inherent Resolve” guidata dagli Stati Uniti contro l’ISIS, secondo dati diffusi dal ministero della difesa americano al 22 settembre 2015 ha condotto un totale di 7,002 attacchi aerei, BOMBARDAMENTI così divisi: Iraq = 4, 444; Siria= 2,558. Gli americani da soli hanno compiuto un totale di 5,461 attacchi in entrambi i paesi e specificatamente: 3,304 in Iraq e 2,427 in Siria.

La coalizione invece ne ha condotti: 1,541 di cui 1,410 in Iraq e 131 in Siria.

Sorprendiamoci ora per la composizione della coalizione:

In Iraq:  Australia, Canada, Danimarca, Francia, Giordania, Olanda e Gran Bretagna 

In Siria: Australia, Bahrain, Canada, Giordania, Arabia Saudita, Turchia e Emirati Arabi Uniti

Per chi ha la memoria corta la Francia è stato il primo paese ad unirsi alla coalizione a guida americana conducendo attacchi aerei su obiettivi riconducibili allo Stato Islamico (ISIS) in Iraq. La Francia, inoltre, ha fornito armi a quello che IL GOVERNO FRANCESE considera ribelli moderati che combattono il regime del presidente Assad. 

Il rationale degli americani per gli attacchi aerei in Siria è il seguente: “siccome forniamo supporto e addestramento alle forze siriane è sensato fornire anche una copertura aerea contro ogni attacco”.
Partendo dal presupposto che in Iraq la questione fu diversa perché ci fu il consenso del governo agli attacchi contro obiettivi dell’ ISIS, è veramente dubbia la legalità di questo genere di operazioni in Siria. Gli Stati Uniti tirano la coperta dell’autorizzazione all’uso della forza militare del 2001 che secondo loro li legittima ad attaccare lo Stato Islamico, ma seppure vogliamo tirare questa coperta si scoprono i piedi del diritto internazionale dove non trova giustificazione l’attacco armato in un paese violando peraltro la carta delle Nazioni Unite. Può darsi che a me sia sfuggita la risoluzione del Consiglio di Sicurezza che autorizza l’uso della forza in Siria.

Ridicolo è poi l’attacco dell’ “occidente” alla Russia che in Siria pare abbia mandato i propri soldati in difesa di Assad. Certo è deprecabile la Russia che manda soldati e non chi bombarda. La tragedia di questi attacchi aerei è che non risolvono nulla. La situazione in Siria è questa: http://www.barbarafaccenda.it/siria-il-vostro-tavolo-da-gioco/ e l’idea che il nemico sia sempre e solo l’ISIS è  confezionata unicamente per mettere a tacere le proprie opinioni pubbliche. In nemico giurato ora sono loro, cosa importano i danni collaterali, cosa importa non trovare una soluzione, l’importante è annientarli. Radiamo al suolo tutto e diamo l’impressione ai nostri cittadini che noi stiamo facendo qualcosa di buono. Questo è in soldoni quello che pensa la Francia e tutti quelli che hanno aderito a questa folle coalizione. Bombardare la Libia con la scusa della responsabilità di proteggere fu un disastro e il risultato ce lo abbiamo sotto gli occhi, ma questo non basta perché fare una conferenza stampa e dire: abbiamo bombardato lo Stato Islamico rende potenti e tutti felici e contenti.

“Ottenere cento vittorie su cento battaglie non è il massimo dell’abilità: vincere il nemico senza bisogno di combattere, quello è il trionfo massimo”. Sun Tzu “l’arte della guerra”.

Settembre 4 2015

La crisi dei migranti in Europa: non esiste

L’afflusso dei migranti in Europa nel 2015 è dello 0.068% della popolazione europea. Esiste la crisi politica dell’Unione Europea dovuta all’incapacità di gestione dell’afflusso dei migranti da parte dei politicanti nostrani ed europei.

La retorica apocalittica, la foto di corpi alla deriva, di bimbi morti, ha preso la mano a molti, soprattutto ai populisti, ai giornalisti in cerca di un momento di gloria. Ignoranti, nel senso che ignorano se veramente esiste una crisi di migranti. Dopo aver pubblicato su facebook, su twitter, la foto del piccolo Aylan Kurdi e commentato con frasi strappa lacrime, vi siete chiesti se questa crisi esiste davvero?  Esiste solo una crisi politica e basta!

I numeri ci suggeriscono che molti dei migranti in Europa provengono da Afghanistan, Iraq, Siria, Somalia ed Eritrea. Un flusso che è più simile ad una goccia nella terra  che dovrebbe assorbirla. La popolazione europea è di circa 500 milioni, l’ultima stima del numero di coloro che entrano attraverso mezzi illegali in Europa (quest’anno), via Mediterraneo o Balcani, è approssimativamente di 340.000. In altre parole l’afflusso di quest’anno è solo dello 0.068 % della popolazione europea. Facciamo un parallelo: gli Stati Uniti. Popolazione di 320 milioni, ha qualcosa come 11 milioni di immigrati senza documenti, circa il 3,5 % della popolazione. Per contro, l’Unione Europea (UE) ha tra 1.9 e 3.8 milioni si immigrati senza documenti  (dati 2008  gli ultimi disponibili, secondo uno studio sponsorizzato dalla Commissione Europea), meno dell’1% della sua popolazione.

Quindi perché questo panico in Europa? Molti paesi europei affrontano un profondo problema di calo delle nascite, con pochi giovani lavoratori a cui è chiesto di supportare troppi pensionati. Un afflusso di persone con una provata perseveranza sembrano fornire un’ iniezione di energia di cui l’Europea sinceramente ne ha bisogno. Ci sono diversi argomenti che fomentano il populismo della crisi dei migranti in Europa. Parlano (impropriamente) di “terrorismo”.  I gruppi estremisti ci hanno ampiamente dimostrato che sono capaci da soli e anche parecchio bene, di inviare i loro affiliati/seguaci in Europa o addirittura di reclutarli direttamente in Europa attraverso mezzi molto più convenzionali. Come nessun rifugiato sarebbe così coraggioso da attraversare il mediterraneo o negoziare una via di terra attraverso i Balcani se ci fosse stata un’alternativa disponibile, queste rotte sono del tutto improbabili come miglior passaggio per gruppi che godono di ingenti finanziamenti.

Cultura. Molti europei hanno paura che l’afflusso di stranieri mini la loro “confortevole cultura”. Ricerche ci suggeriscono che questo è il maggior argomento di cui si servono i partiti populisti in molti paesi Europei. In Francia hanno Marine Le Pen, in Olanda Geert Wilders, noi Matteo Salvini, la Repubblica Ceca Milos Zeman, il partito UKIP in Gran Bretagna. Paura che viene accentuata dalla grande “Europa Cristiana” contrapposta alla religione musulmana: Polonia, Bulgaria e Slovacchia hanno espresso una forte preferenza per soli rifugiati cristiani.

È una sfida politica, che richiede una leadership politica, non è una questione della capacità di assorbire i recenti immigrati. Dovrebbero ricordarsi quando altri hanno risposto generosamente durante la Seconda Guerra Mondiale, quando molti europei vittime di persecuzione sono diventati rifugiati. L’UE ha fallito nella responsabilità di gestione delle crisi e il suo Common Security and Defence Policy è solo un enorme distributore di fumo dietro il quale soldi e consulenze sostituiscono un pronto, deciso e robusto intervento nelle aree di crisi. Si sono seduti nelle loro confortevoli sedie e hanno aspettato che qualcun’altro facesse qualcosa. Gli stati membri dell’UE pagano i 2/5 del budget delle missioni di peacekeeping; la European Commision African Peace Facility è stata una fonte cruciale per il finanziamento delle missioni dell’Unione Africana negli ultimi 10 anni, fornendo circa 1 miliardo di euro principalmente per Darfur e Somalia. Pianificano sì, quanto so bravi a fare i Joint Plan UE/ONU e poi in pratica? In Libia aspettiamo che Leon (rappresentante ONU) porti a termine dei negoziati a cui una volta sì e una no una delle due parti non partecipa. In Siria, figuriamoci, l’Africa ce la siamo dimenticata, il Mali boh e poi ci chiediamo: “ma perché arrivano?”

Si sente poi parlare di frontiera al flusso migratorio...no, mi dispiace il Mediterraneo o i Balcani non sono la frontiera. Visto che ho iniziato con i numeri che contano più del populismo: secondo le Nazioni Unite, alla fine di maggio c’erano circa 4 milioni di rifugiati siriani (la popolazione, pre – guerra di Damasco era di 1,7 milioni). Molti sono ospitati dai paesi vicini e l’impatto è qualcosa di sconvolgente. In Libano la popolazione prima della crisi siriana era di 4.4 milioni adesso ospita 1.1 milioni di siriani. Persino il paese più ricco del mondo avrebbe difficoltà ad assorbire e gestire questo tipo di afflusso. La Turchia ne ospita 1.7 milioni e la Giordania 628.000. Ricordiamo che la terra del Medio Oriente è arida e spesso inabitabile con una cronica mancanza di sviluppo di infrastrutture per cui molte delle popolazioni dei paesi arabi tendono a concentrarsi in aree urbane e dipendono da beni di prima necessità importati. La Giordania importa l’87% del suo cibo e all’improvviso ha centinaia di migliaia di bocche da sfamare. L’ esodo siriano è arrivato dopo la crisi dei rifugiati iracheni. Nell’aprile 2007 UNHCR ha riportato che c’erano più di 4 milioni di iracheni in giro per il mondo di cui 2 milioni nel Medio Oriente. La Giordania ne ha ospitato 750.000. La Siria ne ospitava 1.1 milioni, cifra che è scesa nel 2013 a 146.000. L’anno scorso il consiglio dei ministri turco ha approvato il rilascio ai rifugiati siriani di carte d’identità che gli consentono l’accesso al sistema sanitario e ai servizi di educazione, offrendo una speranza per un permesso di lavoro condizionale. Ma questo è un’ eccezione nella Regione perchè la Turchia vuole entrare nell’UE anche se poi ultimamente li ha colpiti con i cannoni ad acqua. Gli altri stati li tollerano: sono l’intera frontiera della crisi siriana per la loro collocazione geografica e non fanno molto altro.  L’ UNHCR ci dice che i donatori governativi internazionali hanno contribuito solo per il 20% sulla cifra di 4.5 miliardi di dollari di cui hanno bisogno i rifugiati siriani in questi paesi.

Quindi cosa abbiamo? Una crisi di retorica, di populismo, di ignoranza. L’Unione Europea con i suoi valori predicati ai quattro venti con un carrozzone per miliardi di milioni di euro che non è capace di gestire l’afflusso di migranti e inetta nel rivedere la sua politica di sicurezza e di difesa. Inappropriata nel gestire le crisi ai suoi confini, quelle vere, di conflitti che non risparmiano nessuno e le cui foto non commuovono nessuno. Poi ci sono gli Stati del Golfo che tollerano milioni di persone senza fornire servizi e neanche speranza. Ma perchè credete che queste persone fuggano da paesi molto più vicini e attraversino l’inferno per venire in Europa? L’Europa dei diritti, della Commissione Europea dei diritti umani, l’Europa della pubblicità: non esiste. Quello che esiste è un nuvolo di politicanti e di funzionari ignoranti, questa è la vera tragedia.

Agosto 27 2015

Siria: il vostro tavolo da gioco

La Siria è diventata un tavolo da gioco dove il rumore delle armi e il potere dei soldi dell’Iran, Russia, Arabia Saudita, Giordania, Turchia, Israele hanno soffocato, nel silenzio complice della comunità internazionale, il sangue di 4 anni di guerra civile.

Pensate ad tavolo rotondo marrone di quelli antichi, massicci, con sopra la mappa della Siria, plastificata lucida, i nomi delle città, le strade i confini. Intorno al tavolo sedie grandi rivestite di quel tessuto stampato in velluto con i fiori bordeaux, poggiate su enorme tappeto persiano, bello grande. Sul tavolo giusto perpendicolare un lampadario di quelli antichi con tante lampadine. Seduti su quelle sedie se ne stanno quelli che per denaro, per potere, spudoratamente continuano a giocare in un paese oramai dimenticato da tutti. Vediamo chi gioca e come.

Iran: i primi di agosto il ministro iraniano degli affari esteri, Zarif, visita Damasco, dove incontra anche il leader di Hezbollah, Nasrallah, poi si dirige in Pakistan ad Islamabad. Il suo ruolo principale: chiarire le implicazioni dell’accordo di Vienna sul nucleare (ricordo che quell’accordo è poi stato ripreso in toto e annesso alla risoluzione n. 2231 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, quindi vincolante per tutti e dico: tutti). Il commercio delle armi dell’Iran è molto importante per la Siria di Assad. La priorità di Khameini è quella di migliorare la propria difesa, negli ultimi anni si è visto come la sua stessa sicurezza sia inestricabilmente legata ad una rete di alleati regionali e di proxies che ha coltivato in Iraq, in Libano, e nella stessa Siria. Questo include Assad e una serie di milizie pro – governative, giusto per fare qualche nome, e lo farò in inglese perché mettersi a tradurre i nomi mi pare decisamente fuori luogo: National Defence Forces (la più grande rete di milizia), the Jerusalem Brigade, the Syrian Resistance, Syrian Social Nationalist Party, Popular Front for the Liberation of Palestine – General Command, Desert Falcons. Con tutti i miliardi spesi per il supporto ad Assad è assai improbabile che Teheran si faccia da parte. Aprile 2015, il presidente russo Putin, evidenziando i progressi nelle negoziazioni per l ‘accordo con l’Iran sul nucleare, dichiara d’avere una buona ragione per togliere il divieto di vendita degli S – 300 all’Iran, un potente sistema di difesa aerea, visto come un utilissimo mezzo per compensare la superiorità aerea degli americani e degli israeliani. Qualche giorno fa il presidente iraniano Rouhani ha rivelato che il paese ha prodotto il suo ultimo modello di SSM: il Fateh (vincitore) 313, missile balistico con un raggio di 500 km. Per Assad l’accordo di Vienna con tutta probabilità assicurerà la crescita di influenza politica e finanziaria del suo più affidabile alleato. Tanto per essere chiari: l’Iran con i suoi contatti politici, organizzazione e finanziamento sostiene il traffico di autocisterne che tengono a galla l’economia, le infrastrutture di Assad . Il sostegno finanziario dell’Iran, le spedizioni, hanno permesso l’acquisto di petrolio e di altri beni d’importazione essenziali. Tanto per capirci: all’inizio del 2013 la banca centrale siriana ha raggiunto un accordo con l’Iran di 3 miliardi di dollari di credito per coprire i rifornimenti di petrolio, parte di una più ampia linea di credito per un valore di circa 7 miliardi di dollari. Un totale di 17 milioni di barili di crudo sono stati spediti alla raffineria di Baniyas tra il febbraio e l’ottobre del 2013, finanziate da lettere di credito iraniane e trasportate da autocisterne dall’Iran e Iraq via l’oleodotto Sumed che attraversa l’Egitto. Il 19 maggio di quest’anno l’Iran e la Siria hanno firmato un accordo per una linea di credito di un miliardo di dollari che è per Assad una gran bella mano. E’ vero che tutte le sanzioni multilaterali e unilaterali secondo l’accordo di Vienna e la risoluzione verranno revocate non prima di 8 anni, immagino che però molti partner e molti ex partner commerciali dell’Iran, tra cui alcuni paesi membri dell’Unione Europea, possano chiudere un occhio sulla politica regionale iraniana se questo è il prezzo per prendere un pezzo della torta. Morale della storia: più soldi all’Iran, più soldi ad Assad.

Russia:  come abbiamo visto vende gli S- 300 all’Iran e si garantisce un bel controllo dell’area, ma contemporaneamente previene un intervento armato americano, perché diciamocelo la Russia è sempre rimasta fissata con l’idea della guerra fredda. Importantissimo, la Siria è sempre stata un cliente fisso dell’industria di difesa russa, tra l’altro molti ufficiali siriani sono stati addestrati in Russia, sposati a donne russe. Putin ha bisogno di quei soldi, ricordiamoci che le sanzioni per la storia dell’Ucraina hanno un costo per l’ economia russa e i soldi servono. La Siria è centrale per le aspirazioni geopolitiche russe, continuano a tenere una struttura di riparazione e rifornimento per la marina russa al porto di Tartus, dove peraltro avevano investito molto denaro per la ristrutturazione poco prima che iniziasse la guerra civile nel 2011. Le aspirazioni russe nel rivestire un ruolo importante nel Mediterraneo dell’est e nel medio oriente sono vive e vegete. Così si è offerta recentemente di ospitare colloqui di pace a Mosca ricevendo Khaled Khoja, il presidente del National Coalition for Syrian Revolution e le forze opponenti.

Arabia Saudita: l’attività diplomatica continua ad avere un profilo molto alto, il ministro degli esteri e della difesa da giugno si focalizzano sul trovare una posizione comune con la Russia. La sicurezza è cruciale e la Siria è terreno fertile di estremisti islamisti non graditi alla monarchia.

Giordania: la sicurezza delle sue frontiere è la sua preoccupazione maggiore. Rinforza la sorveglianza delle frontiere e si allea con gli Stati Uniti nella coalizione anti Stato Islamico.

Turchia: l’assillo di Erdogan, a parte le sue personali aspirazioni di leader regionale, è quello di prevenire la formazione di un Kurdistan nel nord della Siria e con la scusa di fermare lo Stato Islamico, una bomba a loro ed una ai curdi. Una cosa diversa però Ankara l’ha fatta: diminuire le relazioni con Israele. Sì perché Israele ultimamente ha avuto non pochi problemi con l’accordo sul nucleare. Continuano le relazioni commerciali certo, ma la diplomazia sembra essersi imbalsamata.

Israele: non gli è andato giù per niente l’accordo di Vienna, definendolo un errore storico, ripete che il più grande pericolo per Israele é l’arco strategico che si estende tra Teheran, Damasco e Beirut. Raid israeliani  bombardano un’importante via di rifornimento usata da Hezbollah  nelle montagne di Qalamon (area che include una serie di strade che Hezbollah usa per trasferire esseri umani e supporto logistico dentro e fuori dal territorio siriano). Ha bombardato poi 14 postazioni del regime siriano nella parte siriana delle alture del Golan tutto in risposta ad un bombardamento del regime in un villaggio del nord di Israele.

NATO:  con un annuncio a sorpresa del 16 agosto  in cui si dichiara che il dispiegamento dei Patriot finirà a gennaio 2016, si evidenzia un crescente vuoto, oserei dire, tra gli Stati Uniti e i suoi alleati che non è compensato dal recente accordo che consente che aerei americani possano decollare per missioni di combattimento dalla base di Incirlik in Turchia.

Sul tavolo di questo gioco c’è lo Stato Islamico e una serie di gruppi estremisti, piccoli e grandi che si muovono in questo vuoto di potere. Non fanno più notizia i bombardamenti al mercato di Douma di Assad, le foto dei bambini morti. Da poco qualcuno si è accorto che ci sono i profughi siriani e li accolgono perchè sono in fondo dei filantropi. La disgrazia di questo paese è essere un tavolo da gioco, un punto geopoliticamente importante dove il rumore delle armi e quello silenzioso, ma potente dei soldi, coprono il sangue, la miseria, la distruzione. E così Signori, fate il vostro gioco, rien ne va plus.

Novembre 26 2014

Della Siria non ci importa più

Non si parla più della Siria. Quei giorni in cui tutti erano concentrati sulle armi chimiche di Assad sono ormai un lontano ricordo, per non parlare delle migliaia di sfollati, di morti. Tutto dimenticato.

Invece la Siria oggi rappresenta uno dei più complicati scenari di guerra civile, con un coinvolgimento di diversi attori negativi che non si era mai visto prima.

Chi gioca in questo conflitto: Assad, il dittatore sanguinario e senza regole che non mostra alcun tipo di riluttanza nell’uccidere chiunque, persino i suoi stessi cittadini se ciò è necessario perché lui resti al potere. Scriviamolo il numero dei morti: CENTOMILA  vittime civili secondo le Nazioni Unite. Altri DUE MILIONI sono rifugiati negli stati confinanti e circa 4 MILIONI E MEZZO sono i cosiddetti internally displaced, cioè coloro che si spostano all’interno dei confini siriani alla ricerca di un posto sicuro. Per fare una percentuale questi numeri corrispondono a circa il 35% della popolazione siriana.

La Russia si rifiuta di fermare il rifornimento di armi ad Assad e continua ad usare il suo potere di veto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Putin promette a Damasco un sistema avanzato di difesa missilistica (s-300 per coloro che sono appassionati di armamenti) e sostiene che però è il momento di un accordo di pace con la Siria. Il governo saudita e il governo del Qatar finanziano ribelli con armamenti. Solo che Assad oltre che dai russi riceve finanziamenti anche dall’Iran che fornisce anche un training on the job ai militari. Il governo dell’Iraq che ha già i suoi problemi con il Califfato dello Stato Islamico si rifiuta di intercettare i voli iraniani che vanno in Siria. 

Jabhat al – Nusra il più grande gruppo armato in Siria è stato capace in pochissimo tempo di accedere ad una rete di finanziatori, principalmente negli emirati del Golfo e provveduto a garantire i servizi essenziali di base nelle aree devastate dagli attacchi del regime. E’ molto attivo alla frontiera con il Libano. Parallelamente cerca di sviluppare una roccaforte nel paese dei cedri, dove riscontra del terreno fertile tra alcuni settori della popolazione, specialmente nel nord e nel nord – est. Al – Nusra finora si è guadagnata le simpatie tra la popolazione locale in risposta agli attacchi degli Stati Uniti, i loro famigerati attacchi aerei chirurgici o attacchi mirati o come volete chiamarli sempre attacchi sono. Si è creata sul campo una rete, consolidata territorialmente e amministrativamente, che da sempre di più l’idea di un emirato. La pressione che il cosiddetto Stato Islamico sta esercitando sulla Siria potrebbe forzare Al- Nusra a scegliere se dare vita ad un emirato o accettare uno stato di partneriato con lo Stato Islamico, se non nell’ estrema ratio di confrontarsi apertamente con loro.

Non sono serviti né cessate il fuoco né attacchi mirati per mettere fine alla guerra civile siriana. Quello che potrebbe verosimilmente accadere è che il crescente ricorso degli Stati Uniti agli attacchi aerei porti ad una escalation nel confronto tra Al – Nusra e lo Stato Islamico. Anche se si sono rincorse le notizie di una probabile morte del leader dello Stato Islamico al – Baghdadi, la sua morte non è necessariamente la fine dell’intera organizzazione. Difficilmente gli americani imparano dalla storia, l’aver ucciso Bin Laden non ha decretato la morte di Al – Qaida, certo avrà avuto conseguenze sul morale di qualche componente dell’organizzazione, ma è rimasta in piedi. Il fatto di uccidere il capo forse da un punto di vista puramente militare ha senso, nell’ottica di decapitare l’organizzazione del vertice e quindi destabilizzare le truppe. Ma le organizzazioni estremiste, di base religiosa e soprattutto transnazionali difficilmente si sgretolano. Prima di tutto perché non sono puramente militari, ma nascono per motivi ideologico – religiosi e poi perché esse prevedono già nella propria struttura un secondo leader. Il carisma del leader porta avanti una missione, che per quanto possa essere crudele o cinica, viene seguita da persone non importa poi chi la conduce, proprio perché è strettamente interrelata a sentimenti religiosi. In un altro post parlerò delle ragioni fondamentali per cui una persona decide di diventare membro dello Stato Islamico.

La rimozione di Assad, potrebbe sembrare la giusta soluzione, un po come hanno pensato per Saddam Hussein o per Mubarak o per Gheddafi. Ebbene proviamo a vedere i risultati, si è creato un vacuum di potere talmente ampio che ha dato vita ad incontrollate frange che mosse da etnia, piuttosto che appartenenza religiosa non trovano un equilibrio. Il dittatore, per quanto possa sembrare cinico, riesce a mettere insieme più elementi della società che altrimenti non avrebbero modo di starci. Prendiamolo come il compositore di un puzzle. Non lo fa perché è un filantropo, ma perché ritiene nelle sue mani un enorme potere che da e toglie in maniera tale da tenere un equilibrio. In alcuni Stati è funzionato così per anni e poi arriva l’Occidente con il suo manto da supereroe ad esportare una democrazia che non garantisce nei propri confini. Dimenticando cosa sono le etnie, cosa sono le confessioni religiose e pensando che il caos che viene generato sia risolto da qualcun altro. In Siria non si interviene perché non c’è nessun interesse occidentale da difendere, semplice e lineare. L’unico interesse lo ha la Russia con il porto di Tartus. Dal 1971 affittato dalla Russia come parte di un multi – milionario debito siriano. Il porto essenzialmente serve per la manutenzione e il rifornimento della flotta russa. Queste navi da guerra non vengono anche dal Baltico o dai mari del nord ed hanno multiple missioni e eseguono compiti nel mediterraneo e operazioni di anti pirateria nel mar rosso nel golfo di aden in somalia. La Russia quindi ha un interesse nazionale nel mantenere il porto malgrado gli scenari che si potranno aprire con la guerra civile. Inoltre il porto di Tartus permette alla compagnia di esportazione di armi, Rosoboronexport, di fornire armi e rifornimenti direttamente al regime di Assad. Sicuramente Putin non ha nessun interesse a far cadere il regime mettere a rischio il porto. 

Gli attacchi aerei americani continuano il numero delle vittime civili continua e della Siria non importa più a nessuno.