Giugno 24 2016

Brexit: riflessioni in treno

Brexit

È  stata una giornata lunga e a dire il vero sono ancora in viaggio con un ricco 120 minuti di ritardo. Una chiacchierata con il taxista che mi portava dal dipartimento di giurisprudenza della Luiss alla stazione termini mi ha dato l’idea di scrivere qualche riga e condividere con voi il mio pensiero a proposito del referendum in Gran Bretagna.

Brexit = referendum consultivo

Nessuno si è accorto che era un referendum consultivo per cui la decisione finale dovrà essere presa dal parlamento inglese.

Confesso che non sono esperta di politica economica per cui non farò come quelli che copiano da alcuni giornali proiezioni finanziarie.

Mi limito invece al mio campo. Un referendum su una materia così complessa andava evitato. Non perché il popolo non abbia il diritto ad essere consultato ma perché la materia richiede conoscenze specifiche in tanti ambiti che difficilmente si trovano nella mente della generalità delle persone. Il guaio è che quando i giochetti politici vengono portati fuori dai palazzi e scaricati sulle spalle del popolo non si fa un servizio alla democrazia ma al populismo.

Ho fatto questo esempio al taxista: se la sua autovettura non funziona lei la fa riparare difficilmente dice alla sua famiglia decidete voi se tenerla rotta o buttarla. Potrebbe prima provare a ripararla, no?

Così per l’Unione Europea. Non funziona e allora modifichiamo alla luce dei principi di trasparenza quello che non va.

Come ho detto gettare sulle spalle di un popolo questo tipo di referendum è un’azione scellerata di coloro che hanno ben altre ambizioni.

 

Categoria: Europa | LASCIA UN COMMENTO
Gennaio 14 2016

UE apre indagine su Varsavia: porterà alle sanzioni?

UE

Chiudere il cancello quando i buoi sono scappati non è mai una saggia idea. Così si comporta l’Unione Europea che non ha sanzionato l’Ungheria per la sua politica decisamente contraria ai principi europei ed ora indaga sulla Polonia, quando il governo polacco ha già varato leggi che imbavagliano la Corte Costituzionale e i media.

Nel precendente  post abbiamo guardato più da vicino la situazione della Polonia, delle leggi che imbavagliano i media e che riducono sensibilmente i poteri della Corte Europea. Oggi ragioniamo sulle recentissime mosse della Commissione Europea che proprio ieri ha lanciato un’indagine senza precedenti per verificare il comportamento di Varsavia proprio in relazione ai valori cardine dell’Unione Europea (UE). Konrad Szymański, il ministro polacco per gli affari europei, ha commentato che la Commissione Europea rischia di immischiarsi nel dibattito politico interno del suo paese. Nella dichiarazione ai giornalisti, dopo un incontro con membri del parlamento europeo a Bruxelles, il ministro polacco si è mostrato contento di fornire ogni spiegazione utile a capire la situazione in Polonia.

A Bruxelless iniziano a suonare le campanelle di allarme

Il diritto europeo non fornisce nessuna via per cacciare un membro che offende i valori dell’Unione Europea (UE), può però metterlo in “quarantena”. Quando un paese persiste nel violare i valori basilari dell’UE, del rispetto della democrazia, le regole di legge o i diritti umani, la più severa sanzione è quella di sospendere lo stato dal voto nelle istituzioni europee attraverso l’invocazione dell’art. 7 del Trattato dell’Unione Europea (TUE).

Dopo la mossa dell’Ungheria nel disabilitare il sistema di checks and balance del suo sistema costituzionale, la Polonia è il secondo stato a generare una minaccia tale da innescare l’art. 7 del TUE. Proprio perché la Polonia segue l’Ungheria, le più aspre sanzioni disponibili con l’art. 7 sono diventate quasi impossibili da utilizzare. Orban, il primo ministro ungherese, ha annunciato che l’Ungheria bloccherà l’invocazione dell’art. 7 contro la Polonia. E lo può fare. Le sanzioni richiedono la votazione all’unanimità del Consiglio Europeo, meno lo stato in questione, quindi l’Ungheria ha il veto.

Cosa prevede l’art. 7 del Trattato Unione Europea (versione consolidata)

L’art.7 include due parti separate: un sistema di “avvertimento” nel paragrafo 1 e un meccanismo di sanzioni ai paragrafi 2 e 3. L’unica strada che le istituzioni europee hanno a disposizione per mantenere sul tavolo le sanzioni secondo l’art,7, 2 è  di agire contro la Polonia e l’Ungheria allo stesso tempo invocando prima l’art. 7,1.

Quello che è oggi l’art. 7, fu inserito nel diritto europeo in due fasi. Il meccanismo di sanzione che è oggi l’art.7, 2 fu introdotto nel trattato di Amsterdam nel 1999 quando i paesi europei post – comunisti aspettavano nell’anticamera dell’UE, per la preoccupazione dei paesi già membri dell’Unione Europea di possibili comportamenti immorali e “anti – democratici” di questi nuovi stati.

La prima volta che la questione delle sanzioni collettive si presenta è nei riguardi dell’ Austria, quando Jörg Haider ed il suo partito furono inclusi nella coalizione di governo dopo le elezioni del 2000. Anche se le sanzioni erano disponibili, la sospensione di larga scala dei diritti del paese nell’UE fu considerata troppo dura, così gli altri membri dell’UE fecero ricorso ad un set coordinato di sanzioni bilaterali contro il governo austriaco.
Il caso austriaco dimostrava la necessità che ci fosse una mossa di avvertimento prima di invocare sanzioni su vasta scala, quindi il diritto europeo venne modificato da quello che è oggi l’art. 7,1.

UE
L’Unione Europea può rivolgere allo stato in questione raccomandazioni, fornendo quindi un’opportunità di rettificare la sua condotta.

Dato il via all’art. 7,1 per l’Ungheria resta poi un nulla di fatto

Il caso ungherese già ha evidenziato come l’utilizzo di qualsiasi parte dell’art. 7 sia difficile. Il parlamento europeo da inizio all’applicazione dell’art 7,1 con il rapporto Taveres nel luglio del 2013 quando avverte del rischio di serie violazioni dei valori europei da parte dell’Ungheria. Chiama la Commissione Europea a monitorare l’Ungheria e vede lo sviluppo della trilogia: Consiglio, Commissione e Parlamento impegnarsi in uno sforzo costruttivo per riportare l’Ungheria in linea.
La Commissione Europea annuncia un meccanismo di regola di legge nella primavera del 2014, creando un processo di dialogo multi livello con quel membro i cui comportamenti non sono in linea con le regole di legge europee, processo che deve quindi avere luogo prima dell’invocazione dell’art. 7.
Il servizio legale del Consiglio Europeo prontamente annuncia il modesto sforzo al di là dello scopo dei poteri della Commissione ed il Consiglio annuncia la creazione di un meccanismo ancora più inefficace nel tardo 2014, che prevede una revisione paritaria che sfocia più nell’autocelebrazione che nello stabilire oggettivamente se si siano infrante delle regole o dei valori.
In assenza di un serio rimprovero nei confronti dell’Ungheria da parte delle altre istituzioni europee malgrado i richiami espliciti all’azione, il parlamento europeo sta considerando il suo meccanismo di regola di legge come qualcosa che deve essere cambiato.
L’Ungheria è andata per la sua strada senza sanzioni. La drammatica mancanza di azione ha dato vita a European Citizen Initiative consesso che raccoglie firme per forzare la Commissione europea a mettere l’Ungheria sotto esame.

L’UE implementerà sanzioni per la Polonia o non saranno neanche utili come minaccia?

L’art. 7 è sul tavolo come possibile opzione per Bruxelles, ma è già troppo tardi affinché le sanzioni siano una reale minaccia. Lasciando che l’Ungheria scivolasse verso le strade non battute della politica interna senza controlli e bilanciamenti, i membri dell’UE hanno dissipato la loro abilità di agire collettivamente per sanzionare la Polonia.

Se verranno proposte sanzioni contro la Polonia, l’Ungheria apporrà il veto e vice versa. Tuttavia, c’è un modo per far sì che le sanzioni dell’art. 7 possano essere adottate. L’art 7,1, la fase di avvertimento,  può essere innescata da 4/5 della maggioranza del Consiglio (insieme con 2/3 della maggioranza del Parlamento), ciò vuol dire che né l’Ungheria né la Polonia possono apporre il veto sull’uso dell’art.7,1 l’una a favore dell’altra.

Vista la condotta del governo ungherese negli ultimi 5 anni ci sembra che si sia fatto trascorrere inutilmente un lungo periodo per poter sollevare l’art.7,1 nei confronti dell’Ungheria.
Se le istituzioni europee volessero muoversi decisamente verso le sanzioni, rimuovendo sia il voto dello stato dal processo di formazione delle leggi europee, dovrebbero argomentare che nessuno stato già sotto la tutela dell’art. 7, 1 dovrebbe essere in grado di votare le sanzioni del paragrafo 2. Questo rimuoverebbe efficacemente ed effettivamente la possibilità di veto che l’Ungheria minaccia di utilizzare e la stessa possibilità che probabilmente invocherebbe la Polonia per difendere l’Ungheria.

Tuttavia ci sembra di vedere un errore di fondo: l’Unione Europea non può iniziare a disciplinare solo il caso polacco, senza indirizzarsi anche all’Ungheria. Proprio perché é in ragione del comportamento ungherese rimasto impunito che si sono rese possibili le azioni polacche, il meccanismo di sanzioni europee per un paese e non per un altro non può funzionare.

Gennaio 9 2016

Finché la Polonia va l’Unione Europea la lascia andare

Polonia

La Polonia tra bavaglio ai media e pugno duro con la Corte Costituzionale preoccupa Bruxelles e gli Stati Uniti.

Un altro paese conservatore dell’Unione Europea, che parla alla gente di come la debolezza dei funzionari europei minacci i loro interessi.

Nel pensare l’argomento di questo post, mi sono soffermata un attimo a riflettere ad una domanda che mi è stata rivolta qualche settimana fa. “Perché in Italia non si parla di politica internazionale?”. Desidero allora cogliere l’occasione di rispondere e precisare perché il mio blog tratta di alcuni argomenti “impopolari”.

La politica internazionale in Italia si risolve quasi sempre attorno agli argomenti generalisti, quelli per cui i giornali riescono a vendere più copie. Quelli per cui molti politici ci fanno campagna elettorale. Molti paesi escono completamente dall’occhio delle relazioni internazionali italiane, un po’ per la superficialità del governo e del suo ministro degli esteri, ma molto perché appunto non fanno audience. La politica internazionale non deve fare gossip; le relazioni internazionali, l’equilibrio del potere tra gli Stati, il fatto che apparati sovraordinati agli stati come l’Unione Europea  barcollino è un discorso complesso che deve necessariamente abbracciare la singola politica di tutti gli stati presenti nel mondo.

Per questo motivo oggi parliamo della Polonia, perché la debolezza dell’Unione Europea è anche nella spinta centrifuga dei suoi stati membri. La Polonia, come la vicina Ungheria, si sposta verso una linea conservatrice concentrata sul mantenimento e rafforzamento del potere locale, a discapito dell’equilibrio complessivo dell’Unione.

Il nuovo governo polacco, peraltro, preoccupa anche gli Stati Uniti. Le relazioni internazionali, per l’appunto, sono collegamenti anche apparentemente invisibili da un capo all’altro del mondo.

Polonia come Ungheria?

Il governo polacco, eletto recentemente, guidato dal partito Diritto e Giustizia, conosciuto in polacco come il PiS, si dipinge come un coraggioso condottiero contro una elite discreditata che agiva contro gli interessi dei polacchi.
Il precedente partito di governo di centro – destra, guidato da “piattaforma civile” nel chiaro tentativo di mantenere l’influenza sulla Corte Costituzionale nomina cinque membri, aprendo una crisi istituzionale che si acuisce con la vittoria schiacciante del PiS nelle elezioni di ottobre 2015, portando al potere il primo governo di maggioranza in Polonia dalla caduta del comunismo. La vittoria parlamentare segue la vittoria a sorpresa del candidato del partito, il giovane avvocato di Cracovia, Andrzej Duda, alla presidenza. La presidenza polacca è un titolo più “cerimoniale” che altro, ma il presidente è in grado di porre il veto sulle leggi e proporne di nuove.
Un mese fa la Corte Costituzionale polacca stabilisce che tre dei cinque giudici nominati da “piattaforma civile” erano costituzionali, ma Duda si rifiuta di farli giurare; ne nomina cinque nuovi, facendone giurare quattro durante una cerimonia notte tempo al palazzo presidenziale. Mossa questa di dubbia costituzionalità. La corte rifiuta i nuovi membri di Duda, ma il governo si spinge oltre. Una sessione infuocata del parlamento proprio a dicembre 2015, decide che tutte le decisioni della corte devono essere prese a maggioranza dei 2/3. Questa è la strategia per far accettare alla Corte le nomine del PiS e rallentare il processo di controllo della legislazione parlamentare da parte della Corte e, non da ultimo, diminuire i suoi poteri di bloccare nuove leggi.
Il 30 dicembre 2015, il parlamento in tutta fretta approva una nuova legislazione che concentra nel governo il controllo dei media dello Stato. I funzionari dell’Unione Europea hanno condannato la legge come una minaccia alla libertà di parola; ma ora questa è la legge in Polonia.
Duda ha descritto la Polonia come una vergogna, piuttosto strano visto il miglioramento degli standard di vita dei polacchi ed il suo processo di crescita come potenza diplomatica in Europa. Tuttavia Duda ed il PiS rappresentano milioni di polacchi che sentono di essere stati lasciati fuori dal boom economico o alienati dall’elite liberale. Ci sembra bizzarro tuttavia che nel partito di Duda siano presenti ex funzionari di quella elite post comunista tanto ostracizzata dal PiS.
Oggi, le somiglianze con il governo del primo ministro di estrema destra Orban nella vicina Ungheria sono impressionanti. Orban ha limitato la libertà dei media, prevaricato le organizzazioni non governative, emendato la costituzione a suo favore, tutto in nome di liberare l’Ungheria da elementi del suo passato comunista e dalla presunta corruzione degli anni post – comunisti.
Ben prima della crisi, gli oppositori del PiS hanno argomentato che il partito voleva veramente construire una Budapest sulla Vistola.

L’Unione Europea come Ponzio Pilato

Il PiS ha vinto la sua maggioranza grazie ai voti dei centristi, ma i sondaggi oggi indicano che molti di loro già si stanno allontanando dal partito in favore di un nuovo partito liberale chiamato “modern”, guidato da un economista: Ryszard Petru.

L’Unione Europea se ne lava le mani: il PiS può continuare ad utilizzare le critiche dei commissari non eletti a Bruxelles come maggiori prove in supporto della narrativa di una debole elite europea che minaccia gli interessi polacchi.

Il dipartimento di stato americano si è preoccupato dei cambiamenti in Polonia, soprattutto della guerra intestina governo/corte costituzionale. La Polonia è un alleato importante, strategico, per gli Stati Uniti, vista la sua collocazione geografica nell’est europeo e soprattutto perché la Polonia ha le più efficienti forze armate della regione.

Settembre 4 2015

La crisi dei migranti in Europa: non esiste

L’afflusso dei migranti in Europa nel 2015 è dello 0.068% della popolazione europea. Esiste la crisi politica dell’Unione Europea dovuta all’incapacità di gestione dell’afflusso dei migranti da parte dei politicanti nostrani ed europei.

La retorica apocalittica, la foto di corpi alla deriva, di bimbi morti, ha preso la mano a molti, soprattutto ai populisti, ai giornalisti in cerca di un momento di gloria. Ignoranti, nel senso che ignorano se veramente esiste una crisi di migranti. Dopo aver pubblicato su facebook, su twitter, la foto del piccolo Aylan Kurdi e commentato con frasi strappa lacrime, vi siete chiesti se questa crisi esiste davvero?  Esiste solo una crisi politica e basta!

I numeri ci suggeriscono che molti dei migranti in Europa provengono da Afghanistan, Iraq, Siria, Somalia ed Eritrea. Un flusso che è più simile ad una goccia nella terra  che dovrebbe assorbirla. La popolazione europea è di circa 500 milioni, l’ultima stima del numero di coloro che entrano attraverso mezzi illegali in Europa (quest’anno), via Mediterraneo o Balcani, è approssimativamente di 340.000. In altre parole l’afflusso di quest’anno è solo dello 0.068 % della popolazione europea. Facciamo un parallelo: gli Stati Uniti. Popolazione di 320 milioni, ha qualcosa come 11 milioni di immigrati senza documenti, circa il 3,5 % della popolazione. Per contro, l’Unione Europea (UE) ha tra 1.9 e 3.8 milioni si immigrati senza documenti  (dati 2008  gli ultimi disponibili, secondo uno studio sponsorizzato dalla Commissione Europea), meno dell’1% della sua popolazione.

Quindi perché questo panico in Europa? Molti paesi europei affrontano un profondo problema di calo delle nascite, con pochi giovani lavoratori a cui è chiesto di supportare troppi pensionati. Un afflusso di persone con una provata perseveranza sembrano fornire un’ iniezione di energia di cui l’Europea sinceramente ne ha bisogno. Ci sono diversi argomenti che fomentano il populismo della crisi dei migranti in Europa. Parlano (impropriamente) di “terrorismo”.  I gruppi estremisti ci hanno ampiamente dimostrato che sono capaci da soli e anche parecchio bene, di inviare i loro affiliati/seguaci in Europa o addirittura di reclutarli direttamente in Europa attraverso mezzi molto più convenzionali. Come nessun rifugiato sarebbe così coraggioso da attraversare il mediterraneo o negoziare una via di terra attraverso i Balcani se ci fosse stata un’alternativa disponibile, queste rotte sono del tutto improbabili come miglior passaggio per gruppi che godono di ingenti finanziamenti.

Cultura. Molti europei hanno paura che l’afflusso di stranieri mini la loro “confortevole cultura”. Ricerche ci suggeriscono che questo è il maggior argomento di cui si servono i partiti populisti in molti paesi Europei. In Francia hanno Marine Le Pen, in Olanda Geert Wilders, noi Matteo Salvini, la Repubblica Ceca Milos Zeman, il partito UKIP in Gran Bretagna. Paura che viene accentuata dalla grande “Europa Cristiana” contrapposta alla religione musulmana: Polonia, Bulgaria e Slovacchia hanno espresso una forte preferenza per soli rifugiati cristiani.

È una sfida politica, che richiede una leadership politica, non è una questione della capacità di assorbire i recenti immigrati. Dovrebbero ricordarsi quando altri hanno risposto generosamente durante la Seconda Guerra Mondiale, quando molti europei vittime di persecuzione sono diventati rifugiati. L’UE ha fallito nella responsabilità di gestione delle crisi e il suo Common Security and Defence Policy è solo un enorme distributore di fumo dietro il quale soldi e consulenze sostituiscono un pronto, deciso e robusto intervento nelle aree di crisi. Si sono seduti nelle loro confortevoli sedie e hanno aspettato che qualcun’altro facesse qualcosa. Gli stati membri dell’UE pagano i 2/5 del budget delle missioni di peacekeeping; la European Commision African Peace Facility è stata una fonte cruciale per il finanziamento delle missioni dell’Unione Africana negli ultimi 10 anni, fornendo circa 1 miliardo di euro principalmente per Darfur e Somalia. Pianificano sì, quanto so bravi a fare i Joint Plan UE/ONU e poi in pratica? In Libia aspettiamo che Leon (rappresentante ONU) porti a termine dei negoziati a cui una volta sì e una no una delle due parti non partecipa. In Siria, figuriamoci, l’Africa ce la siamo dimenticata, il Mali boh e poi ci chiediamo: “ma perché arrivano?”

Si sente poi parlare di frontiera al flusso migratorio...no, mi dispiace il Mediterraneo o i Balcani non sono la frontiera. Visto che ho iniziato con i numeri che contano più del populismo: secondo le Nazioni Unite, alla fine di maggio c’erano circa 4 milioni di rifugiati siriani (la popolazione, pre – guerra di Damasco era di 1,7 milioni). Molti sono ospitati dai paesi vicini e l’impatto è qualcosa di sconvolgente. In Libano la popolazione prima della crisi siriana era di 4.4 milioni adesso ospita 1.1 milioni di siriani. Persino il paese più ricco del mondo avrebbe difficoltà ad assorbire e gestire questo tipo di afflusso. La Turchia ne ospita 1.7 milioni e la Giordania 628.000. Ricordiamo che la terra del Medio Oriente è arida e spesso inabitabile con una cronica mancanza di sviluppo di infrastrutture per cui molte delle popolazioni dei paesi arabi tendono a concentrarsi in aree urbane e dipendono da beni di prima necessità importati. La Giordania importa l’87% del suo cibo e all’improvviso ha centinaia di migliaia di bocche da sfamare. L’ esodo siriano è arrivato dopo la crisi dei rifugiati iracheni. Nell’aprile 2007 UNHCR ha riportato che c’erano più di 4 milioni di iracheni in giro per il mondo di cui 2 milioni nel Medio Oriente. La Giordania ne ha ospitato 750.000. La Siria ne ospitava 1.1 milioni, cifra che è scesa nel 2013 a 146.000. L’anno scorso il consiglio dei ministri turco ha approvato il rilascio ai rifugiati siriani di carte d’identità che gli consentono l’accesso al sistema sanitario e ai servizi di educazione, offrendo una speranza per un permesso di lavoro condizionale. Ma questo è un’ eccezione nella Regione perchè la Turchia vuole entrare nell’UE anche se poi ultimamente li ha colpiti con i cannoni ad acqua. Gli altri stati li tollerano: sono l’intera frontiera della crisi siriana per la loro collocazione geografica e non fanno molto altro.  L’ UNHCR ci dice che i donatori governativi internazionali hanno contribuito solo per il 20% sulla cifra di 4.5 miliardi di dollari di cui hanno bisogno i rifugiati siriani in questi paesi.

Quindi cosa abbiamo? Una crisi di retorica, di populismo, di ignoranza. L’Unione Europea con i suoi valori predicati ai quattro venti con un carrozzone per miliardi di milioni di euro che non è capace di gestire l’afflusso di migranti e inetta nel rivedere la sua politica di sicurezza e di difesa. Inappropriata nel gestire le crisi ai suoi confini, quelle vere, di conflitti che non risparmiano nessuno e le cui foto non commuovono nessuno. Poi ci sono gli Stati del Golfo che tollerano milioni di persone senza fornire servizi e neanche speranza. Ma perchè credete che queste persone fuggano da paesi molto più vicini e attraversino l’inferno per venire in Europa? L’Europa dei diritti, della Commissione Europea dei diritti umani, l’Europa della pubblicità: non esiste. Quello che esiste è un nuvolo di politicanti e di funzionari ignoranti, questa è la vera tragedia.

Luglio 10 2015

A me Tsipras non sta simpatico

No, non mi è simpatico neanche un po’, perché trovo che “usare” il popolo greco per i suoi show verso l’Europa o verso possibili apparentamenti di convenienza è da stronzi. Tutti ad applaudirlo per aver usato la democrazia. Allora cosa avrebbero dovuto dire i greci dopo essere stati in fila per delle ore a ritirare gli ultimi risparmi nelle banche, dopo 5 anni di condizioni miserevoli, di una contrazione del 25% del PIL ed il 25,6% di disoccupazione?  Hanno detto:  noi non vogliamo stare nell’Eurozona, non vogliamo più l’Euro; e cosa fa questo baluardo della democrazia cerca un accordo con l’Europa per restare nell’Euro. E finalmente si decide a proporre una serie di misure, roba che sono anni che La Banca Centrale Europea gli chiede di varare RIFORME STRUTTURALI, un’occhiatina alla corruzione? Voglio dire l’ha dichiarato un medico greco che la sanità è praticamente una mazzetta gigante persino per le prestazioni obbligatorie del medico di famiglia. Ah no, oggi questo geniale Primo Ministro greco propone un aumento delle tasse sulle compagnie marittime, tagli alle spese della difesa, prevedendone un ulteriore dimezzamento nel 2016 (poi mi spiegherà con quali soldi contribuirà come paese membro della NATO),  privatizzazione degli assetti statali come il porto di Piraeus (grande colpo di genio, così magari se lo prende una bella compagnia russa) e aereporti regionali. Il colpo di genio, poi:  aumento IVA per hotel e ristoranti, taglio alle pagamento delle pensioni dei più poveri e aumento delle tasse per le isole. Gli agricoltori perderanno il loro trattamento preferenziale per le tasse e i sussidi sui carburanti.

Intanto il popolo ha proprio detto NO all’aumento delle tasse; all’interno del suo partito, coloro che credevano nella buona fede di Tsipras hanno dichiarato che non voteranno questo pacchetto di misure.

Qui non si tratta più di una crisi finanziaria ed economica, ma di un Primo Ministro con manie di grandezza che prende in giro il suo popolo che s’incontra con Putin per spaventare i creditori. Vi confesso che per un minuto ho creduto che fosse così intelligente da voler dimostrare che l’Eurozona è stata mal concepita che non c’è mai stata un Unione Monetaria; che inglobare economie divergenti era un errore. Ho finanche pensato che iniziasse a farsi stampare la Dracma :” se il mio popolo dice che non vuole l’ Euro così sia. E non importa se tiro dentro anche altri paesi, l’Euro zona o si rivede o fuori”.

Da un punto di vista meramente di politica internazionale, dubito che la Cina possa entrare in partita, a parte che ha già una bella gatta da pelare con la sua crisi economica, è più orientata a commerciare con i paesi europei in euro e con la totalità dell’Unione Europea. La Russia sì, è interessata ai porti, ma se Assad cade e dopo aver risolto il problema ucraino. Sono curiosa di sapere se Tsipras ha considerato che la Grecia è anche un membro della NATO e quanto gli costerebbe in termini di politica estera uscirne o trovarsi a non poter contribuire neanche con una pistola.

Chiediamoci perchè il ministro dell’economia greco, Varoufakis si è dimesso all’indomani del referendum e non un ministro come quelli italiani che prima giocavano a monopoli e poi si sono messi a capo del dicastero dell’economia.

Insomma Tsipras non ha utilizzato il NO del referendum come si conveniva: uscire dall’euro, ma per avere una chance in più per farsi prestare altri soldi. Chapeaux simpaticone.

 

* immagine di:  realsourceofjokes.blogspot.com

Giugno 24 2015

EUNAVFOR Med: solo una pezza a colore

La gestione del flusso  dei migranti mi fa venire in mente le “toppe”, le “pezze a colori” che si mettono su un buco, uno strappo. L’altro giorno sono stata alla stazione Tiburtina, non ho visto nessun campo, ma ho pensato che quest’allestimento super pubblicizzato, quando per anni e anni alla stazione ci sono stati migliaia di senza tetto, di ogni colore che si addormentavano li, chi chiedeva l’elemosina, chi vendeva gli asciugapiatti, chi i calzini; e mi è parso proprio che l’intento dietro l’allestimento di questo campo sia quello di mettere la polvere sotto il tappeto e di fare dei gran bei spot pubblicitari per la Croce Rossa che non ho mai visto alla stazione Tiburtina quando per esempio pioveva e si bagnavano i cartoni dei barboni e le coperte tutte zuppe, non ho mai visto distribuire pasti gratis…che strano, davvero. Vado da anni tutte le settimane a Roma e non ho mai visto tutta questa carità prima d’ora…INCREDIBILE!

A parte questa riflessione di morale, che chiaramente non hanno tutti quei giornalisti che sono li a fare domande del tipo: “ma ti hanno sparato?”; “vieni dall’Eritrea e hai preso il barcone in Libia?”, ” ti hanno picchiato?”, cerchiamo di fare un po di chiarezza sull’operazione EUNAFOR MED.

Quest’operazione così pubblicizzata come la migliore idea per risolvere il problema è in assoluto l’operazione più ridicola che si potesse mai ideare e peggio ancora realizzare. Consta di tre fasi sequenziali. La prima: sorveglianza e valutazione del traffico di esseri umani, delle sue reti, la seconda e la terza: individuazione e distruzione degli assetti dei trafficanti sulla base del diritto internazionale e di una partnership con le autorità libiche. Vediamo quindi punto per punto l’idiozia insita in questo programma. Prima vorrei portare alla vostra attenzione quanto accaduto in sede di redazione del testo di questa operazione che ci viene spiegato dal nostro ministro della difesa: “in vista di un eventuale risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (non si sa bene poi cosa dovrebbe decidere) la parola “affondamento dei barconi” è stata modificata in “eliminazione”. Ovviamente è chiaro a tutti che affondare una barca è diverso da eliminare. Questo perchè evidentemente anche il nostro ministro della difesa è colto da quel disturbo cognitivo e comportamentale per cui se uno mette una parola più figa tutto suona molto meglio. Perchè chiaramente distruggere (disrupt) come recita il testo inglese vuol dire che sul barcone non rimane più nessuno se fosse in mare e invece ancorato al porto, è oltremodo palese che sulla barca del trafficante c’ ha scritto: “trafficante” e quindi sono in grado di effettuare un eliminazione selettiva rispetto a tutte le barche ancorate in un porto, sapendo che i porti della Libia sono talmente piccoli che ci saranno solo le barche dei trafficanti. Probabilmente saranno tutte quelle con scritto “Caronte”. Quindi il problema si risolve eliminando il mezzo di trasporto. Allora facciamo un esempio: io elimino tutte le imbarcazioni dei trafficanti e tutti coloro che hanno attraversato almeno altri due Stati per arrivare in Libia tornano indietro.

Altro punto del tutto trascurato: le autorità libiche. Mi sorge spontanea una domanda: “quali”? Non ci sono forse due compagini governative che pensano di essere entrambe le rappresentanti del popolo libico, non ci sono forse una serie innumerevole di schieramenti, più di 300 partiti politici e soprattutto l’ambasciatore alle Nazioni Unite del governo riconosciuto dalla comunità internazionale (e qui evito in questo post di parlare del riconoscimento degli stati perchè anche qui ci sarebbero una serie di argomentazioni che sconfesserebbero tutti quei luminari che insistono che siccome tre paesi l’hanno riconosciuto allora è un governo legittimo) ha dichiarato proprio mentre si redigeva il testo di EUNAVFOR MED che non avrebbe mai dato il consenso per eliminare le barche nel territorio libico (quindi anche nelle acque territoriali). Il governo di Tobruk dalla parte sua non ha assunto finora nessuna posizione ufficiale. Saranno ottimisti e penseranno che prima o poi lo daranno o ne faranno a meno come tante volte si fa per un Bene Superiore, quello di mettere le pezze ovviamente.

La parte che più mi fa ridere è la frase :”in accordo con il diritto internazionale”, che evidentemente nessuno conosce. L’uso della forza previsto dall’operazione viola la proibizione dell’uso della forza sancita dall’art. 2 (4) della Carta Nazioni Unite, a meno che non si applichi una di queste eccezioni. L’attacco alle navi potrebbe essere qualificato come “law enforcement” piuttosto che “uso della forza” (Guyama v Suriname), ma sarebbe ugualmente illegale nel territorio ovvero nelle acque territoriali di uno stato in assenza di queste eccezioni: l’auto – difesa e l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza. L’eccezione dell’auto – difesa non è applicabile perchè non c’è un attacco armato contro un paese dell’UE da parte di Stati Africani o dai trafficanti (punto che sarebbe rilevante se si riconoscesse un diritto all’auto – difesa contro attori non – statali). Si potrebbe verificare il diritto degli Stati all’uso della forza per proteggere i propri cittadini, peccato che i cittadini europei non siano nè minacciati nè coinvolti nei traffici. L’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza secondo il capitolo settimo della Carta NU. Il Consiglio di Sicurezza concesse l’autorizzazione per l’Operazione Atalanta (anti pirateria, coste somale); tuttavia l’autorizzazione fu data a condizione che ci fosse il consenso del governo somalo. Altro problema: i 5 membri permanenti ed in particolare la Russia. La vedo difficile che non apponga il veto soprattutto dopo l’abuso che i paesi occidentali hanno perpetrato quando fu concessa l’autorizzazione del 2011 proprio in Libia. Il Consiglio di Sicurezza però emana l’autorizzazione all’uso della forza quando è necessario per “mantenere la pace e la sicurezza internazionale (art.42) ovvero in presenza di una minaccia o violazione della pace ovvero per un atto di aggressione (art. 39). Una via plausibile sarebbe quella di arguire che la situazione nel Mediterraneo costituisca una minaccia alla pace; con la Risoluzione 668 (Iraq: trattamento della popolazione curda) il Consiglio di Sicurezza stabilì che un massiccio flusso di rifugiati verso e oltre le frontiere internazionali costituisse una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale.

Inoltre se si concedesse l’applicazione delle norme di diritto internazionale umanitario, le navi dei trafficanti sarebbero intitolate alla protezione come “oggetti civili”. Le attività dei trafficanti non si qualificano come pirateria secondo l’articolo 101 della Convenzione sul diritto del Mare (UNCLOS) e in ogni caso secondo l’art. 105 la forza può essere utilizzata sono nelle acque internazionali.

Concludendo, l’uso della forza non avrà granchè di basi giuridiche e non risolverà il problema. Resta più facile far andare avanti il carrozzone così perché affrontare le condizioni degli Stati da cui provengono i migranti richiederebbe uno sforzo molto più grande e non di denaro giacché il costo di EUNAFOR MED è di 11, 82 milioni di euro solo per i due mesi di start up, ma uno sforzo di politica estera europea che richiederebbe una serie di expertise di cui evidentemente il carrozzone europeo non è assolutamente dotato ed avendo alla guida proprio della politica estera la persona più inadatta della storia di tutti i tempi: la Mogherini.

 

 

Novembre 24 2014

L’Ucraina vista dall’Unione Europea

L’Unione Europea (UE) vede l’Ucraina cosi:  “non c’è ragione perché persone in Europa stiano al freddo d’inverno”. La frase è del commissario europeo dell’energia tale: Guenther Oettinger il giorno in cui si è  firmato l’accordo sulle forniture di gas tra Ucraina, Federazione Russa (Russia) e UE. Si è dimenticato, povero lui, che a  Donetsk, Kharkiv, Novoazovsk e in gran parte del sud – est dell’Ucraina tanta gente non si può riscaldare perché non ha le finestre a casa, chi una casa ancora c’è l’ha e non gli è stata bombardata. Non moriranno di freddo ma forse di fame si. Che poi l’accordo privato non è gratis, prevede che Mosca riapra i rubinetti di gas in cambio di pagamenti che verranno finanziati dai creditori occidentali di Kiev. Creditori, non benefattori.

La visione europea della situazione è nella mancanza di accordo tra i ministri degli esteri dell’Unione su ulteriori sanzioni da apporre alla Russia. Per cui senza preoccuparsi più di tanto della Russia o dei ribelli o della gente senza casa senza cibo cosa fa l’Europa? Il 22 luglio 2014 stabilisce una missione denominata EUAM (European Union Advisory Mission for Civilian Security Sector Reform Ukraine) che odi odi serve per assistere l’Ucraina nella riforma del settore sicurezza, incluso la polizia e per la cosiddetta rule of law, cioè la riforma delle regole di legge, ergo, del sistema giudiziario. Il 14 novembre scorso la cerimonia di firma accompagnata dai bei paroloni che sempre si dicono in queste occasioni: “per il bene del popolo ucraino”. Così, da spettatore io avrei apprezzato  una missione molto più articolata, accompagnata da qualche aiuto alla popolazione. Ricostituzione di servizi essenziali primari, non cose complesse. Eppure il carrozzone europeo va avanti così con le firme su pezzi di carta. Perché poi cosa fa esattamente l’UE? Ah! si si è spesa per l’accordo di cessate il fuoco. E un altro suo braccio lungo, l’OCSE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione Europea) ha il compito di monitoraggio dell’accordo di Minsk (il nome comunemente usato per denominare l’accordo di cessate il fuoco).

Al G20 in Australia, Obama incontra i leader europei per discutere una risposta coordinata alla Russia e certo perché se ne accorgono ora che la Russia ha violato il diritto internazionale, perché fornire armi pesanti ai separatisti in Ucraina, violando l’accordo di Minsk, sarebbe più grave di aver annesso una parte di territorio di un altro stato con l’uso della forza (vedi Crimea) o violato semplicemente l’integrità territoriale di uno stato sovrano, perché ricordiamoci che i famosi soldati senza insigne in Crimea non parlavano certo portoghese. Quello che trovo per certi versi comico è che seppur in violazione di tante norme di diritto internazionale riconosciute da tutti gli Stati ed anche dalla Russia che tanto si scandalizzò per la questione del Kosovo, Putin è andato allegramente al G20 e anzi nessuno gli ha detto: “oh che ci fai qui non ti ci vogliamo, conformati alle regole senno ciao”. No nient’affatto, strette di mano, sorrisi, foto insieme.

Il presidente ucraino dal lato suo ha ordinato che tutti i servizi statali incluso il finanziamento degli ospedali e delle scuole delle aree controllate dai ribelli nelle regioni di Donetsk e Luhansk siano ritirati. Non so se è chiaro quindi: il governo centrale ritira i finanziamenti agli ospedali di zone completamente distrutte, per farla pratica: se un ucraino va in ospedale deve essere fortunato a trovare un cerotto d’ora in poi. E cosa fa l’Europa? Una missione di sicurezza e nessuno vuole prendersi la responsabilità di incrementare le sanzioni alla Russia. Che ne so una missione di mentoring al Presidente ucraino? Perché poi Poroshenko,non ha finito con i decreti ne indirizza uno al parlamento, chiedendo di revocare la legge che garantisce l’auto – regolamentazione alle regioni di Donetsk e Luhansk. Mi chiedo: perchè ordini che le Regioni tornino sotto la giurisdizione del governo centrale e poi togli i finanziamenti agli ospedali?

In tutto questo circo di accordi e decreti il ministro degli esteri russo, Lavrov, pochi giorni fa, incontra il ministro degli esteri tedesco Steinmeir (non vi chiedete perché non incontra il ministro degli esteri italiano, perché a parte che Gentiloni deve ancora capire chi è lui stesso, confuso com’è sulle sue ideologie politiche/partitiche, ma gli bastano le dichiarazioni della Mogherini a sconfortarlo). In realtà Steinmeir ha proposto un’iniziativa denominata “clearing house” (casa pulita) che prevede lo scambio di informazioni tra le parti dei rispettivi rappresentanti militari.

Nell’ incontro si è anche parlato della cooperazione tra l’UE e l’Unione economica eurasiatica. Lo stesso Steinmeier afferma che ben 28 paesi dell’UE coltivano parecchi pregiudizi su cosa può essere fatto congiuntamente con la Russia. E si eh, avete letto bene, il Consiglio d’Europea con una mano bastona la Russia con le sanzioni e con l’altra le da tante belle carezze autoaccusandosi che ci sono 28 paesi che non gradiscono la Russia, poveri loro. La teoria del bastone e della carota si è rivelata inutile finanche per la cooperazione allo sviluppo, figuriamoci per i rapporti con la Russia. Ritengo che un grande errore del pensiero politico occidentale sia quello di considerarsi sempre più furbi dell’avversario. Se ti metto in ginocchio economicamente con sanzioni non ti vengo a dire che però sarebbe carino cooperare con la tua unione economica, perché l’avversario ben più intelligente di te (ricordiamolo che si è preso un pezzo di territorio di un altro stato in un batter d’occhio) sa che continua a ritenere un enorme vantaggio su di te che non sei coerente con quello che dici. Putin che è un fine giocatore di scacchi sa che le tue mosse saranno sempre a suo favore. La risposta di Lavrov è illuminante a riguardo perché lui asserisce che l’accordo di Minsk doveva essere firmato molto tempo fa, invece di “accusare gli altri di violazioni”. Continua dicendo che l’accordo poi è stato raggiunto da: Kiev e le forze cosiddette di autodifesa e che gli Stati Uniti che hanno dichiarato di sostenerlo avrebbero dovuto fare tutto il possibile e usare la loro influenza perché fosse raggiunta una consistente implementazione del documento. Ecco nella sua ironia e grande tragedia per chi poi vive in quelle zone c’è tutto quello che l’occidente fa fatica a comprendere: il vantaggio dell’avversario. Avere il controllo, se pure attraverso movimenti separatisti del sud- est dell’Ucraina, avendo la possibilità di garantire servizi primari (ricordiamo anche che insieme alle armi pesanti i russi mandano anche aiuti umanitari) sostituendosi a Kiev che gliene fornisce la possibilità su un lussuoso piatto d’argento. Un’ ultima considerazione: una missione di sicurezza per assicurare che Kiev possa garantire la sicurezza nei suoi confini è un aiuto certo, ma un’ implicita (e neanche tanto) ammissione che uno stato sovrano non è in grado di garantire la sicurezza del proprio territorio. Ditemi voi che visione ha l’Unione Europea della sovranità degli Stati.

Novembre 23 2014

La Romania e il suo nuovo Presidente

Per chi non lo sapesse proprio in questo mese di novembre ci sono state le elezioni presidenziali in Romania. Perché ci interessa? Beh la Romania è la frontiera dell’est dell’Unione Europea (UE) e la sua politica estera è estremamente importante specialmente nelle sue relazioni con la Moldavia e l’Ucraina. Ci interessa perché la società civile romena ha iniziato a capire cosa sia la partecipazione democratica e la classe politica, malgrado i problemi di corruzione e le spinte alla conservazione dello status quo, hanno dato vita ad un cambiamento. Esattamente quello che non avviene in Italia, dove abbiamo un primo ministro che nessuno ha eletto e partiti che oggi ci sono domani no ed un presidente della Repubblica che è decisamente “agée”.  In Italia la parola “Repubblica” è rimasta solo sulla carta costituzionale. Ma torniamo alla Romania.

Il nuovo presidente è Klaus Iohannis. Non vi sembra strano questo nome? E’ un signore tedesco i cui parenti fanno parte della piccola comunità tedesca in Romania. Un talentuoso manager ex sindaco di Sibiu una cittadina della Trasilvania trasformata proprio da lui in una punta di diamante del turismo. Il “tedesco” come lo chiamano anche i suoi elettori nei suoi primi interventi come presidente della Romania asserisce che le relazioni con l’Ucraina e la Russia dovranno essere decise in accordo con l’UE e la Nato.

Un  tema che presto potrebbe essere riaperto nel parlamento romeno è sullo status del Kosovo. Un piccolo aiutino, Iohannis non ha mai tenuto segreti i suoi buonissimi rapporti con la famigerata e molto discussa leader tedesca Angela Merkel e il partito che sostiene il presidente non avrà problemi a schierarsi in favore del riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo.

Se Bucarest tenesse questa posizione sul Kosovo causerebbe un effetto domino tra coloro che non l’hanno riconosciuto e quindi avrebbe un impatto sull’ allargamento dell’UE nel suo insieme? A parte il fatto che il riconoscimento non è certo il più grande ostacolo né alla via del Kosovo né della Serbia nell’UE. La questione invece cambia se anche la Moldavia si mette nel cestone dell’allargamento (Chisinau intende sottoporre la documentazione come membro dell’EU nel 2015). Il futuro dell’allargamento dell’UE potrebbe essere più roseo delle previsioni, ma certo Putin avrebbe  qualche cosa da dire in proposito.

Cosa ci dice l’elezione del “Tedesco”: il potere della società civile. L’elezione ha visto un’incredibile mobilitazione sociale, malgrado i problemi di voto dei romeni[1] all’estero.

Per molti anni, i critici dell’UE hanno puntato il dito su paesi come la Romania e hanno usato questi stati come i “deficit democratici” come argomentazione contro l’allargamento dell’UE.  Con questa elezione però i cittadini della Romania hanno dimostrato di voler abbandonare il vecchio post – comunismo, il populismo, raggiungendo un grado di maturità in grado di poter discernere quale candidato offre le migliori policy e quali seguire. Questa elezione ci dimostra che gli elettori possono essere persuasi ad andare a votare in massa e che le elezioni possono produrre un risultato diverso da quello che ci aspetta.

Ma tutto questo ci dice una cosa ancora più importante: la democrazia in Romania funziona. I diversi gruppi etnici hanno votato Iohannis malgrado i tentativi del primo ministro Ponta di usare la macchina statale contro le elezioni presidenziali. Il Presidente è eletto con voto diretto, ma condivide il potere esecutivo con il primo ministro e quando i due appartengono a partiti politici differenti allora si crea una rivalità ancora più ampia.

La mobilitazione ha dimostrato che la società romena è in grado di punire ogni tentativo di usare l’apparato statale per gli interessi partitici e che il consolidamento del pensiero democratico è iniziato.

Le elezioni presidenziali in Romania parlano anche di noi italiani: malgrado i sistemi diversi, in Italia non eleggiamo il presidente della Repubblica direttamente, abbiamo un sistema elettorale desueto che non si decidono a cambiare, non abbiamo un presidente del consiglio espressione di libere elezioni; ci dicono che critichiamo spesso gli altri Stati con stereotipi : “ i romeni sono tutti ladri” confondendo etnia con popolazione. Ebbene il popolo romeno si è mobilitato ha fatto sentire la sua voce è ha eletto il presidente che voleva per cambiare, noi che facciamo?

[1] Venuta meno l’ideologia che vedeva nella comune discendenza dall’impero romano un motivo per sostenere romeno, la scelta fra le due varianti può essere ricondotta al solo piano formale per cui, di contro alla ragione etimologica e alla tradizione letteraria a sostegno di rumeno, si pongono a favore di romeno la simmetria con Romania e la maggiore adesione alla lingua romena. Si può scegliere: in questo stesso sito potete trovare usate entrambe le forme. (dall’Accademia della Crusca: si dice romeno o rumeno?)