Agosto 3 2023

Niger: le minacce alla sicurezza

Niger

Quando indosso una lente di ingradimento difficilmente posso cogliere ciò che non è ingrandito dalla lente. Il mio sguardo è circoscritto, vedo solo quel Paese. Così spesso accade quando si cerca di comprendere uno sviluppo politico, come per il Niger, si traslascia il contesto che invece è essenziale per inquadrare l’evoluzione politica, ma anche sociale, economica. Anche il tempo è importante. Ci si ferma all’oggi ma i cicli politici non accadono in un giorno. Quello che osserviamo è il risultato di ciò che si è sviluppato nel corso degli anni in un ambiente locale e regionale complesso.

Proviamo a viaggiare dal Niger verso l’Africa Occidentale costiera ed il Sahel e cerchiamo di comprendere cosa accade.

Febbraio 2022: il presidente francese Emmanuel Macron annuncia che le truppe dell’operazione francese Barkhane così come quelle nella Task Force EU Takuba saranno ritirare dal Mali. Il presidente del Niger Mohamed Bazoum dichiara che il Niger accoglierà volentieri le truppe francesi e dell’Unione Europea nel suo territorio. Da allora i legislatori nigerini hanno approvato una legge che autorizza il governo ad ospitare più truppe europee come parte delle operazioni di controterrorismo regionali a guida francese.
Questa mossa ha provocato una opposizione piuttosto robusta da una vasta gamma di nigerini, incluso personaggi dell’opposizione politica, gruppi della società civile e cittadini ordinari, che affermano che la presenza delle truppe europee minaccia la sovranità nazionale e potrebbe rendere il Niger un obiettivo più grande della violenza estremista. Queste obiezioni sono comprensibili in un Paese dove l’ostilità popolare verso la Francia è diffusa e lo scenario di sicurezza è peggiorato negli anni recenti, malgrado la presenza di un dispiego militare straniero già esistente.
Lo strategemma di Bazoum punta il riflettore sullo scenario politico del Niger, così come sulle percezioni della leadership del Paese e la sua comprovata esperienza nel combattere la violenza e l’instabilità nel Sahel.

Il Niger è spesso preso ad esempio per i Paesi confinanti nel Sahel. Come molti dei suoi vicini regionali, il Niger è caratterizzato da alti livelli di povertà estrema e una lunga storia di coup militari. Dal ritorno del Paese al governo democratico nel 2011, il Niger ha compiuto grandi passi verso il raggiungimento di stabilità socio-politica.
Ha ricevuto il plauso internazionale nel 2021 per il completamento del primo trasferimento di potere pacifico tra leader democraticamente eletti dall’ottenimento della sua indipendenza dalla Francia nel 1960, quando l’ex Presidente Mahamadou Issoufou si è dimesso dopo aver completato due incarichi consecutivi. Issoufou è stato elogiato per aver compiuto passi sostanziali per migliorare l’istruzione e sviluppare infrastrutture, investendo nella costruzione di nuove strade, centrali elettriche, elettrificazione rurale e la modernizzazione dell’aereoporto di Niamey.


Il quadro istituzionale del Niger concentra ampiamente il potere nelle mani del Presidente, ma incorpora anche le autorità tradizionali nello sforzo di rafforzare la capacità statuale. Ad esempio, il sistema locale dei capi tribù collabora con lo Stato su una gamma di questioni che vanno dalla riscossione delle tasse, all’amministrazione della giustizia alla mediazione nei conflitti e agli affari religiosi, da una parte all’altra del Paese come la regione occidentale Tillaberi, la regione a sud Diffa, o Agadez nel nord.

Come il Mali, il Niger ha avuto la sua quota nelle ribellioni Tuareg. Molti osservatori ritengono che abbia intrapreso dei passi più significativi anche se imperfetti ed insufficienti per affrontare le recriminazioni Tuareg cosi come quelle dei gruppi di minoranza.
I partneriati di sicurezza nigerini con la Francia e gli Stati Uniti hanno per la maggior parte permesso alle élite politiche e di sicurezza di consolidarsi, radicarsi al potere a spese di un compito di lungo termine vale a dire la governance democratica.
Per questo non sorprende che il Niger è diventato rapidamente riconosciuto come un alleato occidentale chiave nel combattere la violenza estremista.

Niger
Fonte: Mappr


Un Paese senza sbocchi sul mare che condivide le sue frontiere con sette Paesi incluso Nigeria, Mali, Chad, Algeria e Libia, occupa una posizione strategica sulla mappa dell’Africa, siede all’incrocio tra il Nord Africa, il Sahel e il bacino del Lago Chad. Il governo nigerino ha regolarmente affermato che la sua posizione geografica spiega il deterioramento delle sue condizioni di sicurezza nel corso del tempo, attribuendo la causa della propria instabilità alle ripercussioni dei conflitti nei Paesi vicini. Subito dopo i ritiri francesi e dell’Unione Europea dal Mali, Bazoum ospita personaggi di alto profilo incluso il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres e il Cancelliere tedesco Olaf Scholz, suggerendo l’importanza degli interessi occidentali di sicurezza nel Sahel.
Negli anni recenti, combattenti dal Mali e dal Burkina Faso si sono spinti sempre di più nella regione Tillaberi, che è nel triangolo tra Niger Mali e Burkina Faso. La regione Diffa, vicino alla frontiera nigeriana, ospita centinaia di migliaia di nigeriani che sono scappati dalla violenza di Boko Haram e gli attacchi transfrontalieri sono aumentati. All’aumentare delle tensioni tra il Mali e la Francia negli anni recenti ed il collasso della relazione tra i due Paesi, il Niger ed il Burkina Faso hanno puntato nell’altra direzione, muovendosi rapidamente per rassicurare Parigi della loro volontà di sostenere i loro partneriati sulla sicurezza.

Ciò che sarebbe necessario è una concettualizzazione più ampia di cosa costituisce la Sicurezza.

L’inizio delle ribellioni che hanno minato la sicurezza nel Sahel nella passata decade, è coinciso con un accordo diffuso e condiviso che la violenza avrebbe avuto delle ramificazioni socio-economiche, politiche ed umanitarie significative per i Paesi della sub-regione. Molti osservatori hanno creduto che la minaccia posta dai militanti delle organizzazioni violente islamiche, dalle reti di criminali e da altri gruppi armati sarebbe stata confinata al Sahel, senza espandersi al sud verso il Golfo di Guinea.

L’Africa occidentale costiera, incluso le regioni litoranee della Nigeria, Benin, Togo, Ghana e Costa d’Avorio, si presumeva fossero sicure dall’espansione delle organizzazioni estremiste violente.

Queste supposizioni contengono delle imperfezioni, incluso una concettualizzazione limitata di sicurezza e una errata diagnosi della violenza estremista islamica come causa piuttosto che come sintomo di problemi più profondi di governance, legittimità e nation-building.

Questa supposizione è coincisa con una risposta militarizzata alla violenza estremista da parte dei governi regionali e dei partner internazionali, che hanno concentrato i loro sforzi di contro terrorismo a spese di altre minacce alla sicurezza, incluso il brigantaggio, la pirateria, il crimine transnazionale, le tensioni inter e intra comunitarie così come i traffici illegali.

Queste supposizioni imperfette hanno iniziato a collidere con la realtà diversi anni fa.

Nel 2016, la città di Grand-Bassa, circa 35 km ad est di Abidjan, la capitale della Costa d’Avorio è attaccata da un uomo armato affiliato con Al Qaeda nel Maghreb Islamico

Nel 2019, ufficiali della sicurezza burkinabe intercettano comunicazioni tra militanti all’interno del Paese e altri in Benin, Ghana e Togo. L’anno successivo il Burkina Faso e la Costa d’Avorio conducono l’operazione congiunta Comoe un’operazione militare che ha come obiettivo i militanti islamisti nelle aree di frontiera tra i due Paesi, uccidendone 8 e catturandone 38 distruggendo i campi di addestramento.

Nel 2021 un posto di sicurezza nel nord del Togo, vicino alla frontiera con il Burkina Faso è attaccato da banditi armati.
Anche in Ghana, a lungo considerato da molti il pilastro regionale della stabilità e della governance democratica, i funzionari lanciano l’allarme per il crescente numero di attacchi e di sviluppi nefasti vicino alle sue frontiere, sebbene non vi sia un importante primato di attacchi nel Paese.
Per non parlare della Nigeria, l’egemone dell’Africa occidentale, ma verosimilmente il vettore regionale di instabilità. La ribellione da 13 anni di Boko Haram nel nord est è ben nota, ma ha visto diverse evoluzioni, incluso la crescita dello Stato islamico – ISWAP, dopo la morte del leader di Boko Haram Abubakar Shekau nel 2021 e la rinascita della fazione Ansaru affiliata di Al Qaeda. Il numero di attacchi terroristi è aumentato del 49% tra il 2020 ed il 2021.

Dipingere la minaccia degli estremisti violenti islamici come l’unica o la più importante espressione di instabilità nell’Africa occidentale si è provato controproducente.

Molti nigeriani per molto tempo hanno creduto che non era probabile che Boko Haram e i suoi affiliati potessero ottenere un punto d’appoggio a sud della confluenza Lokoja, considerata come la linea di divisione tra il nord ed il sud della Nigeria. Tuttavia, i funzionari della sicurezza hanno avvertito dei tentativi di Boko Haram di espandere le sue attività a sud, incluso nel Lagos il centro economico nevralgico del Paese. Recenti attacchi nello stato di Kogi, di cui Lokoja è la capitale sembrerebbero indicare un altro esempio di attività dell’estremismo violento che si diffonde verso la parte litoranea dell’Africa occidentale. Insicurezza e morti violente nella costa a sud della Nigeria – nelle parti centrali – presumibilmente tra agricoltori e mandriani si sono intensificati negli anni recenti. Nella regione del delta del Niger le sfide alla sicurezza si sono similmente intensificate: vandalismo, furto di petrolio, attività di gang, rapimenti e violenza comunitaria schiacciano le forze di sicurezza impiegate nella regione nei vari Stati. Mentre questi sviluppi non hanno una connessione dimostrata con ISWAP o Boko Haram, sono giudati in larga parte da attori non statali la cui capacità di impiegare la violenza e contestare l’autorità dello Stato non è meno spaventosa.

Questi esempi mettono in luce la vulnerabilità della costa dell’Africa occidentale alle ripercussioni dell’attività estremista da parti remote del Sahel. Essi indicano anche alle imperfezioni nelle supposizioni che hanno influenzato la risposta di sicurezza da parte di governi regionali e dei loro partner internazionali.

Dipingere la minaccia dei militanti islamici come l’unica o anche la più importante espressione dell’instabilità dell’Africa occidentale – per non dire la sola ed unica causa – si è provato controproducente. Così come affidarsi unicamente ad una robusta risposta del controterrorismo e ad operazioni militari, affrontando poco le questioni più profonde di debolezza della governance, ineguaglianza socio-economica e marginalizzazione.

Concentrarsi esageratamente sull’attività militante islamica devia anche dalle vulnerabilità locali che l’estremismo violento ha sfruttato in tutta l’Africa occidentale, mentre ha ignorato l’intersezione dell’estremismo violento con altre minacce alla sicurezza, incluso il traffico illecito di umani e beni, il crimine violento, il conflitto inter-comunitario, la pirateria marittima, il banditismo e i rapimenti.

In esempi dalla Nigeria al Niger al Burkina Faso e al Mali, le condizioni che hanno reso possibile la crescita delle organizzazioni estremiste violente hanno anche permesso la proliferazione di queste altre forme di violenza.

I conflitti locali nelle aree litoranee dell’Africa Occidentale possono servire come punti di entrata per gruppi estremisti violenti, che sfruttano le divisioni comunitarie parteggiando per una parte, quindi ottenendo sostegno in cambio di servizi vitali come la sicurezza, il trasporto e le infrastrutture pubbliche, una tendenza comune nelle comunità di frontiera nella Regione.


Gli Stati costieri dell’Africa occidentale mostrano quasi tutti le stesse vulnerabilità locali come le loro controparti del Sahel, incluso istituzioni statali deboli, frontiere porose, alti livelli di povertà, ineguaglianze economiche, divisioni rurali-urbane. Tutti questi fattori possono facilitare la diffusione dell’attività estremista mentre rendono le attività criminali attrattive. I gruppi estremisti violenti islamici collaborano direttamente o indirettamente con altri gruppi criminali, incluso i minatori illegali di oro, i bracconieri, i trafficanti che condividono i loro interessi nell’assenza o debolezza della presenza dello Stato e delle sue istituzioni.


Gli estremisti islamici in Niger, Mali e Burkina Faso utilizzano il Benin, la Costa d’Avorio, il Ghana, il Togo come risorse o zone di transito per finanziamento e logistica. Il bestiame rubato dal Mali e dal Burkina Faso, ad esempio è venduto regolarmente in Benin, Costa d’Avorio e Ghana, con i profitti che passano attraverso una vasta rete di complici per raggiungere una vasta gamma di gruppi armati che includono, ma non sono limitati a, estremisti violenti. Il petrolio rubato dalla Nigeria è venduto lontano dalla Costa d’Avorio, creando una rete transnazionale di petrolio rubato.


Sebbene l’estremismo violento sia significativo, vi sono altre minacce alla sicurezza che si sono rivelate destabilizzanti per la stabilità regionale ma non hanno avuto lo stesso grado di attenzione da parte dei governi.

Un serio tentativo di affrontare l’instabilità dell’Africa occidentale deve lottare con l’intersezione tra l’estremismo violento e altre minacce alla sicurezza, invece di vederle diverse.

Deve anche vederle non come cause di instabilità, ma come sintomi di lacune socio-politiche profonde che realisticamente non possono essere risolte soltanto da un approccio di sicurezza. Inoltre deve essere consapevole che l’Africa Occidentale costiera è adesso parte del nesso di insicurezza che molti hanno presunto che in Sahel sarebbe stato contenuto.

Ritorniamo in Niger

Il poco tempo in carica di Bazoum è stato caratterizzato da un approccio duro alla governance. Avendo svolto una campagna elettorale promettendo di eradicare la corruzione nel governo, ha compiuto sforzi in questo senso, ma essi sono stati vagliati molto attentamente; molti nigerini sospettano che le ondate di arresti di ufficiali della sicurezza e funzionari governativi di alto grado siano state meramente un pretesto per disfarsi di coloro che Bazoum percepiva come rivali o oppositori.
Le forze di sicurezza nigerine, che sono considerate meno brutali e complici di abusi dei diritti umani rispetto alle loro controparti maliane e burikinabe, hanno giocato un ruolo significativo nello sforzo di controterrorismo nel Sahel. Pur tuttavia anche loro sono stati invasi dalla piaga di alti livelli di corruzione e facilmente cooptati dai criminali delle reti di trafficanti. Accuse di corruzione hanno a lungo piagato il Ministero della difesa nigerino.
Nel 2020 un audit governativo ha rivelato perdite per milioni di dollari in accordi di corruzione per commercio internazionale di armi. Rivelazione che ha portato in piazza a Niamey i manifestanti a cui il governo ha risposto con una repressione e l’arresto di molti attivisti.
Le partnership di sicurezza con le potenze occidentali come la Francia e gli Stati Uniti hanno permesso alle elite di sicurezza e politiche di consolidarsi al potere a spese del compito di fornire una governance democratica di lungo termine, piuttosto che contribuire alla stabilità nazionale e regionale o migliorare la qualità delle istituzioni nigerine.

La strategia della Francia nel Sahel

Il governo francese ha lanciato l’operazione Barkhane, di controterrorismo regionale e counter insurgency, nel 2014 per combattere i gruppi estremisti islamici violenti che avevano preso il controllo di vaste porzioni di territorio nel nord del Mali diffondendosi anche in Burkina Faso ed in Niger.

Fonte: rawpixel

Nella decade seguente, l’insicurezza nel Sahel ha ucciso e ferito migliaia e dislocati milioni di più. La crisi di sicurezza nel Sahel è alimentata dall’instabilità politica, dalla governance debole, da torti storici così come la povertà della Regione. La Regione è una delle più povere del mondo, con condizioni meteorologiche estreme, bassa produttività agricola e accesso limitato ai servizi essenziali. La violenza intercomunitaria, in crescita, è alimentata dalla competizione per la terra e le sue risorse tra gruppi etnici, che conduce ad ulteriore dislocazione e alla rottura della coesione sociale nella regione, particolarmente in Mali, Burkina Faso e Niger.
Nel corso degli anni, l’Operazione Barkhane ha affrontato critiche per i suoi alti costi, così come le sue implicazioni coloniali, la sua “mano pesante”, il suo fallimento nel migliorare la sicurezza nelle aree dove operava e la sua inefficacia nell’affrontare le cause sottostanti alla crisi. Le tensioni che sono emerse tra la Francia e la junta militare che governa ora il Mali hanno condotto Parigi a ritirare le sue truppe dal Paese a seguito della richiesta di Bamako nel novembre dell’anno scorso.
Le forze francesi si sono anche ritirate dal Burkina Faso nel gennaio del 2023 a causa di tensioni con la junta militare, sebbene non sia stata una rottura definitiva della loro relazione diplomatica.
Vi è una crescente sensazione che la relazione ha bisogno di essere rivalutata per assicurare che essa sia basata sul rispetto reciproco e su obiettivi condivisi.
L’efficacia degli sforzi di miglioramento della sicurezza dipendono dagli sviluppi politici più ampi nella Regione, iniziando proprio dalle relazioni tra Mali e Niger. Dal colpo di stato militare in Mali guidato dal colonnello Assimi Goita nel maggio del 2021, il Presidente del Niger Mohamed Bazoum ha ripetutamente criticato le azioni dell’esercito del Mali, in talune occasioni utilizzando un linguaggio tutt’affatto diplomatico. Le tensioni sono aumentate nel settembre del 2022, quando il Niger ha sospeso il transito dei prodotti petroliferi verso il Mali, citando delle presunte ragioni di sicurezza a causa della minaccia jihadista. In risposta il primo ministro ad interim del Mali, il colonnello Abdoulaye Maiga, ha utilizzato ciò che è stato definitivo come un linguaggio provocatorio “pas être nigérien” riferito a Bazoum durante un suo discorso all’Assemblea generale delle Nazioni Unite lo stesso mese.
Gruppi armati non statali hanno sfruttato e sfruttano la frontiera porosa tra i due Paesi per condurre attacchi, mentre i conflitti intracomunitari hanno causato violenza e dislocazione in entrambi i Paesi. Malgrado sforzi congiunti le operazioni militari di entrambi i Paesi contro questi gruppi sono state complicate da risorse, addestramento e coordinazione inadeguati.
Le recenti tensioni tra il Niger ed il Mali hanno iniziato a minare il quadro del G5 Sahel Joint Force, creato nel 2014 per migliorare la collaborazione tra i cinque Paesi regionali: Burkina Faso, Chad, Mauritania in aggiunta al Mali e Niger, per affrontare le condivise sfide di sicurezza. Il quadro ha ricevuto un sostanziale sostegno dai partner internazionali come la Francia, l’Unione Europea, le Nazioni Unite. Per essere efficace, esso conta sulla fiducia e sulla coooperazione entrambe limitate, negli ultimi mesi, tra Mali e Niger. Detto ciò il G5 Sahel Joint Force ha limiti suoi propri, incluso le sfide logistiche e la mancanza di risorse e le sue operazioni congiunte sono state accusate di compiere abusi di diritti umani. Tutto ciò evidenzia il fatto che qualsiasi soluzione efficace per la crisi di sicurezza nel Sahel richiederà più di una risposta unicamente militare.
Per migliorare la sicurezza nel Sahel, gli Stati regionali e i loro partner internazionali devono affrontare le cause sottostanti la crisi. Ciò implica affrontare la povertà, l’ineguaglianza, la governance, che alimentano le ideologie estremiste e le attività criminali. Inoltre, sarà necessario per gli Stati regionali e le organizzazioni lavorare in maniera collaborativa con le comunità locali e le organizzazioni della società civile, che possono fornire delle comprensioni di valore circa i bisogni e le preoccupazioni della popolazione ed aiutare a costruire la fiducia e la legittimità per gli interventi di sicurezza.
In breve, il miglioramento del coordinamento di sicurezza nel Sahel richiede un approccio complesso, vario, sfaccettato che affronta le cause alla radice dell’insicurezza mentre fa leva sui punti di forza delle operazioni militari congiunte, sulla condivisione di intelligence e sul coinvolgimento della popolazione. Nessuno di questi sarà possibile, tuttavia, se la mancanza di fiducia ed il risentimento (tra la Francia e gli Stati regionali) e tra gli Stati regionali stessi mutila la comunicazione e la cooperazione necessarie perché un tale sforzo sia di successo.
Nella misura in cui le partnership europee di sicurezza in Mali e Burkina Faso sono state terminate dalle junta militari i cui ufficiali sono stati addestrati attraverso i programmi di assistenza degli Stati Uniti ha condotto ad una rivalutazione a Bruxelles e a Washington a proposito del loro coinvolgimento strategico con la regione. Già prima del coup in Niger, il governo francese aveva deciso di tagliare massicciamente il numero delle sue truppe in Gabon, Senegal, Costa d’Avorio.

Russia e Cina – come dicono gli inglese in a nutshell

Mentre la Russia ha la capacità militare di essere a “prova di coup” dei regimi autoritari e sfruttare le industrie di esportazione basate sulle risorse, come le miniere, l’incapacità dei mercenari russi di ridurre l’espansione jihadista nel Mali indica che Mosca non ha la capacità di sconfiggere gli estremisti violenti vicino alle frontiere.

E mentre l’investimento cinese ha avuto un grande impatto sullo sviluppo delle economie attraverso tutta l’Africa, Pechino ha mostrato poco interesse nel creare delle strutture strategiche di cui avrebbe bisogno come garante della sicurezza nel continente.

Aprile 29 2016

Boko Haram: l’erba cattiva non muore mai

Boko Haram

Boko Haram, come altre organizzazioni simili, ha in sé una sorta di genialità: avanzare verso obiettivi politici attraverso il raggiungimento di enormi effetti psicologici con il minor investimento di risorse possibile.

In realtà quello che aiuta questi gruppi nel recuperare dalle sconfitte militari è la mancanza di attenzione che si dedica alle questioni principali che li sottendono e li fanno crescere.

Verso la fine del marzo di quest’anno, in Italia, rimbalza su tutti i mezzi d’informazione un video in cui Boko Haram dichiara di arrendersi. Chiaramente malgrado la stampa internazionale abbia deciso di non diffondere il video in attesa della conferma dell’autenticità dello stesso, in Italia si dice sempre di tutto. Il gruppo estremista però non tarda a diffondere un video in cui dichiara che non si arrenderà mai. Quest’ultimo video non viene peraltro diffuso in Italia, tanto per lasciare il pubblico nella confusione.

Chi è Boko Haram?

Eccovi una scheda riassuntiva.

Boko Haram

 

Boko Haram è ancora una minaccia

Malgrado i rapporti che dicono che Boko Haram sia stato allontanato da tutti i territori che controllava all’inizio del 2015, il gruppo continua a porre una seria minaccia alla sicurezza delle popolazioni dei quattro paesi attorno al lago Chad: Nigeria, Niger, Camerun e Ciad. Le organizzazioni internazionali hanno difficoltà ad accedere alle aree dei 26 governi locali nel nord Adamawa, sud Borno e est Yobe, più del 30%  della nord est rurale della Nigeria, a causa della persistente presenza dei militanti di Boko Haram.

Oggi Boko Haram assomiglia più ad un’impresa criminale piuttosto che a un gruppo jihadista. Coloro che vivono nei territori controllati dal gruppo, dichiarano che molti degli appartenenti all’organizzazione estremista conoscono solo in maniera rudimentale l’ideologia del gruppo stesso. Radicato nell’influenza, sin dal 2009, del nuovo leader Abubakar Shekau, questa metamorfosi è iniziata con l’espulsione nel 2013 di jihadisti dalle roccaforti urbane a Borno ad opera del personale di sicurezza nigeriano e di vigilanti indigeni conosciuti come Civilian Joint Task Force. In risposta Boko Haram ha iniziato a lanciare raid punitivi sulle comunità che sospettava appoggiassero i vigilanti. Boko Haram si è trovato ad operare in città e villaggi le cui popolazioni non erano musulmane e neanche mosse da visioni di un violento Islam come quelle del gruppo. Per cui Boko Haram ha dovuto ricorrere sempre di più a incentivi materiali, coercizione, rapimento dei minori per riempire i suoi ranghi, cambiando fondamentalmente la composizione del movimento. Malgrado il loro territorio invaso e le linee di comunicazione compromesse, le figure più anziane del gruppo sopravvissute sono ancora attive e per la maggior parte si sono ritirate nei boschi. Lì pare che abbiano abbandonato tutte le pretese di essere impegnati in una guerra santa, saccheggiando le comunità rurali lasciate senza la protezione dell’esercito nigeriano.

La visibile assenza di un fervore ideologico tra i combattenti di Boko Haram non presagisce necessariamente la caduta del gruppo. Esiste ancora un cuore jihadista determinato a portare avanti la sua lotta contro la Nigeria ed i suoi vicini. Al di là di questi fanatici ci sono numerosi ribelli che, mentre forse non sono interessati nel condurre il jihad, restano fedeli all’alto comando di Boko Haram. Le unità individuali di Boko Haram godono di un grado di autonomia operativa che gli permette di conservare la loro coesione e le capacità militari anche quando isolate da gruppi militanti. La distruzione delle linee di rifornimento di Boko Haram ha creato delle sfide logistiche per il gruppo, anche se saccheggiare le comunità vulnerabili ha in qualche modo mitigato questo fatto. E malgrado le recenti sconfitte, Boko Haram non ha sofferto di defezioni in larga scala. Questo ci suggerisce che i militanti di Boko Haram conservano un senso di solidarietà di gruppo oppure che hanno paura di violente rappresaglie da i loro compatrioti o dalle forze di sicurezza nigeriane.

La locazione dei rifugi di Boko Haram, particolarmente la foresta Sambisa, lago Ciad, le montagne Mandara lungo la parte nord della frontiera Cameroon – Nigeria, presenta un grande ostacolo alle operazioni per contrastarli ed eliminarli. Nel loro inaccessibile territorio, queste aree hanno ospitato a lungo gruppi che cercano di evitare il controllo dello stato, sette islamiche dissidenti, tribù, banditi.

A pagare il prezzo sono le comunità distrutte

Per le comunità distrutte, abbandonate a sé stesse nel migliorare i fattori socio – economici, sarà impossibile ricostruire la loro vita, soprattutto se continua la depredazione ad opera di Boko Haram.

La presidenza Buhari è appesa a due minacce: Boko Haram e la corruzione che sottrae linfa vitale alle fondamenta del governo nigeriano e alla società.  Tuttavia, avendo fallito nel riconoscere i due fenomeni e le loro connessioni ci sembra che abbia esigue possibilità di successo.

Mettere in sicurezza il nord – est richiede un livello di presenza dello stato senza precedenti nella regione. Presenza che l’amministrazione Buhari non sembra dare, a parte aver dichiarato che Boko Haram è stato sconfitto, ed esprimere il desiderio di iniziare a ricollocare più di 2 milioni di Internally Displaced Persons, anche se molto del nord est non è colpito dal conflitto. Buhari con la sua pressione sugli aspetti militari del contro – estremismo sta facendo lo stesso errore degli americani che uccidono i combattenti, che sono il sintomo e non la malattia.

Curare il sintomo e non la malattia

Il principale elemento chiave sottostante a Boko Haram è la corruzione.  Un decennio di ricerca sulle motivazioni dei gruppi estremisti dimostra che la povertà non è correlata alla probabilità di unirsi a queste tipologie di gruppi. Una governance inefficiente, l’ingiustizia, specialmente quando combinate con profonde fratture sociali, sono invece motivazioni che spingono gli individui a far parte di queste organizzazioni.

A marzo 2016, il Benin annuncia che contribuirà con 150 soldati alla Multinational Joint Task Force (MJTF), una coalizione dell’Africa occidentale la cui missione è quella di combattere Boko Haram. La Task Force ha approssimativamente un totale di 9,000 truppe, ciononostante è un appoggio primariamente politico piuttosto che un gruppo militare integrato. Le forze armate nazionali perseguono le loro campagne: esplicitamente supportano la narrativa della cosiddetta “soluzione africana ai problemi dell’Africa”, ma implicitamente facilitano il coinvolgimento occidentale nella battaglia contro Boko Haram, spesso su base bilaterale. L’approccio regionale rafforza anche le posizioni politiche di governanti autoritari nella regione.

La MNJTF resta una buona idea in principio: Boko Haram è diventato un problema regionale; tuttavia da un punto di vista politico rimane un’ennesima distrazione rispetto alle situazioni e problematiche oggettive dell’Africa Occidentale.