Aprile 27 2017

Francia: il risultato del primo turno delle presidenziali oscura tanto quanto rivela

Francia

Uno sguardo più da vicino al risultato del primo turno delle presidenziali francesi ci rivela un paese che è, per la maggior parte, diviso equamente.

I 4 principali contendenti hanno offerto agli elettori una scelta cruda e chiara tra opzioni familiari per risolvere le sfide di lungo corso della Francia.

Separati da 4 punti percentuali, dividendo essenzialmente l’85% del voto, le opportunità di chiarimento che offrivano le scelte dei candidati si sono palesate in un risultato che ha confuso le acque.

Questo vuol dire che se Macron dovesse vincere il secondo turno, come ci si aspetta, le sue visioni per realizzare efficacemente il suo programma sono lontane dall’essere certe. Sebbene sia difficile costruire una formazione politica  per le elezioni parlamentari (che si terranno a giugno) da un canovaccio, i numeri non garantiscono che governerà con una maggioranza, complicando ulteriormente i suoi sforzi. Molto quindi dipenderà dalla sua abilità di comporre una coalizione con cui lavorare tra il centro moderato della Francia, sia da destra che da sinistra, una proposta questa che è stata storicamente perdente a causa della cultura politica francese.
I maggiori temi di questa elezione erano, data la resistenza alle riforme dei francesi, gli stessi delle due precedenti elezioni presidenziali: un’apatica economia caratterizzata da un’alta disoccupazione strutturale, particolarmente tra i giovani; un sistema di social welfare eroso; una frustrazione della popolazione rispetto alle prerogative di Bruxelles, esacerbata dai limiti sul budget imposti dall’UE ed un senso di essere assediati da un mondo ostile che minaccia l’identità del popolo francese attraverso l’immigrazione e, più recentemente, la loro sicurezza attraverso il terrorismo.

L’asse orizzontale e quello verticale della politica francese

I 4 contendenti che si sono sottoposti al voto domenica scorsa rappresentavano gli archetipi di 4 poli che meglio schematizzano il panorama contemporaneo politico francese e di molta dell’Europa: un asse orizzontale della sinistra e destra tradizionale e un nuovo asse verticale che rivela una visione internazionalista della Francia che è integrata nell’Europa e nel mondo contro un trincerato nazionalismo che tradizionalmente faceva appello all’estrema destra, ma che ha sempre di più vinto su molti tra la classe operaia di sinistra.
Sul fronte tradizionale di estrema sinistra, Jean-Luc Melenchon ha argomentato come la Francia dovesse uscire dalla depressione economica attraverso massicce assunzioni nel settore pubblico e l’espansione del sistema francese di social welfare. Sul fronte conservatore di destra, il candidato repubblicano Francois Fillon ha offerto un programma ugualmente archetipico di severa austerità, promettendo un taglio di 100 miliardi di euro dal budget e di mezzo milione di posti di lavoro nel settore pubblico in 5 anni.

Tra i due estremi c’è Macron

Tra questi due estremi c’è Macron, che ha descritto il suo stesso programma come né di destra né di sinistra. Egli promette di imporre una disciplina fiscale, ma più graduale rispetto a quella proposta da Fillon, investendo nella crescita attraverso la modernizzazione. Egli asserisce che la vita politica francese deve essere rinnovata, ma non va così lontano come Melechon che si è spinto fino a prospettare l’inizio di una “sesta Repubblica”

Le proposte di Macron sono moderate, riforme social democratiche  di un tipo che non avevano mai ottenuto abbastanza consenso popolare in Francia per essere realizzate con successo. Il risultato è stato una serie infinita di tiepide, annacquate riforme che non hanno soddisfatto nessuno e non hanno posto rimedio alle persistenti malattie economiche  francesi.

Sebbene gli elettori moderati compongano una significativa pluralità dell’elettorato, la Francia ha un profondo sospetto per il centro (politico).

Dove Macron si distingue è nel asse verticale della politica francese. Ha sinceramente sostenuto l’UE, appoggiando la decisione impopolare della Merkel, nel 2015, di aprire il paese ai rifugiati e ai migranti. È stata una dimostrazione di coraggio politico, in un tempo in cui Bruxelles è diventata il parafulmine della rabbia, frustrazione e del risentimento popolare.

La Le Pen invece sfida questo risentimento, asserendo di rappresentare il polo pro-sovranità dell’asse verticale, offre un programma di nazionalismo economico e politico, che comprende un giro di vite sull’immigrazione; l’uscita dall’UE e dall’Euro.

In contrasto con Fillon, la Le Pen abbraccia un generoso modello di social welfare, ma solo per i cittadini francesi. Similmente promette di introdurre una preferenza “nazionale” nelle assunzioni e per i contratti pubblici.

Gli immediati sostegni che Macron ha ricevuto dal tutto lo spettro politico dopo il turno elettorale di domenica scorsa hanno dato peso all’accusa di una classe politica indistinguibile. Se fosse stato così semplice, il compito di Macron sarebbe facile, ma non lo è.

I francesi hanno un profondo sospetto per il centro politico, che molti percepiscono come mancante di identità e di sicurezza.

In Francia l’ultimo centrista eletto Presidente della Repubblica risale al 1974

L’ultimo centrista eletto Presidente era Valery Giscard d’Estaing nel 1974 ed è stato in carica solo per un mandato. Francois Bayrou, che ha sostenuto Macron, è andato vicino al secondo mandato nelle elezioni del 2007 su un simile programma – fiscalmente responsabile, con la mente alle riforme e pro- europeo – ma alla fine non fu all’altezza.

In quel momento storico, tuttavia, la minaccia del Fronte Nazionale non era così urgente, il partito social democratico non era sufficientemente debole, da rendere l’offerta di Bayrou necessaria. Prima del secondo turno, Bayrou offrì il suo sostegno al candidato del partito social democratico Segolene Royal, che avrebbe significato una coalizione centrista. I “royalisti” si rifiutarono e andarono avanti per perdere contro Nicolas Sarkozy.

Oggi: la situazione in Francia dei principali partiti

La situazione della Francia e dei suoi principali partiti, oggi è drammaticamente differente. Il Fronte Nazionale è ai cancelli del Palazzo dell’Eliseo. Il Partito socialista è essenzialmente su un destino di morte. E l’unica cosa che impedirebbe un bagno di sangue tra gli egualmente divisi repubblicani è l’opportunità di passarsela bene e magari emergere con una maggioranza nelle elezioni parlamentari previste per giugno. Questo lascia un’apertura per Macron e il suo nuovo brand di centrismo, dovesse essere in grado di raggruppare una coalizione in parlamento di persone che la pensano similmente.

La stessa apertura vale per i molti ego ambiziosi e opportunisti che, vedendo una finestra di opportunità nel panorama politico instabile francese, cercheranno di bloccare Macron.

Aggirando una struttura stabilita di partito, Macron ha reso un’elezione presidenziale un “incontro tra un uomo e un popolo” come disse Charles de Gaulle.

Tuttavia con gli elettori francesi così equamente divisi e il sistema partitico francese attuale che è pericolante, Macron non sarà il solo politico a camminare per i corridoi del potere in cerca di incontri con il popolo francese.

Dicembre 8 2015

Le elezioni in Venezuela e in Francia: il populismo non dura per sempre

populismo

Le Pen, come Chavez prima di lei, nutrono la speranza che elettori ansiosi siano la facile risposta per tutti i problemi. Le elezioni in Venezuela ci servono come promemoria: la governance populista alla fine delude e raramente fa sopravvivere il suo leader carismatico.

In Venezuela, l’ opposizione vince le elezioni parlamentari. In Francia, il partito di Marine Le Pen, il National Front  (FN) arriva al punto più alto nel primo round delle elezioni, per i governi regionali, confermando l’ingresso del partito nella tradizione della politica francese.

Cambiamenti storici

Questi risultati riflettono, tuttavia, cambiamenti storici, non solo in politica, ma anche nello stile della politica. La sconfitta del PSUD in Venezuela, che viene dopo l’elezione di Mauricio Macri a presidente dell’Argentina, ci rivela la fine di 15 anni di dominazione della sinistra in Sud America.

L’impressionante risultato ottenuto da FN può essere visto sia come un segno di attenzione per la Francia che per l’Europa: i loro partiti tradizionali di centro – sinistra e centro – destra sono attaccati al respiratore ed hanno disperatamente bisogno di nuove idee e nuovi approcci. Pur tuttavia, laddove il Venezuela ha votato per cambiare pagina rispetto allo stile populista di Chavez, l’ascesa di Le Pen in Francia ci illustra il grado in cui il populismo ora pone una seria sfida all’ortodossia del liberalismo politico che è emerso nel periodo immediatamente successivo alla Guerra Fredda.
In questo, Chavez fu come un precursore, irrompendo nella scena politica nel 1998, come una caricatura dell’anti – liberale, uomo forte anti – americano, in un tempo in cui la democrazia liberale e l’ordine globale unipolare guidato dagli Stati Uniti, erano in ascesa. Successivamente scrisse diverse pagine di politica che descrivono come abbinare la “cattura” di uno stato alle riforme costituzionali graduali per raggiungere un insidioso autoritarismo democratico, un modello che fu copiato con successo in Boliva, in Ecuador e in Nicaragua.
Il suo modello di riduzione della povertà, tuttavia, faceva affidamento troppo sull’intervento dello stato, piuttosto che su riforme strutturali e una durevole redistribuzione della ricchezza. Questo modello diventato insostenibile ebbe la conseguenza di una frattura profonda nell’ economia del paese che diede il via ad una disaffezione popolare. E’ proprio quest’ultima che ha deciso il risultato delle elezioni del 6 dicembre 2015.
Il successo di Chavez ha cambiato le vite e migliorato il benessere sociale, al prezzo del liberismo politico. Il suo fallimento è utile per imparare la cautela nell’adozione di modelli alternativi di sinistre regionali, particolarmente per gli approcci più riformisti adottati in Brasile, Cile ed Uruguay.

Il rebrand di Marine Le Pen

In Francia, il partito socialista perde gli elettori della classe lavoratrice che si uniscono al FN, cosa che fa porre interrogativi sull’etichetta del partito come di “estrema destra”. Populista sarebbe una descrizione più adatta per Marine Le Pen, segnalando che, se la politica di Chavez è declinata, lo stile politico di Marine ci sembra essere passato sotto la ceretta di una bravissima estetista. Tuttavia anche la sua vittoria ci svela il declino verso l’ irrilevanza di partiti stagnanti, non solo di centro sinistra, ma anche di centro – destra. Entrambi hanno fallito nel fornire agli elettori i concreti benefici dell’Unione Europea così come è attualmente configurata. Non hanno neanche fornito l’Unione Europea di strumenti in grado di fronteggiare le crisi che hanno colpito il continente negli ultimi 6 anni. E’ la combinazione di questi fallimenti che spiega il successo del FN nelle recenti elezioni francesi e di partiti simili in tutta Europa negli anni recenti.
Il rimarchevole risultato del FN ha beneficiato dell’impatto degli attacchi terroristici del 13 novembre. Il FN si è sottoposto gradualmente e con successo ad un rebrand come un partito tradizionale in tutti i precedenti cicli elettorali.  Il primo turno elettorale per i governi regionali ha visto la sua vittoria; il secondo turno presumibilmente terrà il partito fuori dalla scena, eccetto che per qualche roccaforte. Per contro la vittoria di FN rivela molto circa le profonde fratture sociali ed economiche della Francia che la rendono quindi così vulnerabile agli appelli di demagoghi di tutti i generi, che sostituiscono facili panacee in un lento annoiarsi alla politica piuttosto che affrontare i difficili temi e l’assunzione di responsabilità compiendo azioni efficaci che la politica richiede.
Non soprende che Le Pen abbia usato una delle sue ultime dichiarazioni per avvertire che il FN è l’ultimo baluardo contro l’avvento della Shari’a in Francia. Dopo tutto il suo appello, come quello dell’ISIS in riferimento all’Islam, è alla nostalgia per la purezza di un passato inventato che è più come un mito che una vera storia. Se la Francia fosse una religione, Le Pen sta offrendo quello che sarebbe l’equivalente della sua Shari’a, una chiusura ortodossa della mente che inevitabilmente conduce alla chiusura delle frontiere. Le implicazioni per l’Europa sono ovvie.

L’Unione Europea è inadeguata.

L’inabilità dell’Unione Europea nel dirigere le crisi: dal debito greco alle ondate di rifugiati che arrivano sulle sue coste, riflette il fatto che esso è un edificio che era stato costruito per la pace e la prosperità, inadatto per un momento in cui piccoli e grandi conflitti letteralmente bussano alle sue porte. Invece di continuare a creare pazientemente i necessari meccanismi per la governance fiscale e monetaria, l’Unione dovrebbe  mettere in campo una sorta di meccanismo di gestione delle crisi che acceleri il processo decisorio quando si verificano eventi urgenti che hanno implicazioni per l’intero continente. La natura della politica dell’Unione Europea è laboriosa quando tutto va benissimo, per via dell’architettura istituzionale dell’Unione stessa. Gli svantaggi sono esacerbati nelle situazioni di crisi, dove la politica del rischio calcolato come tattica negoziale crea l’incentivo per fare leva sulle crisi per tornaconto politico piuttosto che risolverle.

Il populismo non dura per sempre

Le elezioni in Venezuela e in Francia sottolineano anche che le strategie adottate sia in Sud America che in Europa hanno fallito nel trarre vantaggio dagli anni di crescita e prosperità per prepararsi all’inevitabile declino dell’economia di cui fanno esperienza ora. Ci mostrano soprattutto che il populismo, il nutrire la speranza che gli elettori siano sempre guidati dall’ansia, dall’incertezza, che si sentano minacciati, non dura per sempre ed anzi la frustrazione che si genera successivamente proprio in questi stessi elettori, condannerà il populismo sacrificando proprio il suo leader carismatico.  Far leva sul senso di insicurezza delle popolazioni non risolve i problemi strutturali di uno stato, ed è questo che condanna il populismo.