Gennaio 13 2018

Il nemico del nemico. Il nemico interno nella galassia estremista islamica.

nemico

La Siria, l’Egitto, l’Iraq, lo Yemen, la Libia, la Nigeria, la Regione del Sahel, la Somalia, la Cecenia, le Filippine, la Regione Afghanistan-Pakistan hanno tutti subito operazioni ovvero attacchi ad opera di organizzazioni estremiste islamiche, di differente intensità, ma con una caratteristica comune: il nemico principale è il governo nazionale e i gruppi religiosi opposti.

Curiosamente, l’intensificazione della lotta jihadista contro sia obiettivi occidentali che governi nazionali nel mondo islamico si pone in correlazione con la comparsa del più importante esempio di contesa e di competizione intra-jihadista nei tempi moderni tra Al Qaeda e l’Islamic State (IS)

La categoria del nemico interno

La competizione jihadista ha sottolineato l’importanza di una categoria di nemico frequentemente trascurata: il nemico interno, in riferimento ad altri gruppi all’interno della corrente jihadista.
Sia per Al Qaeda che per l’IS il nemico interno ha assunto un’importanza crescente, tuttavia i due gruppi hanno affrontato questa delicata questione in molti modi diversi.

La competizione inter-gruppo ha colpito la gerarchia degli obiettivi del nemico delle due organizzazioni estremiste islamiche.

La contesa e la competizione tra gruppi jihadisti non è una situazione nuova. Donatella dalla Porta ci spiega che « le organizzazioni radicali, come altre organizzazioni politiche, mirano ad attrarre simpatizzanti attraverso struttura, azioni e cornici che sono appropriate per la propaganda. Nel fare ciò, le organizzazioni clandestine competono in un campo affollato di organizzazioni dove hanno la necessità di offrire di più dei loro competitori».

Dal 2014 in poi in quasi tutte le riviste di Al Qaeda e IS è stata pubblicata una condanna implicita o esplicita all’altro gruppo.

Agli occhi dell’IS, Al Qaeda aveva deviato dalla corretta metodologia jihadista di Osama bin Laden; i suoi membri venivano chiamati addirittura gli “ebrei del jihad” mentre venivano diffusi i poster di “wanted dead” che ritraevano Zawahiri e altre figure di spicco di Al Qaeda.

Dalla prospettiva di Al Qaeda, l’IS è un gruppo di estremisti che senza alcun diritto hanno rivendicato di essere i soli legittimi sostenitori del jihad senza alcuna autorità. Quando Al Qaeda, nel gennaio del 2014 ha stabilito AQIS (Al Qaeda nel subcontinente indiano) l’emergente competizione con l’IS sicuramente ha giocato un ruolo importante.

L’introduzione della categoria “nemico interno” nella gerarchia del nemico dei gruppi jihadisti è una testimonianza della natura competitiva ed esclusivista dell’attuale jihadismo. Essa ha spinto i gruppi jihadisti a trovare ragioni fondamentali che legittimassero la lotta contro attori che naturalmente e storicamente erano considerati alleati e, in casi estremi, ha anche comportato l’etichettare altri jihadisti come apostati.

I gruppi jihadisti solitamente, quando si tratta di affermare chi combattono, vengono rinchiusi in caselle e spesso le conclusioni a cui giungono questo tipo di classificazioni non sono il risultato di una ricerca approfondita.

Fino a poco tempo fa, Al Qaeda era conosciuta come il più noto sostenitore del jihad globale, mentre l’ISI (Islamic State in Iraq) era conosciuto semplicemente come il nemico vicino dei regimi locali.

La competizione intra-jihadista che è comparsa nei primi mesi del 2014 ha cambiato significativamente questa percezione stereotipata. Il risultato è stato un importante cambiamento nelle gerarchie del nemico di questi due  gruppi jihadisti.

La crescente “ibridizzazione” della gerarchia del nemico dell’IS ha avuto come conseguenza l’adozione da parte dell’organizzazione estremista di un forte focus sul nemico lontano (l’Occidente) sia nei discorsi che nell’azione.
La diminuzione dell’ “ibridizzazione” di Al Qaeda ha avuto come conseguenza che tale organizzazione si astenesse da attacchi contro l’Occidente, fatta eccezione per i discorsi.
Il nemico interno è diventato un obiettivo legittimo.

Chi offre di più?

Nella letteratura sul terrorismo, il concetto di “offrire di più” ha ricoperto un ruolo dominante nella teoria che spiega l’effetto della competizione tra i gruppi terroristici sul loro comportamento. La logica dell’offrire di più dimostra le capacità del gruppo, la dedizione e le intenzioni del gruppo agli altri gruppi.
La competizione si verifica quando gruppi che condividono un’ideologia (o quasi la stessa ideologia) iniziano a prendersi di mira l’un l’altro attraverso parole ovvero azioni o quando adottano nuove strategie ovvero tattiche determinate dal successo del gruppo rivale.
Sembra plausibile poter sostenere che la competizione tra Al Qaeda e l’IS è emersa realmente dal febbraio del 2014 in poi quando iniziarono a verificarsi delle lotte interne in maniera regolare.

La crescita dell’IS, senza dubbio ha influenzato come gli altri gruppi jihadisti, incluso Al Qaeda, vengono percepiti sia riguardo all’essere “estremisti” sia in termini di minaccia. Ciò ha rappresentato per Al Qaeda un’opportunità di posizionarsi in una luce positiva in contrasto alla barbarie dell’IS. Il rischio per Al Qaeda, tuttavia, è che sia superata e considerata obsoleta.

Dalla prospettiva della lotta per il potere all’interno del movimento jihadista globale, sembra che si siano attivati due meccanismi:

  1. per l’IS il processo di offrire di più inizia attorno al 2014 come modo per sfidare la supremazia di Al Qaeda. L’intensificazione di tattiche raccapriccianti come la registrazione video delle decapitazioni e il bruciare i prigionieri possono essere considerati esempi dell’offrire di più a livello tattico mentre il suo concentrarsi sempre di più su obiettivi internazionali equivale ad un offrire di più a livello strategico.
  2. Già preoccupata della sua immagine popolare molto prima della nascita dell’IS, Al Qaeda ha esitato a seguire l’esempio del suo competitore più violento, malgrado il suo iniziale successo, e si è bloccato su un approccio basato sulla diversificazione del rischio. Per diversificazione del rischio s’intende un approccio più conservatore per cui un attore si astiene dal prendere una posizione chiara con l’obiettivo di non compiere un errore futuro. Nel caso di Al Qaeda, come parte della sua mutata strategia si è per lo più astenuta dall’organizzare o dirigere attacchi in Occidente con l’obiettivo di vincere il sostegno delle popolazioni locali nelle sue aree di operazioni. Allo stesso tempo Al Qaeda continua a porre enfasi sull’Occidente nei suoi discorsi allo scopo di non perdere il supporto dalla sua base più radicale.

Quale nemico combattono?

Il nemico interno è una questione molto delicata sia da un punto di vista giurisprudenziale islamico, dal momento che riguarda l’illegalità di spargere sangue musulmano che dovrebbe essere evitato perché potrebbe dare luogo ad una dissidio interno (fitna), sia da una prospettiva strategica.

Combattere il nemico interno inteso come altri gruppi che sono considerati parte della comunità jihadista sunnita e che condividono in una qualche maniera una simile ideologia, è una circostanza che raramente si è verificata prima della contesa esplosa tra Al Qaeda e l’IS.

Le lotte interne tra i gruppi jihadisti si verificano ora su base regolare in Siria e  in altre aree dove entrambi i gruppi sono presenti. Ad esempio dopo aver annunciato la creazione della provincia Khorasan nel gennaio del 2015, l’IS ha iniziato a combattere contro i Talebani.

Il contesto

L’ideologia esercita un’influenza enorme nella definizione delle gerarchie nemiche, tuttavia è altrettanto importante  il contesto in cui questi gruppi si trovano.

Un elemento importante del contesto è il grado di dissenso intra-jihadista e la potenziale, successiva, competizione.
Il conflitto all’interno del movimento jihadista ha conseguentemente invaso e dominato le dinamiche del jihadismo sunnita.

Gli attacchi a Parigi del gennaio del 2015: uno ad opera dei fratelli Kouachi contro Charlie Hebdo e rivendicato da Al Qaeda e l’altro ad opera di Coulibaly, che giurava alleanza all’IS, sono interessanti in questo contesto dal momento che Coulibaly presumibilmente aiutò i fratelli Kouachi.

Ciò mostra che ci è voluto un po’ di tempo affinché la rivalità jihadista si manifestasse al di fuori della Regione del Medio Oriente. Una simile cooperazione oggi è altamente improbabile se non impensabile.

In conclusione:

In maniera interessante, le dinamiche che si sono scatenate dalla relazione competitiva all’interno del movimento jihadista hanno colpito enormemente la gerarchia del nemico sia in termini di scopo che di priorità e di categorie. Non solo l’IS ha superato Al Qaeda come principale perpetratore di attacchi in Occidente, ma la sua aggressività contro altri gruppi jihadisti ha dato vita all’introduzione di una nuova categoria estremamente delicata: il nemico interno.
Per l’IS il processo di “offrire di più” intra-jihadista ha condotto all’espansione strategica del focus sull’Occidente, il cosidetto “nemico lontano”; mentre per Al Qaeda la logica della diversificazione del rischio ha rafforzato la sua nuova strategia, già adottata, per vincere i cuori e le menti dei musulmani distanziandosi essa stessa dall’eccessiva violenza dell’IS.
Le gerarchie del nemico sono tuttavia dinamiche per cui la diminuzione degli attacchi di Al Qaeda in Occidente non deve portarci alla conclusione che esso non è più un gruppo jihadista globale, ma piuttosto deve condurci a considerare che le preferenze, le capacità, hanno subito, temporaneamente, un cambiamento come risultato di un contesto.

Giugno 24 2017

Jihadismo: comprendere il fenomeno dai suoi stessi termini

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L’obiettivo è quello di spiegare il jihadismo come fenomeno in se stesso, esaminando attentamente la natura e i contorni di tale movimento così come si è sviluppato nel corso del tempo e continua a svilupparsi. Per fare ciò è necessario conoscere il jihadismo nei suoi stessi termini, non in quelli di qualche altra rappresentazione.

L’etichetta “jihadista” è indicativa di un movimento riconoscibile nel moderno Islam sunnita. Lo “Stato islamico” ed Al Qaeda sono le sue principali espressioni organizzative, ma il movimento jihadista è molto più grande della somma di queste parti.

Il jihadismo è principalmente un’ideologia distinta da una particolare serie di idee elaborate da rinomati studiosi e ideologhi. È anche una cultura con la sua poesia, musica, interpretazione dei sogni.

Il principio cardine del jihadismo è abbastanza semplice: i regimi del Medio Oriente sono governati da apostati non credenti che devono essere rovesciati e rimpiazzati con un vero governo islamico.

Tuttavia l’ideologia va molto più in profondità di questo:

è un sistema di pensiero grandemente sviluppato con radici che affondano in alcuni aspetti della tradizione islamica. Gli jihadisti sono profondamente intolleranti verso i musulmani che non condividono le loro visioni, inclusi gli islamisti sunniti come i Fratelli Musulmani e Hamas.

Dagli attacchi dell’11 settembre 2001, la tendenza in occidente è stata di parlare di jihadisti in termini che non sono i loro propri. I dibattiti si sono concentrati su “terroristi” ed “estremisti violenti”, “islamisti”, “islamisti estremisti”.

L’errore occidentale

Vediamo quali sono i risvolti negativi nel concentrarsi nell’utilizzo di termini come “guerra al terrore” e di tutte le sue derivazioni.

Prima di tutto, il terrorismo non è un avversario nel senso militare. È una tattica violenta utilizzata da tanti tipi di attori. Un paese può essere in guerra con i terroristi ma non con il terrorismo, e sicuramente non con il terrore.

Un secondo lato negativo è che il terrorismo è difficile da definire e incline alla politicizzazione. Mentre il significato basilare potrebbe essere “una violenza politicamente motivata condotta da attori non-statali e intesa a infondere la paura”, non esiste una definizione univoca basata sul consenso della comunità internazionale.
A titolo di esempio il Routledge Handbook of Terrorism Research elenca 250 definizioni proposte da vari ricercatori, governi e organizzazioni. Come si nota nel manuale, il concetto di terrorismo è stato politicizzato a un tale grado che è praticamente senza significato. È evocato da governi per delegittimare un nemico, per radunare membri attorno ad una causa, per mettere a tacere o plasmare il dibattito politico e raggiungere agende differenti. Questo è assolutamente vero nel Medio Oriente. Bashar al-Assad, come è noto, si riferisce a tutti i suoi oppositori locali nella guerra civile con il termine “terroristi”.

Nel contesto del jihadismo, l’idea di terrorismo porta con sé altri due importanti aspetti negativi.

Il primo è che il terrorismo non è la ragione d’essere dei jihadisti. Il terrorismo è meramente una tattica nel paniere degli strumenti dei jihadisti per raggiungere i loro obiettivi più ampi. (paniere che include la conquista di territori e la formazione di uno Stato).

In secondo luogo, i jihadisti alle volte sono orgogliosi della parola terrorismo (tradotta in arabo irhab), dal momento che si presenta nel Corano in un passaggio a proposito della guerra. Nel verso pertinente (8:60), Dio incoraggia i primi musulmani ad inspirare timore nei loro nemici: “e siate pronti per loro con qualsiasi forza e serie di cavalli che potete per terrorizzare in tal modo il nemico di Dio e il vostro nemico, e altri tra loro di cui voi non sapete, ma che Dio conosce”. I jihadisti sostengono che perciò l’Islam non solo permette il terrorismo, ma che lo incoraggia. L’etichetta terrorista può essere indossata come un distintivo d’onore.

Estremismo violento

Cosa vuol dire estremismo violento?
Concettualmente, “estremismo violento” patisce la genericità. Mentre i suoi promotori correttamente pongono l’enfasi sull’ideologia, sono stati sempre riluttanti nel concentrarsi su un’ideologia in particolare. In questo modo il concetto di “estremismo violento” comprende una vasta gamma di attori sgraditi, dagli estremisti di estrema destra agli eco-terroristi, ai jihadisti. Spesso questo concetto suggerisce che coloro che sono stimolati all’estremismo violento siano mentalmente instabili, socialmente disconnessi o delusi. Sebbene questi fattori siano importanti, in linea di massima il jihadismo non dovrebbe essere visto come un movimento deteriorato razionalmente. Esso ha una ideologia coerente e logica e richiama ampiamente i sani. Non è irrazionale, un radicalismo amorfo.

Islamismo

Islamismo è un termine onnicomprensivo di una varietà di movimenti politici islamici moderni. Non può essere messo allo stesso livello con il jihadismo.

Tutti i jihadisti sono islamisti, ma pochi islamisti sono jihadisti.

Islamismo si riferisce a quei movimenti che cercano di accrescere in una qualche maniera il profilo politico dell’Islam, solitamente attraverso l’ “implementazione della sharia” o legge islamica. Malgrado l’accordo su questo obiettivo generale, gli islamisti discordano ampiamente.

La maggior parte, per esempio, sono favorevoli a lavorare nel moderno quadro di nazione-stato, che solitamente significa partecipare alle elezioni. I Fratelli Musulmani egiziani e il partito giustizia e sviluppo turco sono esempi di movimenti sunniti islamisti che hanno avanzato i loro interessi attraverso il mezzo delle urne elettorali. Ci sono anche esempi di tendenze autocratiche di questi movimenti.

Il punto basilare è che islamismo non è un fenomeno indifferenziato.

Il Jihadismo è una  sotto-categoria dell’islamismo sunnita con un approccio unico alla religione e alla politica.

L’identità jihadista è definita in opposizione all’islamismo convenzionale dei Fratelli Musulmani e del AKP. I jihadisti considerano questi gruppi profondamente fallaci nella metodologia e nella fede, troppo tolleranti nei confronti dei musulmani “ribelli” come gli sciiti e i governanti autocrati ritenuti eretici e troppo favorevoli a lavorare nelle strutture statali per raggiungere i loro obiettivi.

L’approccio dei jihadisti è fissato proprio in contrapposizione a queste imperfezioni: un monoteismo rigido, con un impegno incrollabile per la lotta armata, o jihad, contro lo Stato e tutti coloro che sono ritenuti non credenti. Questo rifiuto è il loro marchio, inquadrato attorno al credo del monoteismo e alla metodologia del jihad.

Breve storia della nascita del movimento jihadista

Il movimento jihadista attuale può essere tracciato a partire dal 1960, in Egitto. Una repressione nei confronti dei Fratelli Musulmani iniziata negli anni ’50 ha dato vita a spaccature radicali ispirate dagli scritti di uno dei leader della Fratellanza: Sayyd Qutb.

Prima della sua esecuzione nel 1966, Qutb formula una versione più rivoluzionaria ed elitaria del pensiero della Fratellanza. Influenzato dalle idee dell’indo-pakistano Abu al-A’la Mawdudi, Qutb asseriva che la moderna società islamica era regredita a jahiliyya, un termine coranico che indica l’età dell’ignoranza e dell’idolatria che prevaleva in Arabia prima della crescita dell’Islam nel diciassettesimo secolo. I musulmani hanno cessato di essere veri musulmani per aver fallito di attribuire la sovranità a Dio e, secondo Qutb, hanno attribuito la sovranità ad altri esseri umani, impegnandosi in pratiche innovative come tenere elezioni, formare parlamenti e approvare leggi non rivelate da Dio.
La corrente principale dei Fratelli Musulmani si distanziò dalle visioni di Qutb, ma il pensiero di quest’ultimo influenzò le formazioni che si erano staccate dalla Fratellanza negli anni ’60 e ’70. Una di queste fu il Gruppo Jihad che assassinò il presidente Anwar Sadat nel 1981 in un atto che segnò un altro importante cambiamento ideologico.

Assassinio del presidente egiziano Anwar Sadat come cambiamento ideologico.

Questo accadimento segnò l’inizio dello sviluppo di una dottrina di jihad come ribellione contro governanti del tipo di A. Sadat, delineata dal leader del “gruppo jihad” Abd al-Salam Faraj. In un suo breve libro “l’assenza dell’impegno”, Faraj articola un razionale giuridico per il jihad rivoluzionario radicato nella nozione tradizionale del jihad difensivo.

Nel discorso giuridico tradizionale sunnita islamico, il jihad si articolava in due tipologie: jihad offensivo (jihad al-talab) e difensivo (jihad al-daf’). Il jihad offensivo era inteso come un dovere collettivo; fin quando alcuni sono impegnati in esso, il resto è esentato dall’esserlo.

In circostanze ideali, un califfo procedeva al jihad offensivo almeno una volta all’anno allo scopo di espandere le frontiere della fede.

Il jihad difensivo era considerato un dovere individuale che spettava a tutti i musulmani di robusta costituzione; quando il regno dell’Islam era sotto attacco esterno, tutti erano obbligati ad andare in difesa della comunità.

Faraj presentò la resistenza al governo egiziano come jihad difensivo, asserendo che dal momento che il presidente non governava attraverso la legge di Dio, il suo stato era quello di un aggressore infedele. Si affidava ad una serie di fatwa dello studioso Ibn Taymiyya, che famosamente giudicò i leader mongoli che invasero il Medio Oriente come non credenti per non essere riusciti a governare in armonia con la legge di Dio.

Faraj applicò la stessa logica all’Egitto moderno e questa è stata la base per la violenza jihadista contro i governi locali da allora in poi.

L’ultimo sviluppo ideologico è stata l’adozione da parte dei jiahdisti dei principi del salafismo, un movimento purista nell’Islam sunnita associato con Ibn Taymiyya e con il movimento wahhabita in Arabia, che risale alla metà del diciottesimo secolo. Il salafismo ha portato al movimento jihadista un punto fondamentale sul credo corretto: monoteismo stretto e intollerante, elaborato da Ibn Taymiyya e dai wahhabiti. Con questo movimento purista giunge il requisito della scomunica (takfir) dei musulmani che hanno visioni in contrasto con la teologia salafita.

Il salafismo jihadista fornì il quadro all’interno del quale il terrorismo contro l’occidente fu teorizzato e giustificato. Cospirazioni e attacchi come quello del 9/11 erano concepiti come parte di un piano più grande per rimuovere i governanti “apostati” nella regione.

La spaccatura all’interno del movimento jihadista.

Il movimento jihadista è sembrato piuttosto unito prima della crescita dell’IS nel 2013. Organizzativamente, al-Qaeda sembrava al commando con un sostegno ampio nel movimento con il controllo di rami locali dal Nord Africa allo Yemen.
La spaccatura tra AQ e IS iniziò nel 2014  anticipata da dispute precedenti tra i jihadisti.
La divisione basilare appare nella prima decade del 2000 in Iraq. Abu Mus’ab al-Zarqawi  con una rigida inclinazione dottrinale, era a capo del gruppo che nel 2004 diventa al Qaeda in Iraq. Malgrado il giuramento di fedeltà ad AQ, Zarqawi era in contrasto con esso in molte maniere. Il suo più grande rigore dottrinale era la visione degli sciiti iracheni come politeisti, concezione che alimentò una guerra civile sunnita-sciita attraverso una violenza settaria di massa.

Malgrado la leadership di AQ redarguì più volte Zarqawi egli ignorò gli ordini e proseguì nella sua strada.

Le stesse questioni di teologia e violenza ricomparvero pochi anni più tardi quando l’IS in Iraq annuncia l’espansione in Siria, nella primavera del 2013. L’annuncio del suo leader Abu Bakr al-Baghdadi di proclamare lo Stato Islamico di Iraq e Siria e l’intenzione di incorporare il gruppo jihadista siriano Jabhat al-Nusra fece accelerare la frattura con AQ. Benchè Zawahiri (leader di AQ) avesse impartito precise istruzioni a Baghdadi di restare in Iraq, il leader del IS rispose che Zawahiri non aveva autorità sulla sua organizzazione e non l’avrebbe mai avuta. L’anno successivo Baghdadi annuncia il ritorno del califfato rinominando il suo gruppo “Stato islamico” e affermando la giurisdizione globale su tutto il mondo musulmano.
Nel 2014 e 2015 le divergenze tra i due gruppi crescono. Con l’aumento dei livelli di violenza dell’IS, alcuni di essi diretti contro AQ stessa, Zawahiri – assieme a molti studiosti jihadisti, denunciano l’IS come estremisti o Kharijites, in riferimento alle prime sette radicali nell’Islam. L’IS risponde etichettando AQ e i suoi sostenitori come “gli ebrei del jihad”. La divisione diventa incolmabile.

Contrastare il jihadismo

Il jihadismo non può e non deve essere confuso con l’Islam in generale. Neppure dovrebbe essere confuso con il più grande fenomeno dell’Islamismo. È un movimento distinto, non solo discernibile, ma anche cosciente e orgoglioso della sua separazione. Sebbene i jihadisti ammettano adesso delle divisioni, il jihadismo pone ancora una sfida unica e pressante. Esso è rivoluzionario, sostenuto da un fervore ideologico, è ha visto una tremenda crescita nella passata decade e mezza.
In termini di seguito numerico, i progressi del jihadismo sono veramente sorprendenti.
I numeri esatti sono difficili da determinare, ma gli aderenti al jihadismo si possono contare in decine di migliaia concentrati negli Stati arabi. Questi numeri includono anche coloro che scelgono di non imbracciare le armi da subito, preferendo un ruolo di sostegno da casa, ad esempio.

Sarà una lunga lotta quella contro il jihadismo, ma è necessario avere come punto di partenza la comprensione del nemico nei suoi stessi termini.