Gennaio 2 2023

Iran, potere e Medio Oriente

Groviglio Iran Arabia Saudita Medio oriente


Le tensioni in Medio Oriente sono all’improvviso aumentate quando Riyadh si è allineata con Mosca per mantenere alto il prezzo globale del petrolio, malgrado la pressione da parte di Washington di aumentare la produzione.
Con il recente fallimento del cessate-il-fuoco, la guerra civile in Yemen continua ad alimentare una delle peggiori crisi umanitarie del mondo. La guerra civile che si protrae da 11 anni in Siria è entrata in una fase finale senza fine, che sebbene sia meno sanguinosa, rimane volatile.
La Libia ha visto una pausa nella sua guerra civile da quando è stato reso esecutivo il cessate-il-fuoco nell’ottobre del 2020 ed è stato nominato un governo transitorio nel marzo del 2021, ma la transizione politica verso le elezioni è in un impasse sempre più teso.
Soprattutto, l’assenza del combattimento in questi Paesi non garantisce che ci sia una pace duratura.
Nel frattempo, il più recente ciclo di combattimenti tra Israele ed Hamas nel maggio del 2021 è servito come promemoria che il conflitto tra Israele e Palestina non può semplicemente sparire per magia con l’aiuto delle potenze regionali e degli Stati Uniti.

Politica interna ed estera del Medio Oriente


La situazione politica nel Medio Oriente è in mutazione continua. Le proteste di massa nel 2019 hanno deposto un governante di lungo termine in Algeria e innervosito i governi del Libano e dell’Iraq, facendo balenare speculazioni su una nuova Primavera Araba, prima che la pandemia di COVID ponesse un arresto a questi movimenti popolari. La pandemia ha inizialmente condotto anche al declino dei prezzi energetici globali che ha minato ulteriormente la sostenibilità di molti modelli di guadagni basati sul petrolio di Stati del Golfo, sebbene la guerra in Ucraina ha causato l’innalzamento dei prezzi. Le potenze regionali stanno traendo vantaggio dalla competizione delle grandi potenze per diversificare il loro portfolio di alleanze internazionali.

Iran: La resistenza del regime al cambiamento

Il primo anno di presidenza Raisi ha visto importanti proteste da parte degli agricoltori, insegnanti. Per anni hanno chiesto al governo di affrontare i loro problemi legati alla distribuzione ineguale dell’acqua, salari bassi o non retribuzione. Le autorità hanno resistito fino a quando le proteste non hanno assunto la forma di manifestazioni di piazza. Solo dopo il governo ha parzialmente soddisfatto le loro richieste mentre disperdeva violentemente i dimostranti.
Questo approccio è la risposta automatica della classe dirigente iraniana al potere alle pressioni sia locali che estere. Essa deriva dalla mentalità per cui allentare la pressione è considerato come un segno di debolezza. Per ciò che riguarda la politica estera, i funzionari iraniani considerano le politiche americane come un rafforzamento di questa visione del mondo.
Teheran desidera rientrare nell’accordo sul nucleare in una posizione più forte, con Khamenei che asserisce che affrettarsi nell’accordo avrebbe un costo alto per il Paese. La sua principale preoccupazione non è solo legata ad un possibile abbandono degli Stati Uniti, ma di una richiesta di più concessioni su altre questioni se percepissero disperazione e debolezza da parte dell’Iran.
Quindi il modus operandi di Khamenei è di rispondere alla pressione estera diventando inflessibile e attraverso la rappresaglia. Sulla questione nucleare, l’Iran ha risposto alla pressione delle sanzioni americane per conto proprio: ampliando continuamente il suo programma nucleare, diminuendo il disarmo nucleare, ed accrescendo le sue operazioni militari segrete in tutta la Regione.
Dal punto di vista interno, la mentalità della leadership iraniana è quella che concedere alle richieste pubbliche è un’inclinazione dannosa. Il loro timore è che ciò condurrebbe a richieste maggiori e fondamentalmente alla loro caduta. Come tale quindi, la Repubblica islamica ha resistito ad importanti riforme e ha compiuto solo parziali concessioni su richieste specifiche quando le proteste li hanno forzati a farlo. Su questioni come l’obbligatorietà della legge hijab, che è al cuore dell’identità della Repubblica islamica e il suo marchio dell’islamismo, sarà difficile per il regime raggiungere un compromesso, anche di fronte alle odierne proteste.
In ogni caso, potrebbe essere troppo tardi per placare il livello di rabbia pubblica in tutto il Paese. Le proteste che coinvolgono il Paese oggi mostrano che lo stile di governance intransigente e paranoide della Repubblica islamica diventa una profezia autoavverante, dal momento che la rabbia pubblica accresce nel corso del tempo ed esplode nel malcontento. Sembra che la classe dirigente clericale dell’Iran, non abbia imparato le lezioni della caduta dello Shah.

Israele

Il primo ministro Benjamin Netanyahu ritorna al potere. Un governo che include il partito ultra nazionalista – Religious Zionism – guidato da Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich, entrambi ampiamente considerati essere degli estremisti di destra.
In ragione dei suoi 14 seggi, il partito Religious Zionism è la terza delegazione più grande nel parlamento israeliano. Ben-Gvir è noto per la sua retorica anti-araba, arrestato nel 2007 per incitamento al razzismo e per sostegno a organizzazioni terroriste. Smotrich è noto anche per le sue visioni anti-arabe, avendo espresso rammarico verso il primo ministro israeliano David Ben Gurion, per “non aver finito il lavoro” di espellere tutti gli arabi dal territorio che è diventato Israele.


Il nuovo governo di Netanyahu che include Ben-Gvir e Smotrich potrebbe causare problemi per le relazioni bilaterali tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti.


Legami diplomatici formali tra i due Paesi sono stati creati due anni fa dagli Accordi di Abramo.
Gli Emirati Arabi uniti non sono il solo partner di Israele che ha reagito all’alleanza di Netanyahu con Religious Zionism. Alcuni democratici a Washington hanno espresso preoccupazioni a proposito di Smotrich e Ben-Gvir, incluso il senatore Menendez che è noto per la sua posizione pro-Israele. Menendez aveva avvisato Netanyahu a settembre sull’inclusione di estremisti di destra nel suo governo, asserendo che ciò avrebbe messo in pericolo le relazioni bilaterali tra Stati Uniti e Israele.
È improbabile che la presenza di elementi estremisti come Ben-Gvir e Smotrich nel nuovo governo israeliano disintegri gli accordi di Abramo. Ma i Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa, come gli Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Sudan, Marocco, con cui Israele ha firmato gli accordi di normalizzazione non guardano con favore la prospettiva di lavorare a stretto contatto con un governo che comprende funzionari anti-arabi. I funzionari arabi potrebbero sentirsi obbligati a minimizzare la misura del loro impegno pubblico con la controparte israeliana, cosa che potrebbe complicare i piani di Israele di normalizzare le relazioni con i Paesi Arabi.
Fondamentalmente, Israele e I Paesi arabi del Golfo hanno una preoccupazione di sicurezza condivisa: l’ Iran. Il disfacimento degli Accordi di Abramo giocherebbe bene nelle mani di Teheran, in un momento in cui l’Iran continua a perseguire il suo avventurismo militare nel Medio Oriente, minacciando gli interessi di sicurezza di Israele e degli Stati del Golfo. Israele e l’Arabia Saudita entrambi disapprovano l’accordo sul nucleare del 2015 così come gli sforzi dell’amministrazione Biden per resuscitarlo, e nessuno dei due Paesi vuole mettere a repentaglio la propria alleanza informale contro Teheran.
Per Netanyahu, trovare un equilibrio tra le sue priorità interne e i nuovi partner regionali di Israele è stato sempre difficile. Lo sarà ancora di più per il suo governo che comprende estremisti le cui visioni alienano i suoi partner più vicini.

Conflitti in corso

Le speranze di accordi negoziati nelle guerre in Siria e Yemen sono ripetutamente svanite. Un cessate-il-fuoco in Libia è diventato più efficace nel far tacere armi – per ora, ma la transizione politica è distratta e una pace durevole per ora è lontana dall’essere garantita.

I droni iraniani e la Russia

La notizia che la Russia ha impiegato equipaggiamento militare iraniano, particolarmente i droni, nella guerra contro l’Ucraina ha condotto alcuni osservatori ad inquadrare il conflitto come un terreno di prova per la tecnologia militare iraniana. Mentre l’impatto di questi armamenti sulla traiettoria Russia – Ucraina sarà oggetto di un intenso dibattito, le implicazioni per le dinamiche militari nel Medio Oriente sono lontane dall’essere chiare, visto che la Russia, fin qui, ha impiegato i suoi droni iraniani in una maniera in cui l’Iran stesso potrebbe non utilizzarli.


Per comprendere le implicazioni di questi sviluppi per la postura militare iraniana vis-à-vis con gli Stati Uniti, Israele, gli Stati del Golfo Arabo, è importante riconoscere il contesto in cui l’Iran ha sviluppato i suoi droni e come l’Iran e i suoi alleati non statali hanno impiegato finora questi sistemi.


L’Iran ha speso più di una decade nel diversificare le sue capacità di colpire. Mente i missili balistici offrono una velocità ineguagliabile, il volume della forza missilistica balistica dell’Iran, particolarmente i suoi sistemi di lungo raggio, sono stati a lungo limitati in accuratezza. Dalla passata decade ad oggi, l’Iran ha sviluppato e prodotto una vasta gamma crescente e diversificata di missili balistici sempre più accurati. Tali miglioramenti nell’accuratezza hanno reso la forza balistica iraniana più efficace, come mostrano gli attacchi del gennaio del 2020 contro la base irachena che ospitava i soldati americani in rappresaglia per l’assassinio da parte degli Stati Uniti del comandante militare iraniano Gen. Qasem Soleimani.
Sin dal loro sviluppo e utilizzo di aereomobili senza pilota nel contesto della guerra Iran-Iraq negli anni 1980, l’Iran ha in maniera consistente sperimentato l’uso della tecnologia dei droni in vari ruoli. Negli anni 1990, l’Iran ha iniziato a sviluppare attacchi con i droni che si schiantano contro un obiettivo. Il primo impiego rilevante dei droni iraniani risale al 2006 quando Hezbollah li utilizza in piccoli numeri contro Israele. Più recentemente gli Houti – l’alleato non-statale dell’Iran in Yemen, li ha ripetutamente utilizzati contro l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti dal 2015. I droni iraniani sono stati impiegati insieme ai missili da crociera negli attacchi alle infrastrutture petrolifere saudite nel settembre del 2019.
I droni Shahed-131 e Shahed 136 forniti alla Russia, apparentemente progettati dall’esercito russo come Geran 1 e Geran 2, sono perciò l’ultimo esempio di una tendenza di lungo corso.
Shahed-136 e altri droni d’attacco della loro classe sono tipicamente montati su camion lanciatori; Shahed-131 è più piccolo e dal design più luminoso con la stessa configurazione. Diversamente da droni più piccoli e più leggeri che possono essere lanciati a mano e tendono ad essere alimentati a batteria, Shahed 131 e Shahed 136 sono equipaggiati con un piccolo motore a pistone che può sostenere una velocità di circa 150 km all’ora. In ragione della carica esplosiva più piccola e della velocità minore rispetto MQ-1 Predator americano o allo Shaded-129 iraniano, i primi sono più convenienti e molto più semplici da costruire per cui possono essere prodotti ed esportati in numeri maggiori.
Diversamente dagli Houti in Yemen che hanno impiegato le capacità di colpire fornite dall’Iran su piccola scala e in un modo piuttosto sporadico, le limitate prove disponibili del reale impiego nel mondo dell’Iran dei droni d’attacco suggerisce che Teheran apprezza il ruolo che l’integrazione congiunta di armamenti può giocare in obiettivi complessi, così come il ruolo nella difesa e nell’infliggere alti livelli di danno. Gli esempi degli attacchi iraniani contro le infrastrutture petrolifere saudite nel 2019 e contro le forze americane in Iraq nel 2020 ci suggeriscono che l’apparato militare iraniano riconosce la forza e la debolezza della gamma dei suoi diversi sistemi di attacco ed è capace di integrarli con abilità in operazioni complesse.
Le capacità di attacco iraniane sono costruite per essere complementari l’una all’altra, con droni utilizzati per degradare la difesa così che i missili balistici e da crociera possono essere utilizzati per danneggiare severamente se non distruggere obiettivi più resilienti. In questo modo l’Iran è meglio posizionato per danneggiare – se non distruggere – le infrastrutture critiche in un conflitto, e la spesa di droni relativamente a basso costo serve uno scopo più rilevante rispetto al danno inflitto finora dagli attacchi dei droni russi in Ucraina. Mentre questi hanno inflitto severi costi umanitari contro la popolazione civile, essi restano primariamente un disturbo in termini di efficacia militare.
L’Ucraina potrebbe non essere il terreno di prova per la tecnologia dei droni iraniana, anche se molti osservatori ritengono il contrario. La Russia sembra che stia utilizzando i droni iraniani in un modo molto simile agli Houti in Yemen, sebbene in una scala più ampia, rispetto a come sembra che l’Iran intenda utilizzarli.

La diplomazia regionale

L’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, recentemente, si sono impegnati in colloqui con l’Iran volti ad allentare le tensioni. Similmente la Turchia ha iniziato un riavvicinamento con l’Egitto che potrebbe condurre ad una normalizzazione delle relazioni, mentre la Turchia disgela le relazioni con gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita. Gli Stati del Golfo alleati con i sauditi hanno messo fine al blocco del Qatar. Le ostilità tra Israele e l’Iran hanno iniziato a esternare questa tendenza con le due parti che si impegnano in attacchi tit-for-tat che corrono il rischio di intensificarsi fino ad un conflitto aperto.
L’Egitto ed il Qatar continuano a disgelare i legami, ma con differenti ragioni.
Malgrado il ripristino dei voli diretti tra il Cairo e Doha, la firma degli accordi di investimento bilaterali e la visita dell’emiro del Qatar Tamim bin Hamad Al Thani al Cairo, le relazioni tra i due Paesi restano tiepide. Se la motivazione del Qatar di un riavvicinamento all’Egitto è politica, la ripresa economica è ciò che conduce l’Egitto, visto che la sua economia continua ad essere stagnante a causa della combinazione di sfide domestiche e fattori internazionali.
Gli effetti globali dell’invasione russa dell’Ucraina hanno posto uno stress all’economia egiziana. Sebbene l’Egitto resti una destinazione popolare per i turisti russi, che sempre più si allontanano dalle mete di viaggio occidentali, il numero di turisti russi che visitano l’Egitto è diminuito, provocando un taglio ai guadagni del turismo del Cairo. La guerra ha anche contribuito ad un’impennata dei tassi di interesse così come dei prezzi del cibo e dell’energia, facendo salire i costi di importazione dell’Egitto. Queste pressioni socioeconomiche create dalla guerra in Ucraina esistono unitamente ad altre sfide domestiche, molte delle quali nascono dalla pandemia e dal coinvolgimento dei militari in diversi settori economici – dalla costruzione all’intrattenimento – che nel corso del tempo hanno scoraggiato l’investimento straniero e soffocato il settore privato.
La sfida più significativa che deve affrontare l’economia egiziana è il suo alto debito. Una svalutazione della sterlina egiziana del 15% nel marzo del 2022 seguita da una graduale perdita di un altro 4% del suo valore. Il Cairo sta negoziando un pacchetto di prestiti con il Fondo Monetario Internazionale, che ci si aspetta che includa piani per svalutare ulteriormente la sterlina. Mentre i politici egiziani valutano i pro e contro delle condizioni poste dall’IMF per il via libera al prestito, il Cairo sta anticipando nuovi guadagni dalla vendita di gas naturale liquefatto ai Paesi europei che disinvestono dalle importazioni energetiche russe.
Le recenti aperture dell’Egitto al Qatar devono essere comprese in questo contesto.
Il Cairo sta simultaneamente cercando di rinforzare le sue relazioni economiche con l’Arabia Saudita, una storica fonte di sostegno finanziario in momenti di difficoltà. Il Fondo di investimento pubblico saudita ha annunciato un impegno di quasi 10 miliardi di dollari in nuovi investimenti in Egitto .
Gli investimenti degli Stati del Golfo aiuteranno a sostenere gli sforzi di stabilizzazione della sua economia, ma non condurranno, da soli, ad una completa ripresa economica, non da ultimo per la morsa dei militari sul settore privato, anche se le proiezioni sulla popolazione egiziana la vedono in rapida crescita. Perciò per i Paesi del Golfo, investire nell’economia egiziana è più una questione di politica e di stabilità piuttosto che una ricerca di un ritorno sull’investimento.
Come il resto del Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo, il Qatar anche vede il sostegno all’economia dell’Egitto come una tutela contro l’instabilità politica, che essi temono possa diffondersi nella loro direzione (come è accaduto nel 2011).

Luglio 21 2019

Il rischioso gioco degli Stati Uniti in Albania

Albania

Qualche giorno fa il consulente giuridico di Donald Trump, Rudy Giuliani, ha partecipato all’incontro annuale del controverso gruppo di opposizione iraniano in Albania.

Ciò dovrebbe far preoccupare se non altro per la fragile e instabile democrazia albanese.

Se l’Albania venisse coinvolta in uno dei conflitti geopolitici più pericolosi al giorno d’oggi, quello che contrappone l’Iran agli Stati Uniti, Arabia Saudita ed altri Stati del Golfo, la tempistica non potrebbe essere la peggiore, visto che il Paese è nel bel mezzo di una dichiarata crisi politica che in alcune occasioni è diventata violenta ed il cui risultato non è ancora chiaro.

Membro della NATO, l’Albania sta anche cercando da anni, senza successo, di entrare nell’Unione Europea; gli odierni disordini allontanano ancora di più tale obiettivo. A peggiorare la situazione è che la circostanza per cui la conflittualità interna ha trasformato l’Albania in un obiettivo invitante per attori maligni che cercano di trarre vantaggi da una nazione distratta e divisa.

Il MEK

Giuliani, assieme ad altre prominenti figure, incluso l’ex senatore americano Joe Lieberman e il conservatore inglese Matthew Offord, hanno dunque partecipato alla conferenza “Free Iran” del gruppo conosciuto  come Organizzazione del popolo mujahedin dell’Iran e Mujahedin-e Khalq ovvero MEK. Gruppo ambiguo impegnato nel rovesciamento del regime teocratico iraniano, il MEK spesso è descritto come un culto e utilizzato per essere classificato dal Dipartimento di Stato americano come un’organizzazione terrorista.

Al momento i sostenitori principali del MEK lavorano per Trump e la sua amministrazione, collocando l’Albania nel bel mezzo del dossier iraniano. Forse il più grande sostenitore del MEK è John Bolton il consulente di sicurezza nazionale di Trump, il quale desidera che il MEK governi l’Iran.

Il MEK ha una storia strana e controversa. Esso è emerso come organizzazione marxista- islamista e milizia in Iran negli anni 1960 ed era devotamente anti-americano. Uccide i membri della polizia dello Scià e riveste un ruolo chiave nella sua caduta durante gli anni della rivoluzione del 1979. Tuttavia a seguito di aspre discussioni con le nuove autorità islamiche al potere viene esiliato dal Paese agli inizi degli anni 1980. Quando l’Iraq di Saddam Hussein entra in guerra contro l’Iran, il MEK – adesso opposto fervidamente alla Repubblica islamica dell’Iran – si schiera a fianco di Baghdad e finisce per costruire una base di operazioni in Iraq vicino alla frontiera con l’Iran, da cui conduce attacchi all’interno dell’Iran.

Quando le forze americane invadono l’Iraq e depongono Saddam nel 2003 il gruppo era ancora nel Paese; all’aumento vertiginoso del caos, gli agenti iraniani iniziano ad avere come obiettivo il MEK.

Obama e l’accordo per ricollocare i membri del MEK in Albania

L’amministrazione Obama rimuove l’organizzazione dalla lista di gruppi terroristi del Dipartimento di Stato nel 2012 e dopo una lunga e dispendiosa campagna di lobby a Washington da parte del MEK e dei suoi simpatizzanti, si conclude un accordo per ricollocare alcuni dei 3000 membri del MEK in Albania, un Paese entusiasta di mantenere forti legami con gli Stati Uniti.

Da quando si trasferisce in Albania, il MEK riceve minore attenzione internazionale, ma tutto cambia con l’amministrazione Trump. Figure chiavi di tale amministrazione sostengono il gruppo, alcuni come donatori, altri per convinzioni ideologiche: Bolton e Giuliani, in particolare, hanno promosso il gruppo come legittimo governo in esilio che dovrà sostituire la Repubblica islamica, anche se questo gruppo all’interno dell’Iran gode di poco sostegno.

I riflettori dell’amministrazione Trump puntati sul MEK senza dubbio attirano l’attenzione di Teheran come momento politico pericoloso in Albania.

La crisi politica in Albania

Il governo albanese è piombato nella crisi agli inizi di quest’anno quando i partiti di opposizione si sono ritirati dal Parlamento e hanno chiesto le dimissioni del Primo Ministro Edi Rama, accusandolo di corruzione, di manovre elettorali e di legami con il crimine organizzato.
La corruzione è endemica in Albania dalla fine del governo comunista, ma Rama gode del sostegno degli Stati Uniti e di molti Stati dell’Unione Europea.

La crescita della visibilità del MEK nel quadro della contrapposizione tra Trump e l’Iran potrebbe rendere l’Albania più vulnerabile che mai ad intromissioni esterne.

Le tensioni a Tirana si sono verificate lo scorso mese, dopo che un giornale tedesco, il Bild, pubblica delle conversazioni, parte di intercettazioni disposte dai magistrati che indicano che Rama ed il partito socialista  tramano con i gruppi criminali per manipolare le elezioni nel 2016. Sia Rama che il suo partito negano tali fatti. Tuttavia i suoi oppositori scendono in strada e ne derivano dei feroci scontri con i manifestanti che lanciano le bottiglie molotov e la polizia che risponde con i cannoni ad acqua.

La situazione si deteriora ulteriormente quando l’opposizione dichiara che avrebbe boicottato le elezioni comunali di giugno. Il Presidente Ilir Meta annuncia che avrebbe cancellato il voto riprogrammandolo per ottobre, affermando che senza l’opposizione le elezioni non sarebbero state democratiche.
Il partito di Rama, invece si rifiuta di accettare la mossa del Presidente e asserisce che avrebbe iniziato le procedure di messa in stato d’accusa del Presidente. Quindi si è proceduto con il voto. La partecipazione elettorale si rivela essere minima. Mentre i vincitori delle elezioni sono pronti a prendere il loro posto, alcuni sindaci uscenti si rifiutano di lasciare il loro ufficio.

La scena politica albanese rimane turbolenta, carica di tensione e di teorie di cospirazione. Meta accusa Rama di essere uno strumento del “deep State” (un termine che si riferisce ad una sorta di Stato ombra) e che lavora assieme al filantropo miliardario George Soros per destabilizzare l’Albania e ristabilire una dittatura che includa il Kosovo.

In questo scenario tuttavia vi è una scadenza incombente per l’Albania: ad ottobre il Consiglio Europeo prenderà la decisione in merito all’inizio formale dei colloqui di adesione con l’Albania.

Gli scontri urbani, gli insulti e le teorie di cospirazione sembrano essere a sostegno della visione degli scettici per cui  la democrazia albanese non è matura o abbastanza stabile per entrare nell’Unione Europea.

Se questo non fosse grave abbastanza, le complicazioni con l’Iran potrebbero fermentare nell’area della campagna albanese dove si trova il MEK, accrescendo i rischi di interferenza iraniana.

L’Iran registra un ben noto record nello scovare e assassinare dissidenti nel Medio Oriente e in Europa.

L’obiettivo del MEK resta il rovesciamento del regime iraniano, sebbene ora asserisca di aver rinunciato alla violenza.

Il potenziale per una nuova crisi in Europa e all’interno della NATO, con al centro l’Albania, è molto reale.

Giugno 16 2018

Il Marocco, l’Iran e l’Arabia Saudita: storie di politica internazionale

Marocco

Il Marocco non più di un mese fa ha interrotto le relazioni diplomatiche con l’Iran.

Le relazioni diplomatiche tra i due Paesi erano state riprese nel gennaio 2017 dopo che Rabat aveva accusato Teheran di interferenza negli affari diplomatici dello Stato africano.

Questa volta le accuse riguardano l’ingerenza iraniana nel Sahara Occidentale, un territorio su cui il Marocco rivendica la sovranità, ma che è casa del movimento separatista: Fronte Polisario.

Marocco

Secondo il ministro degli esteri del Marocco, la ragione di questa rottura diplomatica è il sostegno iraniano al Fronte Polisario con armi che il Fronte riceve attraverso Hezbollah, trafficate attraverso l’ambasciata iraniana ad Algeri. L’Algeria ha sostenuto a lungo le rivendicazioni del Polisario nel Sahara Occidentale e nel territorio algerino vi sono diversi campi di rifugiati che hanno condotto a relazioni tese tra i due Paesi.

Se fosse confermato, in maniera inequivocabile che gli iraniani stanno addestrando e armando il Fronte Polisario, avrebbe un senso ritenere che il sostegno iraniano ai separatisti nel Sahara Occidentale avviene in ritorsione alla decisione, del marzo 2018, presa dal Marocco di arrestare ed estradare negli Stati Uniti,  il finanziare libanese Kassim Tajideen, sospettato di essere un sostenitore di Hezbollah. Tale arresto è ancora più interessante se si considera il fatto che il Marocco è uno dei pochi Paesi al mondo che non ha un Trattato di estradizione con gli Stati Uniti.

Vi sono considerazioni politiche legate al conflitto nel Sahara Occidentale che con tutta probabilità hanno determinato la tempistica della decisione. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il 27 aprile 2018, ha rinnovato per altri 6 mesi la missione  per il referendum nel Sahara Occidentale, o MINURSO.  MINURSO svolge una serie di compiti incluso il monitoraggio del cessate-il-fuoco nel Sahara Occidentale, supervisionando il rilascio di prigionieri politici e organizza il referendum, a lungo promesso, nel territorio. Dato che i precedenti rinnovi del mandato erano stati di un anno, la sequenza temporale più breve suggerisce che il Consiglio, e gli Stati Uniti in particolare, intendono apporre più pressione al Marocco per procedere con il referendum.
Dunque sembra che queste accuse contro l’Iran siano volte più a distrarre l’attenzione dal rinnovato supporto internazionale per il referendum che per le azioni di Teheran, anche perchè il Marocco non ha sollevato accuse contro l’Iran, l’Algeria ed Hezbollah nel contesto del rinnovo di MINURSO.

La rottura delle relazioni diplomatiche con l’Iran da parte del Marocco è stata anche modellata a seguito di sviluppi globali.

Il Marocco è entusiasta di rafforzare i suoi legami con un alleato di lungo corso: l’Arabia Saudita, una relazione che al momento è tesa per l’ostinazione del Marocco di restare neutrale nella disputa Arabia Saudita – Qatar. Per vendetta il governo saudita si è rifiutato di sostenere la candidatura del Marocco per la Coppa del Mondo nel 2026. (A complicare ulteriormente la questione: il Qatar ospiterà la competizione del 2022). Il Marocco cerca anche di rafforzare i suoi legami con l’amministrazione Trump.

L’influenza crescente e forte del Marocco in Africa probabilmente ostacolerà la presenza iraniana nel Continente.

Il ministro degli esteri iraniano Jawad Zarif ha un ruolo centrale negli sforzi dell’Iran di trovare nuovi alleati nel Continente. Nel 2015, ha visitato il Kenya, l’Uganda, il Burundi e la Tanzania. Nel 2016: Nigeria, Ghana, Guinea e Mali e nel 2017: Mauritania, Sud Africa, Uganda e Niger. Nel 2018 ha già visitato il Senegal e la Namibia.

Tuttavia l’Arabia Saudita è dominante nell’Africa dell’Est, il che rende tale Regione un’improbabile preda dell’influenza iraniana.

Nel frattempo, il Marocco ha intensificato i suoi legami in Africa. Nel 2017, ha ottenuto la riammissione all’Unione Africana ed è stato accettato, in linea di principio, come membro della Comunità Economica degli Stati Africani Occidentali anche detta ECOWAS, sebbene la formale adesione sia ancora in sospeso.

Come risultato, l’Iran presumibilmente inizierà ad allontanarsi dall’Africa occidentale verso l’Africa centrale e meridionale, visto che continua a cercare partner economici e diplomatici.

Per il Marocco, la rottura delle relazioni con l’Iran è anche un segnale chiaro per l’Arabia Saudita e gli altri Stati membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo. La più aggressiva politica estera del Marocco richiederà un delicato equilibrio per mantenere l’indipendenza dall’Arabia Saudita e dagli altri Stati del CCG, esercitare influenza e un impegno economico più ampio con gli Stati africani vicini e restare in buoni rapporti con l’Arabia Saudita, che cerca anche lei un impegno maggiore con gli Stati africani.

Maggio 21 2017

Relazioni di vicinato: l’Iran e la Turchia nel “dopo Mosul”

relazioni

Dopo la piena riconquista di Mosul quali saranno le relazioni tra  due vicini eccellenti dell’Iraq: Iran e Turchia?

La Turchia è preoccupata che tutto quello che ha ottenuto finora il governo iracheno a maggioranza sciita, amico dell’Iran, sia parte di una più ampia strategia di Teheran per espandere la propria influenza nelle aree sunnite dell’Iraq del nord.

Quello che inquieta maggiormente il presidente turco Recep Tayipp Erdogan è il potenziale asse pro-iraniano lungo la frontiera del nord dell’Iraq che comprende elementi del Kurdistan Workers’ Party o PKK così come le milizie yazide dell’area.

Per questo motivo la retorica turca si è alzata di livello, inasprendosi, tanto che Erdogan si è riferito, lo scorso mese, alle milizie irachene pro-governative (al-Hashad al-Shaabi – unità di mobilitazione popolare) come un’organizzazione terroristica.

Erdogan ha certamente le capacità di anticipare ogni imminente asse iraniano-curdo nel nord dell’Iraq. L’esercito turco ha una stima di 2,000 truppe all’interno dell’Iraq. Una buona parte di questa forza è focalizzata nel combattere i militanti del PKK sulle montagne Qandil del Kurdistan iracheno, con altre 500 truppe stazionate nel campo Bashiqa, circa 50 chilomentri dalla periferia di Mosul.

Ankara ha anche una influenza politica e militare sul clan Barzani dominante nel Kurdistan iracheno e sulle famiglie influenti arabe sunnite intorno a Mosul, incluso la famiglia Nujaifi.  Infine, Erdogan ha segnalato la sua volontà di utilizzare bombardamenti aerei per dissuadere un significativo consolidamento delle forze pro-iraniane; l’aviazione turca ha recentemente colpito posizioni del YPG, la principale milizia curda siriana a Sinjar.

La Turchia, teoricamente, potrebbe chiedere aiuto ad altri paesi. L’Arabia Saudita e i suoi alleati arabi del Golfo hanno anche loro preoccupazioni circa l’espansione dell’Iran nelle aree irachene sunnite. Il potenziale per un’alleanza più stretta e coordinata nell’area tra queste potenze sunnite non può essere esclusa.

I rischi della strategia turca

Se la Turchia volesse lanciarsi a capofitto in uno scontro con le milizie alleate dell’Iran dovrebbe affrontare un nemico molto capace e ben equipaggiato. Inoltre, proprio queste milizie hanno già minacciato di ingaggiare direttamente le forze turche se Erdogan dovesse ordinare ulteriori incursioni nel territorio iracheno.

La profondità strategica dell’Iran in Iraq fornisce a queste milizie un rifornimento illimitato di combattenti: sciiti motivati da reclutare e far combattere per una lunga e sanguinosa campagna contro la Turchia.

Gli interessi della Turchia e dell’Iran 

Primo: la Turchia e l’Iran abilmente utilizzano la loro relazione come un contrappeso alla presenza (e potenza) occidentale nella Regione. In questo contesto si vedono l’un l’altro come una sorta di valvola di sicurezza contro la pressione esterna esercitata dall’occidente.

Erdogan non è certamente spaventato dal “gioco” di Iran e Russia contro Stati Uniti, ad esempio, nell’intento di esercitare pressione su Washington affinché non sostenga più l’YPG (che ha legami con il PKK; ma partner americano affidabile sul terreno contro lo “Stato islamico”). Questo tipo di “gioco” si è pienamente manifestato  a dicembre 2016, quando la Turchia ha contribuito ad un nuovo corso di colloqui di pace sulla Siria con l’Iran e la Russia senza il coinvolgimento degli Stati Uniti.

L’Iran, dalla parte sua, conta sulla Turchia per resistere agli sforzi occidentali di isolarla completamente nella regione.

Secondo: sebbene la Turchia e l’Iran appoggino elementi curdi separati in Iraq, entrambi i paesi condividono delle valutazioni ampiamente sovrapposte sulla questione del nazionalismo curdo. Mentre Ankara ha recentemente mostrato una maggiore volontà di lavorare con il Kurdistan iracheno semi-autonomo, la sua posizione è improbabile che cambi quando deve opporsi alla piena indipendenza curda. La visione dell’Iran è simile. Lo scorso mese, entrambi i paesi hanno fortemente protestato contro la decisione del governo regionale curdo di Irbil di alzare la bandiera curda vicino a quella irachena su un palazzo governativo locale a Kirkuk; alcuni politici curdi hanno interpretato questi messaggi come delle velate “minacce”.

Gli interessi economici che non possono essere ignorati

Consideriamo ad esempio i legami energetici: la Turchia al momento importa 30 milioni di metri cubici di gas Iraniano, volume che entrambe le parti sembrano intenzionate ad accrescere nei prossimi anni.

Per cui malgrado qualche retorica accesa tra la Turchia e l’Iran, il risultato più probabile è qualche sorta di accordo in Iraq.

L’Iran potrebbe accordarsi nel “trattenere” i leader delle milizie più anti-turche nelle forze popolari di mobilitazione irachene, mentre limita il loro supporto agli elementi del YPG in Iraq. La Turchia in cambio potrebbe accordarsi nel migliorare le sue relazioni tese con il governo centrale a Baghdad e coordinare meglio la lotta all’IS con l’Iraq e l’Iran.

Se e quando l’IS sarà sconfitto nel nord dell’Iraq, l’immediato vuoto politico nel cuore sunnita sicuramente sarà un banco di prova per le relazioni turco-iraniane.

Sebbene i legami tra due vicini eccellenti dell’Iraq continueranno a flettersi, è improbabile che si spezzino.

Ankara e Teheran hanno una storia di compartimentalizzazione delle loro relazioni nelle passate decadi. Continueranno ad essere profondamente in disaccordo su certe questioni nella regione, ma nessuna parte ha al momento un interesse profondo nel permettere che questi disaccordi mettano a rischio le loro funzionanti relazioni bilaterali.

Dicembre 22 2016

Yemen: storia di una morte nell’indifferenza generale

Yemen

Lo Yemen non è in cima all’agenda politica internazionale di nessuno e lentamente muore la sua popolazione sull’orlo della carestia, con una crisi monetaria, il blocco navale, nella generale noncuranza di tutti anche dei mezzi di informazione.

Nel periodo natalizio, se ci fate caso, spuntano sempre quei servizi giornalistici di grande pathos su un qualche paese in guerra con le immagini di bambini pieni di polvere se non di quelli morti, con delle bambole di pezza, soli con intorno soltanto macerie. I bambini yemeniti non hanno questo privilegio, non compaiono mai. La guerra nello Yemen è una delle guerre dimenticate di questo mondo, quelle che non suscitano la commozione e l’indignazione di nessuno, quelle che neanche per Natale vale la pena di nominare. Eppure nello Yemen si gioca una partita politica locale e regionale importante. Eppure nello Yemen ogni 10 minuti un bambino muore e molti altri sono costretti a diventare bambini soldato. Eppure 2.2 milioni di bambini yemeniti hanno urgente bisogno di assistenza sanitaria. Eppure centinaia di migliaia di persone yemenite sono incapaci di far fronte ai bisogni essenziali quali il cibo, non hanno accesso all’acqua pulita e ai servizi igienici. Qualcosa come 3.5 milioni di yemeniti sono senza casa.

Lo Yemen: uno shock dopo l’altro

Sin dalla primavera araba del 2011, lo Yemen ha vacillato da uno shock politico ad un altro. Il suo leader autoritario, il Presidente Ali Abdullah Saleh fu cacciato dal potere da una pressione popolare, ma il suo successore, Mansour Hadi, non ha saputo guadagnarsi il sostegno del suo paese. I ribelli Houti hanno preso il potere nel settembre del 2014 e a marzo dell’anno successivo, il Presidente Hadi è stato forzato all’esilio nella capitale saudita, Ryhad.

Da allora, il paese è imploso dal momento che la coalizione a guida saudita ha iniziato a combattere i ribelli Houti, che beneficiano, come è ampiamente ritenuto, del sostegno finanziario e delle armi iraniane.

L’influenza di attori esterni ha esacerbato il conflitto in uno Stato che già combatteva per mantenere insieme la struttura nazionale dopo decadi di governo autoritario.

Sull’orlo del baratro: la carestia

Il governo riconosciuto internazionalmente, che è stato spinto fuori dalla capitale Sanaa dagli Houti nel 2014, ha completamente rigettato l’ultima proposta delle Nazioni Unite, mentre i ribelli lo scorso mese hanno annunciato la formazione di un nuovo governo.

Tra queste posizioni politiche divergenti e lo stallo militare, esacerbato dalla crisi monetaria e dal blocco navale, le agenzie umanitarie hanno, ancora una volta, avvertito che lo Yemen, già in una crisi umanitaria su vasta scala, è sull’orlo della carestia.

Le importazioni chiave di cibo sono già scese al di sotto della metà dei bisogni del paese e condizioni di carestia si riscontrano in molte aree.

Secondo l’UNICEF, almeno 462,000 bambini yemeniti sono severamente malnutriti, con 2.2 milioni in necessità di urgente assistenza sanitaria.

Ogni 10 minuti un bambino muore in Yemen.

L’appello umanitario delle Nazioni Unite per lo Yemen, in questo anno, è stato finanziato solo per il 58% del suo bisogno.

Malgrado tutto ciò, la situazione umanitaria ed economica di questo paese, difficilmente appare essere al primo posto dell’agenda delle potenze politiche che guidano questa guerra ovvero dei loro sponsor regionali.

Il rifiuto del piano di pace e la formazione di un governo ribelle sono solo gli ultimi episodi di una serie di mosse “tit-for-tat”del governo in esilio del Presidente Abd Rabbu Mansour Hadi e dei suoi rivali, un’alleanza dei ribelli sciiti Houti e dei fedelissimi dell’ex Presidente dello Yemen Ali Abdullah Saleh.

Ad ottobre, Hadi ha emanato un decreto per spostare il quartier generale della Banca Centrale dello Yemen da Sanaa ad Aden, tagliando effettivamente l’accesso al settore bancario internazionale, separandosi anche da centinaia di tecnocrati preparati che lavoravano nella banca dalla capitale. Lo spostamento della banca ha generato la paura che l’economia potesse essere usata come arma, parte della guerra.

L’alleanza Saleh-Houti ha reagito, lo scorso mese, nominando un nuovo governo, un colpo preciso ad Hadi che è riconosciuto internazionalmente come il legittimo leader dello Yemen, ma il cui governo fa poco nel governare attualmente, visto che ha perso Sanaa, insieme a molte istituzioni governative.

L’annuncio degli Houti del nuovo governo è stato oggetto di discussione sin da ottobre quando Abdulaziz bin Habtoor, l’ex governatore di Aden, è stato nominato primo ministro dei ribelli. Bin Habtoor è stato scelto dal Consiglio Supremo Politico, recentemente formatosi, un organo politico composto da Houti e membri dell’alleanza “General People’s Congress” pro-Saleh, per rappresentare i loro interessi congiunti. Il Consiglio è guidato da Saleh al-Sammad; formato nel tardo luglio 2016, è stato visto come un serio impedimento per gli sforzi delle Nazioni Unite di negoziare una tregua e i colloqui di pace per porre fine ad un conflitto di 20 mesi. Questo governo guidato da bin Habtoor non farà altro che aumentare questo senso di impedimento.

L’inviato delle Nazioni Unite per lo Yemen, Ismail Ould Cheikh Ahmed, ha espresso frustrazione per la nomina di un governo dei ribelli, che con molta probabilità spingerà Hadi verso una posizione ancora più difensiva.

L’amministrazione Obama ha bloccato qualche settimana fa alcuni dei sostegni militari alla campagna dell’Arabia Saudita in Yemen proprio per il gran numero di vittime civili. Tuttavia, il supporto americano continuerà in altre aree, in particolare rifornendo gli aerei della coalizione e condividendo più intelligence.

Futuro incerto

Con il presidente eletto, Donald Trump, che inizierà il suo lavoro il 20 gennaio ed il nuovo Segretario Generale delle Nazioni Unite, Guterres, che inizierà l’11 gennaio, il vuoto di potere internazionale renderà ogni svolta politica sempre più improbabile.

Lo Yemen era già difficilmente in cima all’agenda internazionale dunque le vittime della “guerra dimenticata” in Yemen possono aspettarsi poco respiro.

Le principali vittime del conflitto

Le principali vittime del conflitto in Yemen non sono le forze armate delle due parti, ma persone ordinarie. Queste sono persone incapaci di far fronte ai loro bisogni essenziali di cibo e che mancano dell’accesso ad acqua pulita e ai bagni. Qualcosa come 3.5 milioni di Yemeniti sono senza casa: o si sono spostati in altre parti del paese o sono rifugiati in altri paesi.

I cessate-il-fuoco di 48 o 72 ore, anche se rispettati dalle parti in lotta, sono come un granello di sabbia nel deserto quando si tratta degli immensi bisogni che il conflitto ha generato. Non è sicuramente abbastanza tempo per ricostruire le case distrutte, i negozi, le cliniche, gli ospedali, neanche per salvare centinaia di bambini yemeniti costretti a diventare bambini soldato.

Anche se cessate-il-fuoco brevi offrono una finestra sufficiente per le agenzie umanitarie, che potrebbe essere estesa, c’è, in ogni caso, un significativo ostacolo: le risorse per l’aiuto. Sebbene l’Unione Europea, così come gli Stati Uniti, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, abbiano promesso aiuto ed assistenza allo Yemen nel quadro del piano di risposta umanitaria, alcuni hanno promesso fondi che non si sono mai materializzati.

 

Febbraio 24 2016

Majlis – Iran elezioni 2016

Majlis

Il 26 febbraio gli iraniani inizieranno il processo di elezione del loro decimo parlamento: il Majlis.

Molti discutono delle elezioni iraniane per le possibili implicazioni sulla politica estera iraniana. Sebbene il processo elettorale in sé stesso resta un mistero per molti; noi ci accontentiamo di avere le basi e quindi di capire cos’è il Majlis. Iniziamo innanzitutto con un foglio di appunti del mio quaderno per vedere quali sono i passaggi temporali che portano al 26 febbraio, per l’elezione del Majlis.

Majlis

Majlis: poteri e composizione

Ufficialmente: Islamic Consultative Assembly (Majlis-e shoura-ye eslami), per dirla in termini più vicini a noi  è un parlamento eletto con voto popolare, stabilito nella scia della rivoluzione iraniana del 1979. Mentre il Majlis è istituzionalmente separato dal Consiglio dei Guardiani, un organo di 12 giuristi islamici, il Consiglio gioca un ruolo più esteso nelle elezioni parlamentari e nel suo ruolo legislativo. I 290 membri del Majlis rappresentano i 207 distretti elettorali dell’Iran. Trenta seggi sono dedicati ai rappresentanti provenienti da Teheran, il più grande distretto. Il secondo distretto più grande ha solo 6 seggi.

Successivamente al dibattito svoltosi nel Majlis la legge passa al Consiglio dei Guardiani, il quale deve confermare che la legge sia conforme alla Costituzione e all’Islam. Il potere di veto del Consiglio dei Guardiani sulla legislazione ha significato che sostanziali riforme politiche ed economiche, anche se supportate dal Majlis – sono state spesso ostruite. Siccome, quasi metà delle leggi approvate dal parlamento erano poi ricusate dal Consiglio dei Guardiani, nel 1989 fu stabilito un terzo organo legislativo: Expediency Council (Consiglio dell’opportunità in italiano n.d.a) che ha il potere di mediare tra i due organi e di annullare le loro decisioni. Se approvato dal Consiglio dei Guardiani, la legge deve essere firmata dal presidente prima di entrare in vigore. Il Majlis approva e rivede il budget annuale, può approvare e mettere in stato d’accusa ministri, emettere questioni formali al governo. Approva i trattati internazionali.

Ogni rimostranza pubblica contro organizzazioni governative è gestita dal Majlis. In ogni caso è necessario il consenso del Leader Supremo affinché il Majlis possa entrare nel merito di un’ istituzione.

I membri sono eletti ogni 4 anni dal voto popolare diretto. Sebbene siano soggetti a considerevoli restrizioni, le elezioni parlamentari si sono tenute regolarmente dal 1980. Per essere qualificati a concorrere per un seggio, i candidati sono soggetti a numerosi cicli di controlli accurati. Il Ministro dell’Interno supervisiona l’iniziale esame delle credenziali, ma il Consiglio dei Guardiani ha l’ultima parola e statuisce chi è qualificato a concorrere. Secondo l’art. 28 dell’Atto elettorale dell’Assemblea Consultativa islamica i candidati devono soddisfare i seguenti criteri al momento della registrazione:

  1. Credere e praticare obbligatoriamente l’Islam e il Sistema sacro della Repubblica Islamica dell’Iran.
  2. Essere cittadini della Repubblica Islamica dell’Iran.
  3. Espressa fedeltà alla Costituzione e al principio di assoluto custode della giurisprudenza.
  4. Un documento che provi il possesso di almeno un diploma ed equivalente.

Nel 2006, il parlamento ha approvato una legge che richiede a tutti i candidati essere in possesso di un Master. Questa valutazione della formazione educativa va in parallelo con il declino dei membri del parlamento che sono religiosi, da un picco di 131 nel primo parlamento ai 33 in quello odierno.

  1. Non avere una cattiva reputazione nel distretto elettorale.
  2. Salute fisica tale per cui almeno godano della benedizione della vista, udito e parola.
  3. Almeno 30 anni e non più di 75.

Ai candidati delle minoranze religiose non è richiesto di soddisfare il primo criterio. Anche se il candidato ha tutti i requisiti elencati, il Consiglio dei Guardiani può trovare (come già accaduto) una scusa per squalificare il candidato.

La manipolazione del Sistema elettorale iraniano si è guadagnata un significativo criticismo internazionale.

Freedom House ha dichiarato che sebbene non ci siano state accuse di frode sistematica  nelle elezioni del 2012, “molti legislatori in carica hanno accusato Islamic Revolutionary Guard Corps di manovrare le attività elettorali”.

I candidati approvati possono fare campagna elettorale ufficialmente solo per 7 giorni. La campagna elettorale è iniziata il 18 febbraio.

Un candidato è dichiarato vincitore se lui (o lei) ottiene la maggioranza dei voti in un distretto  cioè il 25% di tutti i voti raccolti. Nel sistema iraniano chiamato: Two-Round System entra in gioco se nessun candidato riesce ad ottenere la maggioranza dei voti, per cui viene indetto un altro election day dove i primi due candidati competono in quel distretto.

Un certo grado di rappresentanza è garantito alle minoranze religiose: 2 seggi agli armeni cristiani, o uno ai cristiani assiri e caldei, uno agli ebrei e uno ai credenti dello Zoroastrianesimo o Mazdeismo. La più grande minoranza iraniana, Baha’i, non è ufficialmente riconosciuta e non gli è garantito un seggio (peraltro i loro diritti sociali e politici sono severamente ristretti dal regime).

Verso la fine di gennaio solo la candidatura una donna, una delle maggiori riformiste del paese, è stata approvata dal Consiglio dei Guardiani, nel parlamento in carica ci sono 9 donne, il 3%. Molti credono che la squalifica dei candidati donna è legata al fatto che molte delle donne che si sono registrate hanno esperienza come attiviste dei diritti umani o femministe.

Correnti politiche e non partiti politici

Come spiega il sito Majlis Monitor affiliato all’Università di Toronto, i gruppi politici che si mobilitano per competere nelle elezioni iraniane possono essere descritti più accuratamente come “correnti politiche” piuttosto che come partiti politici nel senso occidentale del termine. Le “correnti politiche”, secondo Majlis Monitor, “usualmente emergono come alleanze di comodo per perseguire agende politiche – ideologiche comuni, interessi economici”.

Per saperne di più: leggi l’Assemblea degli esperti – Iran elezioni 2016.

Febbraio 23 2016

Assemblea degli esperti – Iran elezioni 2016

assemblea degli esperti

Il 26 febbraio ci saranno le elezioni in Iran. Arriviamoci preparati! Si eleggerà l’Assemblea degli Esperti ed il Majlis.

Iniziamo dall’Assemblea degli esperti

L’assemblea degli esperti (Majlis-e Khobregan) è uno degli organi più importanti nel governo iraniano. Per questa ragione, le prossime elezioni dell’Assemblea degli esperti, stanno attirando una grande attenzione(in Italia ovviamente dato il peso che si dà alla politica internazionale probabilmente se ne accorgeranno il 27 sera), perché la prossima Assemblea è il giocatore chiave nella selezione del successore del 76enne Leader Supremo Ayatollah Ali Khamenei.

Cos’ è l’Assemblea degli esperti?

Assemblea degli Esperti

L’Assemblea degli esperti è un organo di 88 membri formato da giuristi islamici, eletto direttamente dal voto popolare ogni 8 anni. Secondo la costituzione, l’Assemblea ha il mandato di nominare, monitorare e far decadere (se é il caso) il leader supremo. In pratica l’Assemblea non ha mai realmente messo in discussione il leader supremo. Quest’organo è formato da un consiglio di leadership e sei comitati, che si incontrano due volte l’anno.

L’Assemblea fu stabilita per la prima volta dopo la rivoluzione iraniana del 1979 per scrivere la nuova costituzione. Dopo aver adempiuto a quel compito, fu sciolta per poi essere ristabilita nel 1982. Basato su un ciclo elettorale di 8 anni, la quinta Assemblea doveva essere eletta nel 2015, ma nel 2009 una legge ne ha posposto l’elezione per farla coincidere con le elezioni parlamentari del 2016.

Per essere qualificati a competere, i candidati devono essere specialisti della giurisprudenza islamica, passare diversi esami scritti ed orali, e approvati dal Consiglio dei Guardiani, un organo di 12 membri nominato dal Leader Supremo e dal Parlamento. Cinque dei dodici membri del Consiglio dei Guardiani sono anche membri dell’Assemblea degli esperti.

Sebbene la costituzione assegni all’Assemblea degli Esperti il compito di monitorare il leader supremo, non ci sono meccanismi formali, costituzionalmente regolati, attraverso cui l’Assemblea può “sfidare” il Leader Supremo.

La corsa 2016 per l’Assemblea degli Esperti ha visto un record nel numero delle domande. Si sono registrati 800 candidati di cui 16 donne. E’ molto probabile che il prossimo leader supremo esca proprio dalla quinta Assemblea di Esperti. Anche se l’Assemblea ha il compito di selezionare il prossimo leader supremo, altre figure molto potenti ed istituzioni come il Corpo delle Guardie rivoluzionarie, presumibilmente influenzeranno la selezione.

Concludo con una curiosità: il Presidente Rouhani è stato due volte membro dell’Assemblea degli Esperti.

Per saperne di più sulle elezioni in Iran, clicca qui:  Majlis – elezioni Iran 2016

Gennaio 29 2016

Sanzioni ed imbarazzi

sanzioni ed imbarazzi

I settori che beneficiano della cessazione del regime delle sanzioni all’Iran da parte dell’Europa e gli imbarazzi che l’Italia crea al mondo intero fin dal 1999.

L’alacrità con cui i nostri politici hanno buttato al vento i nostri valori e l’eredità storica nella speranza di ricevere qualche vantaggio dal post sanzioni ha imbarazzato gli italiani come popolo, ci ha messo in ridicolo agli occhi di tutto il mondo e purtroppo non è la prima volta.

Gli imbarazzi: la linea guida della politica estera italiana.

La condotta scellerata dei politici italiani, non nuova, ha la macro conseguenza di avverare le predizioni degli oppositori dell’accordo sul nucleare: quello che speravano di evitare è avvenuto. Che il mondo dovesse in un qualche modo adattarsi all’Iran perché “porta soldi”, che si facesse il clamoroso errore di placarsi dall’impulso di denunciare gli eccessi ideologici della Repubblica Islamica alla vista di un portafoglio pieno di miliardi di euro. Lasciar scivolare via l’impulso di criticare l’Iran per il supporto al terrorismo internazionale: l’utilizzo di Hezbollah come supporto di terra pro Assad in Siria.

La deferenza italiana a Rouhani ha un precedente con un altro presidente iraniano: Khatami, 1999, governo D’Alema.

Le foto della cena di stato offerta dall’Italia fanno il giro del mondo e fanno infuriare gli oppositori all’agenda riformista di Khatami: tavola imbandita con bicchieri pieni di vino!

sanzioni ed imbarazziIl presidente Khatami, all’epoca per evitare che il fiasco di Roma si ripetesse nelle successive visite negli stati europei, fece includere incontri a colazione, dove evidentemente era più possibile che non fosse servito dell’alcool.

Tuttavia gli imbarazzi a cui ci espone il presidente del Consiglio Renzi non sono nuovi. Nell’ottobre del 2015 in occasione della visita di Mohammed bin Zayed bin Sultan Al Nahyan, principe di Absanzioni ed imbarazziu Dhabi, ha coperto con una barriera con il Fleur de Lis, l’icona di Firenze, l’opera dello scultore americano Jeff Stone: Gazing ball.

La statua raffigura un uomo nudo in stile greco – romano che tiene in equilibrio una sfera di vetro blu su una spalla.

 

Chi beneficia della cessazione del regime delle sanzioni all’Iran?

L’Iran è stato sottoposto ad un duro regime di sanzioni da diversi attori importanti nel panorama internazionale: Stati Uniti, Nazioni Unite, Unione Europea, imposte dal 1979 in risposta alla crisi degli ostaggi del ’79-’81; mentre il Consiglio di Sicurezza ha implementato le sue prime sanzioni nel 2006 e nel 2007 l’ha seguito l’UE. Molte delle sanzioni riguardavano la violazione dei diritti umani, il terrrorismo internazionale e non erano collegate con il programma nucleare iraniano. Quindi molte di queste sanzioni resteranno.
Gli uomini d’affari americani e cittadini ordinari, resteranno, per la maggior parte, incapaci di fare affari con l’Iran senza una specifica autorizzazione.

L’Europa, dall’altra parte, è molto più vogliosa di togliere le sanzioni all’Iran, perché ne beneficeranno il settore finanziario, le imprese assicurative, il settore energetico, il trasporto e le spedizioni.
Quindi, mentre molte delle sanzioni americane resteranno, la cessazione delle sanzioni europee sarà fonte di benefici per una serie di industrie, soprattutto energetiche e dei trasporti.
L’industria finanziaria ne beneficerà in larga misura, perché proprio negli ultimi 3 anni, hanno proibito l’uso dello SWIFT, il sistema globale dei pagamenti, per condurre affari con le banche iraniane. La riammissione dell’Iran nello SWIFT darà il via a nuove opportunità per la finanza internazionale. Siccome le transazioni finanziarie riguardano tutti i tipi di industrie ci saranno significative opportunità che arriveranno dall’accesso dell’Iran al sistema globale dei pagamenti.
L’Iran è il quarto paese con le più larghe riserve di greggio e il secondo per le riserve di gas naturale dunque la cessazione del regime sanzionatorio europeo rappresenta una grandissima opportunità per le compagnie energetiche globali. Mentre le compagnie americane energetiche avranno un periodo più difficile, le imprese europee come la Royal Dutch Shell o la Total SA vedranno un incremento delle opportunità di affari. Tuttavia altre compagnie collegate all’industria del petrolio come quelle che costruiscono i camion o che forniscono i servizi sul campo dovrebbero beneficiare dell’apertura del mercato iraniano.
Il trasporto è un altro settore che vedrà benefici, dal momento che l’aviazione civile è una delle eccezioni nella lista delle sanzioni americane ancora imposte all’Iran, i produttori di aeroplani americani, la Boeing Co., dovrebbero vedere un aumento dei guadagni, come ha dichiarato il ministro dei trasporti iraniano che ha reso noto che rimpiazzerà almeno 400 aerei commerciali in una decade.
I produttori di autovetture avranno dei guadagni ingenti dal grande mercato iraniano. La Peugeot, il produttore francese, rimosso nel 2012 dal mercato iraniano che era  il suo secondo mercato più grande, è al momento in negoziazioni con un partner per riprendere l’assemblaggio delle auto come parte di un progetto di joint – venture in Iran.

L’Iran si adatta al mondo e non viceversa

La Repubblica Islamica è di nuovo in affari: ed è proprio quello che Teheran voleva e quello per cui è stato eletto Rohani. Una specie di redenzione imperfetta, incompleta.
Il fatto che molte delle sanzioni unilaterali degli Stati Uniti restano intatte e l’esistenza di incertezze sulla longevità dell’accordo sul nucleare, restringerà gli orizzonti della reintegrazione economica e geopolitica dell’Iran nella comunità internazionale.
La reintegrazione dell’Iran può essere una forza di stabilizzazione, ma sono se Teheran si riconcilia con se stessa con il mondo e non il contrario.

*l’immagine della statua è tratta da “thelocal.it”

Gennaio 20 2016

Implementation day oscurato dal Prisoner day

Implentation day

L’Implementation day, giorno in cui viene diffuso dall’IAEA il rapporto che verifica gli adempimenti dell’Iran viene quasi oscurato dallo scambio di prigionieri tra Stati Uniti ed Iran.

Cos’é l’ Implementation Day?

Il giorno in cui viene diffuso il rapporto IAEA che ha verificato che l’Iran ha adempiuto agli impegni previsti dall’accordo sul nucleare. Vediamo i punti salienti:

-Reattore Arak: l’Iran ha cessato di perseguire la costruzione del reattore Arak basato sul suo disegno originale e ha rimosso l’esistente calandria ( che è il contenitore cilindrico del reattore che contiene il moderatore di acqua pesante. È penetrato da capo a piedi da centinaia di tubi calandria, che aggiustano la pressione dei tubi che contengono il combustibile e il liquido refrigerante)e non é più operativo. L’Iran ha fatto tutte le modifiche necessarie al processo di produzione esistente del combustibile naturale uranio per la modernizzazione del reattore Arak.
La capacità di arricchimento é sotto 5060 centrifughe IR – 1; rimosso tutte le centrifughe aggiuntive e le infrastrutture sono a Natanz sotto continuo monitoraggio.
– L’arricchimento R&D non accumula l’arricchimento di uranio.
Nell’impianto di arricchimento combustibile di Fordow non si sta conducendo nessun arricchimento di uranio o relative R&D
– Produzione di centrifughe e trasparenza nella produzione di componenti delle centrifughe.
Simultaneamente, l’UE termina le disposizione del Regolamento del Consiglio 267/2012 e sospende le disposizioni corrispondenti alla decisione del Consiglio 2010/413/CFSP e gli stati membri cambieranno la propria legislazione successivamente. Le sanzioni tolte includono: la proibizione e autorizzazione a trasferimenti finanziari all’Iran e dall’Iran, su: attività bancarie, assicurazioni, supporto finanziario e commercio con l’Iran, prestiti, assistenza finanziaria, obbligazioni pubbliche garantite dal governo dell’Iran, petrolio, gas e settore petrolchimico.
Nello stesso tempo, gli Stati Uniti cessano l’applicazione delle sanzioni finanziarie e misure bancarie, nel settore petrolchimico ed energetico; transazioni con operatori portuali e spedizioni, commercio dell’Iran di oro e metalli preziosi e la rimozione di centinaia di individui ed entità dalla lista delle Specially Designated Nationals and Blocked Persons List (SDN List), the Foreign Sanctions Evaders List, ovvero the Non-SDN Iran Sanctions Act List. Gli stati Uniti si impegnano anche a permettere la vendita di aeroplani trasporto passeggeri e le relative parti e servizi esclusivamente per uso civile.

Lo scambio di prigionieri oscura l’Implementation day

Implementation DayIn un giro di valzer, l’annuncio del così detto “implementation day” è stato quasi oscurato da un separata ma ugualmente significativa svolta: il rilascio di 5 iraniani – americani detenuti a lungo in Iran.  Prese insieme queste pietre miliari rappresentano un importantissimo passo in avanti per l’Iran e per gli sforzi diffusi del suo presidente, Hassan Rouhani, per muovere il suo regime rivoluzionario verso una più grande moderazione sia a casa che all’estero.
Il rilascio dei prigionieri da parte dell’Iran, la maggior parte di doppia nazionalità iraniana – Americana non è stato un atto di generosità. Ogni uomo detenuto fu messo in prigione palesemente con accuse inventate e trattato in un modo terribile durante la detenzione, in cui in un caso è durata per più di 4 anni. La loro libertà avviene come parte di uno scambio di prigionieri che includeva la clemenza per sette iraniani detenuti negli Stati Uniti, così come la rimozione di 10 iraniani dalle liste dell’Interpol. Gli accordi non includevano l’uomo d’affari americano Siamak Namazi, che era detunuto da ottobre, neppure l’ex agente dell’FBI Robert Levinson che è scomparso in Iran nel 2007.
Il rilascio di 5 americani detenuti rappresenta un passo indietro iraniano su una questione centrale per le ideologie di regime. Per Tehran, imprigionare americani non era mai stato motivato dalla prospettiva di un profitto. Piuttosto, il centro di gravità all’interno dell’elite iraniana al potere rimane che c’è una cospirazione guidata dagli americani per il cambio di regime, facilitato da coloro che hanno la doppia nazionalità come quelli arrestati.
Teheran non prende alla leggera queste minacce percepite ed i suoi leader non rilasciano presunte spie americane volentieri. Questi mesi di negoziazione che hanno dato vita allo scambio di prigionieri racchiudono un considerevole investimento di capitale politico da parte di politici iraniani più pragmatici.
Ancora più significativo è il tempo dello scambio di prigionieri.Gli sforzi fatti per enfatizzare che i colloqui sul destino dei prigionieri erano distinti dai colloqui sul nucleare, il loro rilascio lo stesso giorno in cui iraniani, americani ed europei si erano riuniti per formalizzare l’adempimento dell’accordo sul nucleare fanno evidentemente associare il rilascio dei detenuti americani con l’accordo.
La confluenza dei due eventi rafforzerà soltanto la convinzione dei conservatori iraniani dei complotto e gli alleati americani nel golfo vedranno lo scambio di prigionieri come una prova di quello che hanno sempre sospettato e di cui hanno molta paura.
L’odierna leadership iraniana non cerca nè il pieno riavvicinamento neppure è preparata a pagare il prezzo che questa retromarcia potrebbe contenere.
Molti commentatori si sono focalizzati sulle rivalità delle fazioni iraniane, prendendo gli ultimi sviluppi come una vittoria dei moderati sui conservatori. Tuttavia questa enfasi sulle fazioni tende ad essere esagerata e troppo semplificata. L’assortimento iraniano dei gruppi politico – ideologici è fluido e multi – valente, essi cooperano anche se competono e le loro differenze verranno sovrastate dal loro comune impegno per la continuazione del sistema di governo.
In contrasto, le linee divisorie dell’autorità istituzionale nella Repubblica Islamica sono sempre state più strenuamente demarcate. La presidenza iraniana è costruita con un ruolo deliberatamente subordinato e ognuno dei predecessori di Rouhani si è irritato per le sue limitazioni.
Il successo è anche un testamento dell’amministrazione Obama nella diplomazia. I repubblicani nella campagna presidenziale sono stati molto vocali nel criticare le negoziazioni e le concessioni a Teheran, ma è difficile immaginare che ci sia una trazione aggiuntiva da vincere per aver liberato americani innocenti.

Gennaio 19 2016

L’accordo sul nucleare: capirlo in pochi facili passi

accordo sul nucleare

Iniziamo la rubrica “vedremo un McDonald a Teheran” cercando di capire cosa è l’accordo sul nucleare

L’accordo sul nucleare, partorito dopo 12 mesi di negoziazione, un successo per la diplomazia, che prevede una linea temporale di 10 anni. Ci sono diversi punti a sfavore.

Il 14 luglio 2015, giorno in cui è stato raggiunto l’ accordo su un piano congiunto di azione detto JCPOA sul nucleare in Iran hanno tutti gridato al trionfo della diplomazia, all’aver evitato una guerra. Ci sono voluti ben 12 mesi di negoziazione tra i P5 (Germania, Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Cina e Russia) e il “+1”: l’Iran.
Il testo ha un totale di 159 pagine, 18 rappresentano il JCPOA stesso, poi ci sono 141 pagine divise in 5 annessi. E’ un documento estremamente complesso, che cerca di abbracciare e indirizzare tutte le questioni sulle controversie del programma nucleare iraniano, da quali e quanti tipi di centrifughe per l’arricchimento dell’uranio l’Iran potrà mantenere operative, alle specifiche tecniche della trasformazione del reattore Arak in un design meno sensibile alla proliferazione a una quantità enorme di disposizioni dettagliate sulla precisa sequenza delle sanzioni che verranno revocate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea (UE).

Il 20 luglio 2015 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite adotta la risoluzione 2231 attraverso cui sostiene l’accordo sul nucleare.

Che cos’è l’accordo sul nucleare?

E’ un accordo di qui pro quo per il quale l’Iran accorda a delle significative limitazioni del suo programma nucleare civile e ad un’intesa attività ispettiva dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA) allo scopo di verificare la continua, pacifica natura del programma. Quindi i P5+1 hanno convenuto in una revoca coordinata delle sanzioni economiche e finanziare che sono state imposte all’Iran nei passati 6 anni sia dal Consiglio di Sicurezza agendo multi – lateralmente che dagli Stati Uniti e dall’UE in particolare, agendo unilateralmente.

Lo scopo dell’accordo

L’Iran verrà sostanzialmente trattato come uno stato che produce normalmente energia nucleare, al pari del Giappone, della Germania e di altri stati parte del Trattato del 1968 sulla Non – proliferazione nucleare.

L’implementazione

La precisa sequenza dell’implementazione degli impegni del JCPOA è stato uno dei temi maggiormente discussi. Il piano prevede approssimativamente una linea temporale di 10 anni. Tecnicamente il cosiddetto giorno in cui le risoluzioni del Consiglio di sicurezza avranno termine è stato programmato tra 10 anni a partire dal giorno dell’adozione che è stato pianificato essere 90 giorni dopo l’ ”approvazione” del JCPOA da parte del Consiglio di Sicurezza. La revoca finale di tutte le sanzioni unilaterali e multilaterali dovrebbe avvenire nel giorno cosiddetto di “transizione”, che è definito essere 8 anni dopo il giorno dell’adozione ovvero quando i rapporti della IAEA indicheranno che tutto il materiale nucleare iraniano è destinato ad un uso pacifico.

Meccanismo di risoluzione delle controversie

Viene creata una commissione congiunta composta da un rappresentante di Cina, EU, Francia, Germania, Iran, Russia, UK, Stati Uniti.
Pro: Creare un giusto processo, con scadenze predefinite in modo che le controversie non si possano prolungare all’infinito. Ogni membro del Consiglio di Sicurezza con potere di veto, potrebbe, assicurare che le sanzioni vengano re – imposte se non sono soddisfatte con i risultati delle deliberazioni della Joint Commission ovvero non sono soddisfatte con la performance della parte che è sotto esame.

Contro: l’Iran ha dichiarato che se le sanzioni vengono re – imposte in tutto o in parte, le tratterà come la base per  cessare di impegnarsi ad implementare l’accordo sul nucleare in tutto o in parte. Sarà molto più difficile per i governi legittimare ogni risposta al di fuori dal JCPOA, inclusa ogni risposta unilaterale, alle violazioni iraniane all’accordo intese a prevenire l’Iran dall’acquisizione di armi nucleari almeno e fino a quando il processo della commissione si sia esaurito.
Realisticamente, la volontà degli stati di tenere responsabili altre parti per l’implementazione ed intraprendere i passi necessari per farlo rispettare dipenderanno dalle circostanze che si paleseranno. Queste circostanze includeranno la performance dei termini specifici del JCPOA così come dinamiche politiche, economiche e di sicurezza più ampie, anche se il JCPOA è confinato alla materia relativa al nucleare.

Riduzione delle centrifughe IR-1s

Oggi, molte delle delle 19000 centrifughe di gas so a bassa capacità IR – 1s, ma l’Iran ha messo su macchine più avanzate IR – 2m e sta sviluppando modelli più potenti. Per 10 anni, l’Iran ridurrà di circa 2/3 le sue 19,000 centrifughe. L’Iran potrà avere solo 6,104 centrifughe IR – 1 di prima generazione installate e non ne potrà usare più di 5,060 per arricchire l’uranio. Per 15 anni, l’Iran non potrà costruire nuovi impianti di arricchimento, ma deve ridurre le sue scorte di uranio arricchito di circa 10000 chilogrammi a 300 chilogrammi (arricchite al massimo livello di 3,67 %). l’Iran sarà soggetto a strette limitazioni su tutte le centrifughe R&D per 8 anni. Lavori saranno permessi solamente su un numero limitato dei modelli più avanzati a condizione che le operazioni di controllo e di prova non contribuiscano alle scorte iraniane di uranio impoverito. Trascorsi 8 anni, le restrizioni sullo sviluppo di tecnologie avanzate verranno rimosse.

Pro: per 8 anni, il tempo che l’Iran necessiterebbe per produrre abbastanza uranio impoverito per un’arma nucleare, il cosiddetto “breakout time” – dai 2 ai 3 mesi sarebbe aumentato ai 12 mesi. La IAEA sarebbe capace di rilevare se l’Iran sta imbrogliando sui limiti di arricchimento in ogni impianto dichiarato.
Contro: l’Iran conserverebbe un programma di arricchimento su una scala che fino a questo momento non è stata giustificata dai bisogni pratici del paese. Dopo che le restrizioni da 10 a 15 anni saranno terminate, l’Iran potrebbe espandere le sue attività di arricchimento senza restrizioni sulla tecnologia, sul livello, e sulla locazione. Potrebbe anche sviluppare centrifughe più avanzate e più potenti, incluse quelle che sono oggetto delle restrizioni dell’accordo sul nucleare.

Il sito Natanz

Natanz è il  più grande sito iraniano  di arricchimento dell’uranio e la rivelazione che nel 2002 l’Iran l’aveva costruito in segreto fece scatenare la crisi nucleare. Infatti, ci sono due impianti di arricchimento a Natanz. Uno è una struttura di scala industriale disegnata per 50,000 centrifughe ed è al momento equipaggiata con più di 15,000 centrifughe IR – 1 e circa 1,000 IR – 2ms. Una seconda, più piccola è usata per le operazioni di verifica di centrifughe avanzate e in sviluppo e fino al 2013 arricchite al 20%. Secondo il JCPOA, l’Iran è limitata a tenere operative solo 5,060 centrifughe IR – 1 a Natanz per 10 anni. Tutte le centrifughe IR – 2m saranno rimosse e conservate in un programma monitorato dall’IAEA
Pro: per 10 anni, l’Iran sarà solo capace di arricchire usando le sue centrifughe IR-1
Contro: dopo 10 anni, l’Iran potrebbe iniziare ad incrementare l’arricchimento di uranio con centrifughe più avanzare, e quindi incrementando la sua capacità di arricchimento.

Il reattore IR – 40 ad Arak

accordo sul nucleareDal 2006, l’Iran ha sfidato le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che ordinavano la sospensione della costruzione del reattore IR – 40 ad Arak un reattore ad acqua pesante idealmente adatto alla produzione di armi al plutonio. Secondo il JCPOA l’Iran non completerà l’IR-40 come pianificato, ma modificherà il suo disegno, limiterà le sue attività che includono l’acqua pesante e rimuoverà dal reattore il combustibile irradiato. L’Iran si impegna a non ri – processare il combustibile spento per 15 anni e dichiara di non intenderlo farlo dopo.

Pro: la modifica del progetto IR-40 ridurrà significativamente la quantità del plutonio che potrebbe essere prodotto ad Arak e assicurerà che se l’Iran cerca di produrre armi al plutonio, lo potrà fare solo con piccolissime quantità.
Contro: dopo 15 anni, l’Iran potrebbe decidere di ri – processare il combustibile.