Dicembre 23 2015

L’Egitto di oggi è poi così cambiato?

Egitto oggi è cambiato?

L’Egitto del dicembre 2015 assomiglia molto all’Egitto degli ultimi mesi del 2010 e alla fine del dominio di Mubarak, durato tre decadi.

L’ Egitto di oggi assomiglia molto all’Egitto del tardo 2010 e ai mesi finali del dominio di Hosni Mubarak durate tre decadi. Il presidente militare non era affatto un sofisticato politico ed oggi come allora ci sono le lotte per il potere economico e politico tra i militari e gli uomini d’affari, abusi dei diritti umani, sofferenza economica,  gruppi jihadisti nel Sinai.  Significativo è il fatto che oggi queste situazioni appaiono più pronunciate.

La familiare “manipolazione esecutiva” della legislatura

I membri e la missione dell’eletta House of Representative con 598 seggi ci svela diverse somiglianze con il parlamento scelto qualche mese prima delle rivolte del gennaio 2011. La composizione del nuovo parlamento non rappresenta tutti gli egiziani, pochi dei quali si sono recati alle urne per il voto, che sia stato per scelta o per varie forme di esclusione, tutto ciò riflette lo stato della politica formale. Le forze di sicurezza e i militari sono invischiati nella politica più che mai. Sono ricomparsi sulla scena uomini d’affari molto ricchi e rampolli di vecchie famiglie.

I generali in pensione sia dell’esercito che della polizia hanno conquistato circa il 13% dei seggi in parlamento. Gli uomini d’affari hanno preso il 25% dei seggi, nel 2010  si attestavano ad un massimo del 20% , nel 2012 al 15%.
I Fratelli Musulmani, che nel 2012 hanno vinto circa la metà dei seggi in parlamento, sono stati esclusi. Il Salafi Nour Party, l’unico partito islamista che partecipava alle elezioni di quest’anno, ha vinto solo 12 seggi, il 2%, in netto calo rispetto al 2012 quando si attestava attorno al 25%. Molti dei partiti orientati verso i giovani che zampillarono nel 2011 si sono sciolti o sono stati marginalizzati; un nuovo partito, Future of the Homeland, che ha vinto sorprendentemente 50 seggi, guidato da un 24enne sostenitore del presidente Abdel Fattah al Sisi, sinistramente rievoca il Future Generation Foundation capeggiato dal rampollo dell’ex presidente Mubarak.
Il nuovo parlamento egiziano è stato chiamato a fornire il suo imprimatur alle azioni del tutto non democratiche iniziate dalla presidenza, come lo furono i parlamentari dell’era Mubarak, anche se le nuove azioni sono molto più estreme. Il primo compito dell’House of Representative è stato di approvare 260 leggi passate con decreti dal colpo di stato del 2013 che portò al potere al Sisi. La costituzione adottata nel 2014 sancisce che la validazione deve avere luogo nell’arco di 15 giorni da quando il parlamento si riunisce, non lasciando alcuno spazio per la revisione ed il riesame dei decreti. Per gli egiziani, questa sorta di “manipolazione esecutiva” della legislatura è un’altra condizione del tutto familiare.

Al di là dei trucchetti politici, l’inflazione che fa salire il prezzo dei beni di prima necessità, le proteste dei lavoratori per i salari bassi, ricordano molto la fine del 2010.

Lo sdegno pubblico per le morti causate dalla brutalità della polizia è un’altra triste somiglianza con quegli ultimi mesi del 2010. Diversamente dal 2010, tuttavia, non c’è un movimento giovanile dinamico che guida un più ampio ed articolato movimento di protesta: gli ex leader o sono in prigione o in esilio.

Invece quello che l’Egitto ha nel 2015 é una crescente ribellione, violenta e sfaccettata, composta e sopportata da islamisti e altre figure alienate dalla limitata politica formale mostrata nel nuovo parlamento, che minaccia di trascinare il paese in acque inesplorate.

Gli amici ritrovati

L’Egitto e l’Arabia Saudita verosimilmente, sono i due stati più influenti del mondo arabo e continuano ad esprimere la loro determinazione per rafforzare un’alleanza che è cresciuta sotto il presidente egiziano Abdel – Fattah al Sisi. Nel tardo luglio di quest’anno, Al Sisi, il ministro della difesa saudita e il vice erede al trono Mohamed bin Salman hanno firmato un accordo chiamato Cairo Declarationun progetto strategico per accrescere la cooperazione bilaterale in diverse aree, specialmente nell’ambito della difesa e dell’economia.

E’ dal 2013 che l’Arabia Saudita e altri stati del Golfo Arabo hanno aiutato il regime di al Sisi con miliardi in aiuti economici. L’Egitto, in cambio, è stato un partner della guerra guidata della monarchia saudita, contro i ribelli Houthi in Yemen e proprio la scorsa settimana hanno inviato 800 truppe di terra in quel paese.
L’obiettivo centrale della dichiarazione del Cairo, di creare una forza militare araba congiunta, semplicemente reitera una decisione presa durante il summit della Lega Araba in Egitto lo scorso marzo. Bizzarra una parte della Dichiarazione in cui si chiama ad una maggiore cooperazione economica facendo finta che l’Arabia Saudita non sia già la maggiore fonte di investimento arabo: 10 miliardi di dollari nel 2014. L’unico elemento nuovo di questa dichiarazione è la promessa di demarcare le frontiere marittime tra l’Egitto e l’Arabia Saudita, questo permetterebbe ai due governi di risolvere una disputa di sovranità su le isole di Tiran e Sanafir nel Mar Rosso, amministrate dall’Egitto ma rivendicate dai sauditi. Cosa che però non ha mai veramente minacciato i legami bilaterali tra i paesi.
La cooperazione tra l’Egitto e l’Arabia Saudita potrebbe permettere agli Stati Uniti di diminuire i suoi sforzi e allontanarsi da interventi nel Medio Oriente costosi, di larga scala, pericolosi e lavorare in maniera più diretta attraverso i suoi alleati.
Diplomaticamente il dialogo strategico tra gli Stati Uniti e l’Egitto, che è stato congelato dal 2009 a causa della violazione sistematica dei diritti umani e dei disordini politici in Egitto, sono ripresi quest’estate. Washington ha l’opportunità di ingaggiare l’alleanza egiziana – saudita strategicamente per massimizzare il coordinamento di alto livello politico e diplomatico tra i tre governi.
Un più grande coinvolgimento americano servirà anche per controbilanciare alcune sensibilità geopolitiche che circondano una più grande integrazione economica nella regione del Mar Rosso. Ad esempio Washington potrebbe esplorare vie per sostenere la costruzione del progetto di rete elettrica saudita – egiziana che permetterebbe ai due paesi di generare e condividere 3000 megawatt addizionali di elettricità durante le ore di punta attraverso un cavo di 12 miglia sotto il golfo di Aqaba.
Vale la pena di chiedersi se Washington possa capitalizzare l’attuale amicizia tra il Cairo e Riyadh e allineare le aperture egiziane e saudite con interessi regionali americani di lungo termine, cosa che potrebbe non essere nelle mani di Obama, ma in quelle del suo successore.