Agosto 27 2015

Siria: il vostro tavolo da gioco

La Siria è diventata un tavolo da gioco dove il rumore delle armi e il potere dei soldi dell’Iran, Russia, Arabia Saudita, Giordania, Turchia, Israele hanno soffocato, nel silenzio complice della comunità internazionale, il sangue di 4 anni di guerra civile.

Pensate ad tavolo rotondo marrone di quelli antichi, massicci, con sopra la mappa della Siria, plastificata lucida, i nomi delle città, le strade i confini. Intorno al tavolo sedie grandi rivestite di quel tessuto stampato in velluto con i fiori bordeaux, poggiate su enorme tappeto persiano, bello grande. Sul tavolo giusto perpendicolare un lampadario di quelli antichi con tante lampadine. Seduti su quelle sedie se ne stanno quelli che per denaro, per potere, spudoratamente continuano a giocare in un paese oramai dimenticato da tutti. Vediamo chi gioca e come.

Iran: i primi di agosto il ministro iraniano degli affari esteri, Zarif, visita Damasco, dove incontra anche il leader di Hezbollah, Nasrallah, poi si dirige in Pakistan ad Islamabad. Il suo ruolo principale: chiarire le implicazioni dell’accordo di Vienna sul nucleare (ricordo che quell’accordo è poi stato ripreso in toto e annesso alla risoluzione n. 2231 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, quindi vincolante per tutti e dico: tutti). Il commercio delle armi dell’Iran è molto importante per la Siria di Assad. La priorità di Khameini è quella di migliorare la propria difesa, negli ultimi anni si è visto come la sua stessa sicurezza sia inestricabilmente legata ad una rete di alleati regionali e di proxies che ha coltivato in Iraq, in Libano, e nella stessa Siria. Questo include Assad e una serie di milizie pro – governative, giusto per fare qualche nome, e lo farò in inglese perché mettersi a tradurre i nomi mi pare decisamente fuori luogo: National Defence Forces (la più grande rete di milizia), the Jerusalem Brigade, the Syrian Resistance, Syrian Social Nationalist Party, Popular Front for the Liberation of Palestine – General Command, Desert Falcons. Con tutti i miliardi spesi per il supporto ad Assad è assai improbabile che Teheran si faccia da parte. Aprile 2015, il presidente russo Putin, evidenziando i progressi nelle negoziazioni per l ‘accordo con l’Iran sul nucleare, dichiara d’avere una buona ragione per togliere il divieto di vendita degli S – 300 all’Iran, un potente sistema di difesa aerea, visto come un utilissimo mezzo per compensare la superiorità aerea degli americani e degli israeliani. Qualche giorno fa il presidente iraniano Rouhani ha rivelato che il paese ha prodotto il suo ultimo modello di SSM: il Fateh (vincitore) 313, missile balistico con un raggio di 500 km. Per Assad l’accordo di Vienna con tutta probabilità assicurerà la crescita di influenza politica e finanziaria del suo più affidabile alleato. Tanto per essere chiari: l’Iran con i suoi contatti politici, organizzazione e finanziamento sostiene il traffico di autocisterne che tengono a galla l’economia, le infrastrutture di Assad . Il sostegno finanziario dell’Iran, le spedizioni, hanno permesso l’acquisto di petrolio e di altri beni d’importazione essenziali. Tanto per capirci: all’inizio del 2013 la banca centrale siriana ha raggiunto un accordo con l’Iran di 3 miliardi di dollari di credito per coprire i rifornimenti di petrolio, parte di una più ampia linea di credito per un valore di circa 7 miliardi di dollari. Un totale di 17 milioni di barili di crudo sono stati spediti alla raffineria di Baniyas tra il febbraio e l’ottobre del 2013, finanziate da lettere di credito iraniane e trasportate da autocisterne dall’Iran e Iraq via l’oleodotto Sumed che attraversa l’Egitto. Il 19 maggio di quest’anno l’Iran e la Siria hanno firmato un accordo per una linea di credito di un miliardo di dollari che è per Assad una gran bella mano. E’ vero che tutte le sanzioni multilaterali e unilaterali secondo l’accordo di Vienna e la risoluzione verranno revocate non prima di 8 anni, immagino che però molti partner e molti ex partner commerciali dell’Iran, tra cui alcuni paesi membri dell’Unione Europea, possano chiudere un occhio sulla politica regionale iraniana se questo è il prezzo per prendere un pezzo della torta. Morale della storia: più soldi all’Iran, più soldi ad Assad.

Russia:  come abbiamo visto vende gli S- 300 all’Iran e si garantisce un bel controllo dell’area, ma contemporaneamente previene un intervento armato americano, perché diciamocelo la Russia è sempre rimasta fissata con l’idea della guerra fredda. Importantissimo, la Siria è sempre stata un cliente fisso dell’industria di difesa russa, tra l’altro molti ufficiali siriani sono stati addestrati in Russia, sposati a donne russe. Putin ha bisogno di quei soldi, ricordiamoci che le sanzioni per la storia dell’Ucraina hanno un costo per l’ economia russa e i soldi servono. La Siria è centrale per le aspirazioni geopolitiche russe, continuano a tenere una struttura di riparazione e rifornimento per la marina russa al porto di Tartus, dove peraltro avevano investito molto denaro per la ristrutturazione poco prima che iniziasse la guerra civile nel 2011. Le aspirazioni russe nel rivestire un ruolo importante nel Mediterraneo dell’est e nel medio oriente sono vive e vegete. Così si è offerta recentemente di ospitare colloqui di pace a Mosca ricevendo Khaled Khoja, il presidente del National Coalition for Syrian Revolution e le forze opponenti.

Arabia Saudita: l’attività diplomatica continua ad avere un profilo molto alto, il ministro degli esteri e della difesa da giugno si focalizzano sul trovare una posizione comune con la Russia. La sicurezza è cruciale e la Siria è terreno fertile di estremisti islamisti non graditi alla monarchia.

Giordania: la sicurezza delle sue frontiere è la sua preoccupazione maggiore. Rinforza la sorveglianza delle frontiere e si allea con gli Stati Uniti nella coalizione anti Stato Islamico.

Turchia: l’assillo di Erdogan, a parte le sue personali aspirazioni di leader regionale, è quello di prevenire la formazione di un Kurdistan nel nord della Siria e con la scusa di fermare lo Stato Islamico, una bomba a loro ed una ai curdi. Una cosa diversa però Ankara l’ha fatta: diminuire le relazioni con Israele. Sì perché Israele ultimamente ha avuto non pochi problemi con l’accordo sul nucleare. Continuano le relazioni commerciali certo, ma la diplomazia sembra essersi imbalsamata.

Israele: non gli è andato giù per niente l’accordo di Vienna, definendolo un errore storico, ripete che il più grande pericolo per Israele é l’arco strategico che si estende tra Teheran, Damasco e Beirut. Raid israeliani  bombardano un’importante via di rifornimento usata da Hezbollah  nelle montagne di Qalamon (area che include una serie di strade che Hezbollah usa per trasferire esseri umani e supporto logistico dentro e fuori dal territorio siriano). Ha bombardato poi 14 postazioni del regime siriano nella parte siriana delle alture del Golan tutto in risposta ad un bombardamento del regime in un villaggio del nord di Israele.

NATO:  con un annuncio a sorpresa del 16 agosto  in cui si dichiara che il dispiegamento dei Patriot finirà a gennaio 2016, si evidenzia un crescente vuoto, oserei dire, tra gli Stati Uniti e i suoi alleati che non è compensato dal recente accordo che consente che aerei americani possano decollare per missioni di combattimento dalla base di Incirlik in Turchia.

Sul tavolo di questo gioco c’è lo Stato Islamico e una serie di gruppi estremisti, piccoli e grandi che si muovono in questo vuoto di potere. Non fanno più notizia i bombardamenti al mercato di Douma di Assad, le foto dei bambini morti. Da poco qualcuno si è accorto che ci sono i profughi siriani e li accolgono perchè sono in fondo dei filantropi. La disgrazia di questo paese è essere un tavolo da gioco, un punto geopoliticamente importante dove il rumore delle armi e quello silenzioso, ma potente dei soldi, coprono il sangue, la miseria, la distruzione. E così Signori, fate il vostro gioco, rien ne va plus.

Agosto 24 2015

L’insospettabile protagonista in Yemen

Gli Emirati Arabi Uniti insospettabili protagonisti di una campagna terreste in Yemen, si tolgono dallo schiaffo della monarchia saudita mostrandole chi ha i muscoli nella Regione. Alleati con gli Stati Uniti sono pronti a difendere la propria sicurezza in Yemen e dovunque sia necessario.

In Yemen  le forze fedeli al Presidente Abdrabbuh Mansour Hadi combattono contro i ribelli conosciuti come Houthi. Fosse solo così sarebbe una guerra civile come tante, ma la situazione è complicata dall’emergere verso la fine del 2014 di un affiliato yemenita del gruppo che si conosce con il nome di Stato Islamico (IS) , Wilayat al-Yemen, o Provincia dello Yemen, che cerca di eclissare la presenza di Al Qaida della Penisola Araba (AQAP). Sia Hadi che gli Houthi sono opposti ad AQAP e IS.  Dopo che a fine marzo di quest’anno i ribelli avevano preso d’assalto Aden, una coalizione, guidata dall’Arabia Saudita, ha risposto ad una richiesta di Hadi di intervenire e così è stato. La coalizione comprende 5 Stati del Golfo aArabo, Giordania, Egitto, Marocco e Sudan.

Il Re Salem e suo figlio Salman, avrebbero voluto guidare anche una coalizione di terra, ma dopo aver chiesto aiuto all’Egitto e nella visita al Cairo aver ricevuto un sonoro no, nonostante l’Egitto sia legato a Riyadh da finanziamenti per billioni di dollari. Altro paese indebitato con l’Arabia Saudita a cui è stato chiesto aiuto per un invasione di terra: il Pakistan, ha declinato un coinvolgimento in questo senso. L’azione in Yemen della monarchia saudita quindi si risolve in bombardamenti aerei, blocco navale, addestramento di soldati anti – houthi aiutati dall’Egitto e dal Senegal.

Ed ecco che sulla scena compare un insospettabile protagonista: gli Emirati Arabi Uniti, ma non come satellite di Riyadh ovvero al suo comando. Pur condividendo gli stessi interessi politici e di sicurezza, soprattutto per la minaccia Iran e dei gruppi islamisti e avendo lavorato fianco a fianco sostenendo el Sissi in Egitto ed ora contro gli Houthi in Yemen, le strategie politiche delle due potenze sembrano prendere decisamente due strade diverse.

Gli Emirati Arabi Uniti possiedono una delle più potenti aviazioni militari  della regione, con più di 60 versioni avanzate dell’F-16 fighter jet (prodotto in America), un numero simile di Mirage 2000 fighter (produzione francese). Nel 2011 hanno partecipato  alle operazioni contro il Col. Geddafi in Libia, a fianco degli Stati Uniti contro lo Stato Islamico in Libia e nello Yemen. Gli Emirati hanno intenzione di usare la forza contro i militanti islamisti molto di più di quanto abbia fatto l’Arabia Saudita. Quest’ultima s’era opposta alla Fratellanza Islamica in Egitto MA insieme alla Turchia supportano in Siria: Jaish – al – Fatah ovvero the Army of Conquest, una struttura di comando per gruppi jihadisti che include anche Jabhat al Nusra. Army of Conquest ha un centro di comando nelle provincia del nord siriano di Idlib. Ufficiali turchi hanno ammesso di fornire supporto logistico e di intelligence al quartier generale di Army of Conquest che ha al suo interno ben sette gruppi jihadisti. Materiale di supporto come armi e denaro invece arriva dai sauditi con i turchi che facilitano il passaggio attraverso i villaggi di frontiera di Guvecci, Kuyubasi, Hacipasa, Basalan, Kusakli, Bukulmez.

Abu Dhabi ha instaurato una forte relazione con gli Stati Uniti, inter alia, ospita gli F-22 Raptor e ad Al – Dhafra ospita l’Air Warfare Center dal 2004. La realtà è che gli Emirati hanno bisogno di partner fuori dalla regione per garantire la propria sicurezza: diventando militarmente utile per questioni di mutuo interesse, aumenta il proprio valore agli occhi degli Stati Uniti.

Agli inizi di agosto di quest’anno hanno deciso di fare di più inviando 3500 soldati in Yemen (sud del paese) con veicoli armati e armi pesanti. Sbarcati ad Aden si sono aggiunti alle 100 forze speciali che si trovano nel paese dallo scorso maggio. Ricordo che gli ostaggi inglesi sono stati liberati proprio dalle forze speciali degli Emirati. Notizia passata così un po’ sottotono. Ed invece la campagna terrestre del sud dello Yemen che ha cacciato gli Houthi da Aden e dalla provincia Lahj (sede della più grande base militare del paese)  pianificata e condotta  dagli Emirati segna la prima volta che uno Stato del Golfo manda propri cittadini in una guerra dopo l’esercito del Kuwait che fu sonoramente battuto da Saddam Hussein in Iraq nel 1990.

L’interesse di Abu Dhabi è che possa in questo modo forzare  la formazione di un governo a loro congeniale a Sanaa. Fatto più importante:  Abu Dhabi ha messo in chiaro una volta per tutte che  a) non ha paura a mandare proprie truppe in altri paesi per stabilizzare conflitti fucina di gruppi fondamentalisti e che non è affatto il fanalino di coda della monarchia saudita, ma è pronta ad allearsi con le potenze occidentali per la propria sicurezza e di altre parti della Regione. Per la serie : watch out!

 

 

*fonte foto: www.armyrecognition.com

Luglio 10 2015

A me Tsipras non sta simpatico

No, non mi è simpatico neanche un po’, perché trovo che “usare” il popolo greco per i suoi show verso l’Europa o verso possibili apparentamenti di convenienza è da stronzi. Tutti ad applaudirlo per aver usato la democrazia. Allora cosa avrebbero dovuto dire i greci dopo essere stati in fila per delle ore a ritirare gli ultimi risparmi nelle banche, dopo 5 anni di condizioni miserevoli, di una contrazione del 25% del PIL ed il 25,6% di disoccupazione?  Hanno detto:  noi non vogliamo stare nell’Eurozona, non vogliamo più l’Euro; e cosa fa questo baluardo della democrazia cerca un accordo con l’Europa per restare nell’Euro. E finalmente si decide a proporre una serie di misure, roba che sono anni che La Banca Centrale Europea gli chiede di varare RIFORME STRUTTURALI, un’occhiatina alla corruzione? Voglio dire l’ha dichiarato un medico greco che la sanità è praticamente una mazzetta gigante persino per le prestazioni obbligatorie del medico di famiglia. Ah no, oggi questo geniale Primo Ministro greco propone un aumento delle tasse sulle compagnie marittime, tagli alle spese della difesa, prevedendone un ulteriore dimezzamento nel 2016 (poi mi spiegherà con quali soldi contribuirà come paese membro della NATO),  privatizzazione degli assetti statali come il porto di Piraeus (grande colpo di genio, così magari se lo prende una bella compagnia russa) e aereporti regionali. Il colpo di genio, poi:  aumento IVA per hotel e ristoranti, taglio alle pagamento delle pensioni dei più poveri e aumento delle tasse per le isole. Gli agricoltori perderanno il loro trattamento preferenziale per le tasse e i sussidi sui carburanti.

Intanto il popolo ha proprio detto NO all’aumento delle tasse; all’interno del suo partito, coloro che credevano nella buona fede di Tsipras hanno dichiarato che non voteranno questo pacchetto di misure.

Qui non si tratta più di una crisi finanziaria ed economica, ma di un Primo Ministro con manie di grandezza che prende in giro il suo popolo che s’incontra con Putin per spaventare i creditori. Vi confesso che per un minuto ho creduto che fosse così intelligente da voler dimostrare che l’Eurozona è stata mal concepita che non c’è mai stata un Unione Monetaria; che inglobare economie divergenti era un errore. Ho finanche pensato che iniziasse a farsi stampare la Dracma :” se il mio popolo dice che non vuole l’ Euro così sia. E non importa se tiro dentro anche altri paesi, l’Euro zona o si rivede o fuori”.

Da un punto di vista meramente di politica internazionale, dubito che la Cina possa entrare in partita, a parte che ha già una bella gatta da pelare con la sua crisi economica, è più orientata a commerciare con i paesi europei in euro e con la totalità dell’Unione Europea. La Russia sì, è interessata ai porti, ma se Assad cade e dopo aver risolto il problema ucraino. Sono curiosa di sapere se Tsipras ha considerato che la Grecia è anche un membro della NATO e quanto gli costerebbe in termini di politica estera uscirne o trovarsi a non poter contribuire neanche con una pistola.

Chiediamoci perchè il ministro dell’economia greco, Varoufakis si è dimesso all’indomani del referendum e non un ministro come quelli italiani che prima giocavano a monopoli e poi si sono messi a capo del dicastero dell’economia.

Insomma Tsipras non ha utilizzato il NO del referendum come si conveniva: uscire dall’euro, ma per avere una chance in più per farsi prestare altri soldi. Chapeaux simpaticone.

 

* immagine di:  realsourceofjokes.blogspot.com

Giugno 24 2015

EUNAVFOR Med: solo una pezza a colore

La gestione del flusso  dei migranti mi fa venire in mente le “toppe”, le “pezze a colori” che si mettono su un buco, uno strappo. L’altro giorno sono stata alla stazione Tiburtina, non ho visto nessun campo, ma ho pensato che quest’allestimento super pubblicizzato, quando per anni e anni alla stazione ci sono stati migliaia di senza tetto, di ogni colore che si addormentavano li, chi chiedeva l’elemosina, chi vendeva gli asciugapiatti, chi i calzini; e mi è parso proprio che l’intento dietro l’allestimento di questo campo sia quello di mettere la polvere sotto il tappeto e di fare dei gran bei spot pubblicitari per la Croce Rossa che non ho mai visto alla stazione Tiburtina quando per esempio pioveva e si bagnavano i cartoni dei barboni e le coperte tutte zuppe, non ho mai visto distribuire pasti gratis…che strano, davvero. Vado da anni tutte le settimane a Roma e non ho mai visto tutta questa carità prima d’ora…INCREDIBILE!

A parte questa riflessione di morale, che chiaramente non hanno tutti quei giornalisti che sono li a fare domande del tipo: “ma ti hanno sparato?”; “vieni dall’Eritrea e hai preso il barcone in Libia?”, ” ti hanno picchiato?”, cerchiamo di fare un po di chiarezza sull’operazione EUNAFOR MED.

Quest’operazione così pubblicizzata come la migliore idea per risolvere il problema è in assoluto l’operazione più ridicola che si potesse mai ideare e peggio ancora realizzare. Consta di tre fasi sequenziali. La prima: sorveglianza e valutazione del traffico di esseri umani, delle sue reti, la seconda e la terza: individuazione e distruzione degli assetti dei trafficanti sulla base del diritto internazionale e di una partnership con le autorità libiche. Vediamo quindi punto per punto l’idiozia insita in questo programma. Prima vorrei portare alla vostra attenzione quanto accaduto in sede di redazione del testo di questa operazione che ci viene spiegato dal nostro ministro della difesa: “in vista di un eventuale risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (non si sa bene poi cosa dovrebbe decidere) la parola “affondamento dei barconi” è stata modificata in “eliminazione”. Ovviamente è chiaro a tutti che affondare una barca è diverso da eliminare. Questo perchè evidentemente anche il nostro ministro della difesa è colto da quel disturbo cognitivo e comportamentale per cui se uno mette una parola più figa tutto suona molto meglio. Perchè chiaramente distruggere (disrupt) come recita il testo inglese vuol dire che sul barcone non rimane più nessuno se fosse in mare e invece ancorato al porto, è oltremodo palese che sulla barca del trafficante c’ ha scritto: “trafficante” e quindi sono in grado di effettuare un eliminazione selettiva rispetto a tutte le barche ancorate in un porto, sapendo che i porti della Libia sono talmente piccoli che ci saranno solo le barche dei trafficanti. Probabilmente saranno tutte quelle con scritto “Caronte”. Quindi il problema si risolve eliminando il mezzo di trasporto. Allora facciamo un esempio: io elimino tutte le imbarcazioni dei trafficanti e tutti coloro che hanno attraversato almeno altri due Stati per arrivare in Libia tornano indietro.

Altro punto del tutto trascurato: le autorità libiche. Mi sorge spontanea una domanda: “quali”? Non ci sono forse due compagini governative che pensano di essere entrambe le rappresentanti del popolo libico, non ci sono forse una serie innumerevole di schieramenti, più di 300 partiti politici e soprattutto l’ambasciatore alle Nazioni Unite del governo riconosciuto dalla comunità internazionale (e qui evito in questo post di parlare del riconoscimento degli stati perchè anche qui ci sarebbero una serie di argomentazioni che sconfesserebbero tutti quei luminari che insistono che siccome tre paesi l’hanno riconosciuto allora è un governo legittimo) ha dichiarato proprio mentre si redigeva il testo di EUNAVFOR MED che non avrebbe mai dato il consenso per eliminare le barche nel territorio libico (quindi anche nelle acque territoriali). Il governo di Tobruk dalla parte sua non ha assunto finora nessuna posizione ufficiale. Saranno ottimisti e penseranno che prima o poi lo daranno o ne faranno a meno come tante volte si fa per un Bene Superiore, quello di mettere le pezze ovviamente.

La parte che più mi fa ridere è la frase :”in accordo con il diritto internazionale”, che evidentemente nessuno conosce. L’uso della forza previsto dall’operazione viola la proibizione dell’uso della forza sancita dall’art. 2 (4) della Carta Nazioni Unite, a meno che non si applichi una di queste eccezioni. L’attacco alle navi potrebbe essere qualificato come “law enforcement” piuttosto che “uso della forza” (Guyama v Suriname), ma sarebbe ugualmente illegale nel territorio ovvero nelle acque territoriali di uno stato in assenza di queste eccezioni: l’auto – difesa e l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza. L’eccezione dell’auto – difesa non è applicabile perchè non c’è un attacco armato contro un paese dell’UE da parte di Stati Africani o dai trafficanti (punto che sarebbe rilevante se si riconoscesse un diritto all’auto – difesa contro attori non – statali). Si potrebbe verificare il diritto degli Stati all’uso della forza per proteggere i propri cittadini, peccato che i cittadini europei non siano nè minacciati nè coinvolti nei traffici. L’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza secondo il capitolo settimo della Carta NU. Il Consiglio di Sicurezza concesse l’autorizzazione per l’Operazione Atalanta (anti pirateria, coste somale); tuttavia l’autorizzazione fu data a condizione che ci fosse il consenso del governo somalo. Altro problema: i 5 membri permanenti ed in particolare la Russia. La vedo difficile che non apponga il veto soprattutto dopo l’abuso che i paesi occidentali hanno perpetrato quando fu concessa l’autorizzazione del 2011 proprio in Libia. Il Consiglio di Sicurezza però emana l’autorizzazione all’uso della forza quando è necessario per “mantenere la pace e la sicurezza internazionale (art.42) ovvero in presenza di una minaccia o violazione della pace ovvero per un atto di aggressione (art. 39). Una via plausibile sarebbe quella di arguire che la situazione nel Mediterraneo costituisca una minaccia alla pace; con la Risoluzione 668 (Iraq: trattamento della popolazione curda) il Consiglio di Sicurezza stabilì che un massiccio flusso di rifugiati verso e oltre le frontiere internazionali costituisse una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale.

Inoltre se si concedesse l’applicazione delle norme di diritto internazionale umanitario, le navi dei trafficanti sarebbero intitolate alla protezione come “oggetti civili”. Le attività dei trafficanti non si qualificano come pirateria secondo l’articolo 101 della Convenzione sul diritto del Mare (UNCLOS) e in ogni caso secondo l’art. 105 la forza può essere utilizzata sono nelle acque internazionali.

Concludendo, l’uso della forza non avrà granchè di basi giuridiche e non risolverà il problema. Resta più facile far andare avanti il carrozzone così perché affrontare le condizioni degli Stati da cui provengono i migranti richiederebbe uno sforzo molto più grande e non di denaro giacché il costo di EUNAFOR MED è di 11, 82 milioni di euro solo per i due mesi di start up, ma uno sforzo di politica estera europea che richiederebbe una serie di expertise di cui evidentemente il carrozzone europeo non è assolutamente dotato ed avendo alla guida proprio della politica estera la persona più inadatta della storia di tutti i tempi: la Mogherini.

 

 

Giugno 4 2015

Il calcio e la politica internazionale

Ci si potrebbe chiedere: ma con tutto quello che ha da fare l’FBI possibile che si mette ad indagare sulla FIFA?. Gettare fango su un rito di milioni di persone, su quelli che prendono a parolacce la telefonista Premium perchè non attiva la carta per vedere una partita (la sottoscritta). La corruzione, sì, che storia trita e ritrita, dicono gli affezionati del bar e del caffè corretto fuori dallo stadio.  Ed allora proviamo a guardare la situazione da un punto di vista di politica internazionale.

L’ “affair” FIFA è come un microcosmo di più ampie tensioni che affliggono le istituzioni internazionali e ci offre una lezione magistrale, oserei dire, sui limiti da parte dei paesi occidentali di fare appello alla moralità e alle regole di legge per influenzare la pubblica opinione globale.

L’ex segretario generale delle Nazioni Unite dichiarò che la Coppa del Mondo FIFA è  uno dei pochi fenomeni universali pari alle Nazioni Unite (NU). Infatti le 209 associazioni nazionali di calcio che formano il congresso FIFA sembrano essere “sensibili” alla geopolitica così come i diplomatici che siedono nel Consiglio di Sicurezza e nell’Assemblea Generale.

Osservando l’ “affair FIFA” sembra di essere davanti all’ ultimo esempio di come gli Stati Uniti e i suoi alleati europei cerchino di tenere ben salda la presa su istituzioni internazionali malgrado le oscillazioni dell’equilibrio del potere globale. Il “caso Blatter” arriva in un momento in cui Washington e i suoi amici stanno diventando incredibilmente diretti nel voler stabilire le regole del gioco multilaterale. Washington è stata colta di sorpresa dalla decisione della Cina di lanciare la Banca asiatica d’investimento in infrastrutture, un possibile primo passo per sfidare gli organismi a guida americana come la Banca Mondiale. Parlando di un patto sul commercio nel Pacifico, Obama dichiara che bisogna essere sicuri che gli Stati Uniti, e non paesi come la Cina, siano tra coloro  che scrivono le regole del secolo per l’economia mondiale. Quindi dopo l’economia sembra che gli Stati Uniti vogliano scrivere le regole del calcio mondiale.

Il Congresso della FIFA prevede che ogni singolo membro abbia un singolo voto, di uguale valore rispetto a quello di qualsiasi altro membro. Dove gli Stati Uniti non esercitano nessun controllo diretto. Un altro esempio di un voto = un membro, nei consessi internazionali, è la Conferenza Generale dell’UNESCO.

Sebbene le decisioni dell’UNESCO interessano molti, ma molti meno di quelle della FIFA, Washington ha tagliato i fondi a quest’ organismo internazionale dopo che ammise la Palestina come membro nel 2011. L’amministrazione Obama ha sempre fatto del suo meglio (e continua a farlo) per trarre i propri vantaggi e crearsi legami nei forum delle NU come l’Assemblea Generale o il Consiglio dei Diritti Umani.

Questo scandalo sembra un tentativo di cortocircuitare il governo dell’organizzazione e se Washington e l’Europa non possono deporre Blatter attraverso delle procedure formali di governance perché non creare lo scandalo nel momento giusto? Le critiche americane alle NU guidarono Annan in un disonorevole e precoce pensionamento nel 2005 proprio per accuse di corruzione.

Mi sembra improbabile che gli Stati Uniti investano ingenti capitali politici per fomentare un vero e proprio ” coup d’etat” per uno sport che non è esattamente lo sport nazionale, anche se la sua squadra femminile se la cava gran bene.

Blatter potrebbe o no aver beneficiato direttamente o indirettamente di pratiche corrette nel corso degli anni, ma sicuramente ha beneficiato della sfiducia che oggi c’è attorno alle regole multilaterali e nelle istituzioni ed è questa l’altra grande lezione da trarre da questa storia. Che l’America Latina, qui dove il calcio scorre nelle vene di chiunque, sia la zona maggiormente colpita dallo scandalo e che sia accaduto al momento giusto nel posto giusto, questo è un altro ulteriore esempio di come si piloti l’equilibro globale. ” Cari amici del Brasile, del Paraguay, dell’Argentina, del Cile, gli affari si fanno se la smettete di dire che la corruzione è un modo di vivere. Firmato Barack Obama”. Ecco il messaggio veicolato attraverso quello che è lo sport più seguito in questi posti.

Noi, popolo dei tifosi del calcio, continueremo a seguire questo bellissimo sport credendo nella genuinità di quei bambini che giocano sentendo i propri genitori inveire contro l’arbitro. Lo seguiremo mangiando il gelato alla fine del primo tempo, perchè è un rito e se non si fa porta sfiga. Continueremo ad andare da Gianni il vinaiolo giallorosso e a salutarlo affettuosamente dopo che la sua squadra ha perso, non accettando lezioni di morale da paesi che finanziano gli estremisti.

Marzo 8 2015

Che cos’è il terrorismo? (versione aggiornata)

terrorismo

Il terrorismo è una tecnica usata da molti, differenti tipi di gruppi.

Quando parliamo di terrorismo internazionale ci riferiamo agli atti perpetrati da attori internazionali, da organizzazioni transnazionali, distinguendolo così dal terrorismo domestico, cioè interno ad un singolo stato. Il terrorismo domestico non è oggetto di vasta copertura mediatica come il terrorismo di attori internazionali, ma conta per una larga maggioranza di attacchi.

Il terrorismo è una tecnica che è stata usata per millenni, da differenti gruppi che si sono adattati al mutamento delle circostanze. Le organizzazioni transnazionali oggi, si sono evolute in reti che forniscono una mutua assistenza. Al Qaeda prima e lo stato islamico poi hanno strutture di rete. Altri gruppi terroristici hanno sviluppato legami con le organizzazioni criminali, specialmente quelle coinvolte nel traffico della droga o nel traffico di esseri umani.

Terrorismo internazionale: definizione giuridica

Una delle questioni più controverse e dibattute è la definizione giuridica di terrorismo internazionale. Il Consiglio di Sicurezza ha quasi sempre evitato di fornire una definizione: si è assunto, autoritariamente il potere di stabilire, a prescindere da qualsiasi definizione, quali individui o gruppi o quali precisi atti debbano essere qualificati come “terroristi” per poi adottare le misure repressive. Il problema principale della definizione di terrorismo internazionale condivisa dalla comunità internazionale sta nella circostanza che molti vogliono escludere gruppi che appoggiano, finanziano e includere gruppi che vogliono eliminare dalla scena.

I concetti chiave

Tuttavia ci sono dei concetti chiave da tenere bene a mente. Proviamo a dare una definizione di terrorismo relativamente neutrale che riconosce il principio base per cui il terrorismo è una tecnica usata da molti differenti tipi di gruppi. Essa include cinque elementi: (1) l’uso della violenza o la minaccia della violenza (2) da parte di un gruppo organizzato (3) per raggiungere obiettivi politici. La violenza (4) è diretta contro un obiettivo che si estende oltre le vittime immediate, che spesso sono civili innocenti. Inoltre (5) mentre un governo può essere sia il perpetratore della violenza sia l’obiettivo, è un considerato un atto di terrorismo solo se uno dei due attori non è governativo.

Sebbene l’organizzazione sia necessaria per il successo nel raggiungimento degli obiettivi, individui potrebbero operare in affiliazione con un gruppo. Anders Breivik, il norvegese di estrema destra che mise una bomba ad Oslo e andò in giro a sparare contro i giovani membri del partito labourista, si vedeva come un soldato di un’ ampia guerra contro i musulmani invasori dell’Europa e dei loro alleati locali e dei politici di sinistra.

Categorizzare gruppi secondo i loro obiettivi

Non esiste una singola causa che possa spiegare l’insorgenza di questi tipi di violenza. E’ un fenomeno complesso, dalle mille sfaccettature. Le motivazioni però ci danno una chiave di lettura che può essere usata per categorizzare i gruppi nei termini dei loro obiettivi. Le tipologie base sono: religiose, etniche o nazionaliste e ideologiche. Tuttavia ci sono gruppi che più difficilmente possono essere messi in una categoria, proprio per la complessità delle loro motivazioni.

I gruppi religiosi ovviamente sono quelli che nel ventunesimo secolo ci vengono subito alla mente. Deve esservi molto chiaro quello che sto per scrivere: il terrorismo religioso non è limitato alle organizzazioni islamiche, poiché gruppi estremisti di altre tradizioni religiose hanno usato questa tecnica. Facciamo esempi:

– le violente attività del movimento anti – aborto negli Stati Uniti sono basate su punti di vista cristiani;

– il credo cristiano è stato usato per giustificare la pulizia etnica contro i mussulmani in Bosnia;

– un estremista ebreo ha assassinato il primo ministro Yitzak Rabin per aver fatto concessioni ai palestinesi;

– Aum Shrinrikyo voleva attaccare la società giapponese per pulirla dagli impuri.

Poi ci sono i gruppi definiti secondo le loro identità linguistiche ed etniche. Solo per fare qualche esempio: il gruppo basco Euzkadi ta Askatasuna (ETA Basque for Homeland and Freedom) ha iniziato ad usare la violenza nel 1968. Le Tigri del Tamil che volevano l’indipendenza o perlomeno l’autonomia nelle aree dello Sri Lanka dove i Tamil sono la maggioranza.

Cause

Le cause del terrorismo sono, per molti versi, simili a quelle di altre forme di violenza politica (come le rivolte, le ribellioni, i coup d’etat e le guerre civili). Individui nella società  frustrati nella loro incapacità di ottenere quello che ritengono essere per loro il necessario cambiamento, avendo fallito con altri mezzi, ricorrono alla violenza. Ci tengo a sfatare un altro luogo comune: il terrorismo non è prevalente nei paesi poveri, non c’è l’assoluta evidenza che il terrorismo sia legato alla povertà in una relazione sistemica. Le caratteristiche generali di un sistema politico possono essere un fattore. Democrazie con limiti nella sicurezza danno spazio ai terroristi. Una partecipazione politica limitata e la repressione da parte di forze governative. Stati deboli come lo Yemen hanno permesso a gruppi come Al- Qaida nella Penisola Araba di operare pressoché indisturbati, la guerra civile di 5 anni in Siria ha permesso allo stato islamico di penetrare, così come il protratto vuoto di potere in Libia.

Concetti chiave:

1. il terrorismo è una tecnica che è disponibile per differenti tipi di gruppi che perseguono diversi tipi di obiettivi;

2. il terrorismo è un problema che risale a ben prima gli attacchi dell’11 settembre;

3. il terrorismo non è unico dell’Islam e del Medio Oriente.

 

Gennaio 2 2015

5 ragioni per unirsi allo Stato Islamico

Mi sono sempre chiesta quali ragioni potessero spingere le persone ad unirsi allo Stato Islamico. Motivazioni che non includessero la teologia; quale potesse essere la scintilla che scatena l’ “attrazione fatale”. Ho provato a riassumerli in cinque punti. Ho scelto le motivazioni razionali per cui non troverete argomentazioni di tipo filosofico/psicologico per cui un giovane inglese piuttosto che norvegese si unisce alla causa dello Stato Islamico. Qui si prende in considerazione la popolazione araba nel suo complesso, che è la fetta più consistente di appartenenti all’organizzazione.

1) Il sistema educativo arabo ha fallito. Invece che su talenti analitici vitali o su valori civili, le scuole hanno posto l’accento sulla acritica accettazione dell’autorità con un sistema di apprendimento molto basico. Curricula storici e religiosi hanno dato impulso e diffusione alla mentalità “noi- contro – voi” lungo linee etniche, ideologiche e settarie, rendendo i giovani vulnerabili alle influenze esterne. Tutto ciò ha contribuito alla trasformazione del panorama culturale delle città arabe, facilitando la diffusione delle ideologie militanti e del precoce indottrinamento della parte della popolazione più giovane.

2) La mancanza di opportunità economiche e un indebolimento del sistema del cosiddetto “welfare”, hanno spinto i cittadini a rivolgersi altrove. La liberalizzazione economica degli stati arabi ha minato i sistemi di welfare esistenti, rimosso le garanzie di pubblico impiego senza produrre alternative. I governi arabi non hanno promosso investimenti in settori produttivi e le loro economie non hanno generato il numero o la quantità di lavoro necessaria. Conseguentemente le  economie informali sono cresciute esponenzialmente. Per fare un esempio: il 33% dell’attività economica in Marocco e il 40% del Prodotto Interno Lordo in Egitto vengono dall’economia informale, lasciando molti senza accesso ad alcuna forma di sicurezza sociale. Questo è catastrofico per una regione dove uno su cinque in età compresa tra i 15 e 24 anni è al momento disoccupato, molti con un alto livello di educazione. Questa realtà ha forzato i cittadini arabi a rivolgersi ad altre entità – spesso islamiste – per la sopravvivenza. Governi hanno incoraggiato anche gruppi ultra – conservatori a fornire assistenza sociale, perché percepiti come a – politici e quindi con le loro regole, indipendenti da quelle governative. Ora, alcuni di questi gruppi reclutano attivamente i giovani arabi per conto dello Stato Islamico.

3) La cattiva amministrazione della cosa pubblica ha creato un senso molto concreto di ingiustizia. Il sistematico maltrattamento di cittadini arabi per mano degli stessi governi ha alimentato questo processo.

4) La risposta alla cosiddetta “Primavera Araba” (giusto due parole su questo termine, in inglese si parla di Arab Awakening, quest’ultimo termine in italiano si traduce con “risveglio” che ha un senso appropriato per indicare il risveglio appunto, di cittadini vittime di soprusi e di cattiva amministrazione da parte di governi che si muovevano tra l’autoritario e il dittatoriale. In italiano invece è stato tradotto con “primavera”. Posso mettermi a pensare che in fin dei conti è la stessa cosa, ma è in fin dei conti e non il suo significato. In Italia è sempre così, si traducono i titoli dei film nel 2015 quando tutti sanno l’inglese, dandogli però un nuovo nome, oppure entrano nel linguaggio corrente parole inglesi pronunciate in una strana lingua sconosciuta ai più), ha reso la situazione peggiore. La brutale stretta alle rivoluzioni con una sfumatura settaria o ideologica ha soltanto esacerbato il malcontento della società. Ha alimentato la polarizzazione della società e le tensioni settarie. Molti governi arabi hanno a lungo usato il settarismo come uno strumento per consolidare il potere politico attraverso la ripetuta marginalizzazione di gruppi etnici o religiosi dal processo politico. Questo è facilmente visibile in conflitti come quello siriano, in Iraq e nello Yemen.

5) Non c’è fiducia nell’Occidente. Lo Stato Islamico sta diffondendo il modello narrativo del “doppio standard” della comunità internazionale e delle potenze occidentali. Mentre l’occidente e i suoi eserciti intervengono in Iraq, in Libia, nello Yemen, hanno fallito nel sostegno della rivoluzione civile in Siria e nella democrazia in Egitto. Questo lascia al Califfato islamico, una provata forza sul campo, sembrando una valida alternativa per raggiungere e stringere a se gli arabi e i mussulmani.

 

Dicembre 28 2014

La cosmetica del terrorismo

Quello che oggi conosciamo con il nome di : “Stato Islamico” in realtà ha cambiato nome molte volte. Il gruppo ha mostrato ripetutamente la volontà di sfruttare quella che possiamo chiamare la “cosmetica del terrorismo”: attraverso una visibile, vigorosa presenza sul web e l’utilizzo di video scioccanti.

Al Qaeda in Iraq (AQI) sotto il controllo di Zarqawi era diventata molto impopolare nell’Iraq del 2006 e il gruppo aveva bisogno di un rebrand locale, cambiando nome in Stato Islamico dell’Iraq. Il cambiamento del nome riflette anche una importante differenziazione tra esso e l’essenza di Al Qaida.

Nel 1996 Osama Bin Laden dichiara pubblicamente guerra contro gli Stati Uniti come suo obiettivo principale, ma anche alla presenza di infedeli americani nelle varie terre islamiche (prima fra queste l’Arabia Saudita). Nel corso del tempo la sua organizzazione aveva avuto dei rapporti di partneriato con quella di  Zawahiri, il cui interesse principale originariamente si focalizzava sulla rimozione del governo egiziano. Nel 1998 gli obiettivi del gruppo diventarono ancora più specifici: l’uccisione degli americani e dei loro alleati civili e militari in ogni paese dove fosse possibile farlo (attentati alle ambasciate americane in Kenia e in Tanzania).

Lo Stato Islamico è cresciuto e resta un’organizzazione il cui principale e solo interesse è creare e mantenere uno stato islamico in Iraq. Il suo interesse primario è quello di ottenere potere politico e territorio che appunto ricadono poi in quelle che sono le caratteriste di uno Stato, cosi come inteso dal diritto internazionale: territorio, governo effettivo, popolazione; ci sarebbe poi secondo la Convenzione di Montevideo anche la capacità di intraprendere relazioni internazionali con altri stati, ma questo punto viene sempre un po’ lasciato in sordina. E’ chiaro che se uno Stato che fa dichiarazioni di disapprovazione su un certo altro Stato e poi firma accordi commerciali, a parte il ricavo, ne sta riconoscendo comunque la statualità. Provate a pensarci a quanti casi a stelle e strisce ci sono… Il loro unico (apparentemente) attacco contro gli americani è stata la decapitazione di giornalisti americani in Iraq che però è stato giustificato come rappresaglia per gli attacchi aerei americani.

Le organizzazioni estremiste, che per molti ricadono sempre e solo sotto il generico appellativo di: “terrorismo”  (argomento che sarà oggetto di un post specifico), oltre ad avere una struttura eccezionalmente efficiente ed efficace, hanno la capacità di catturare l’attenzione di tutti, di infondere il mostro della paura semplicemente cogliendo la sfumatura adatta. Usando un particolare colore, piuttosto che un messaggio sui social network, che riesce sempre a mantenere alta l’attenzione; e si anche l’attenzione dei finanziatori che si riconoscono nella causa che sia politica o religiosa e che elargiscono ingenti somme di denaro che servono a mantenere l’organizzazione, a comprare armi, persone e perseguire l’ideale a cui tendono.

Quanti hanno cliccato sui quei video su Youtube? Quanti telegiornali hanno mostrato le bandiere nere o uomini vestiti di nero che si aggirano con le armi. Il nero è il colore per antonomasia del cattivo; sì, certo il nero sfina, ma qui proprio non credo si tratti di linea fisica.

*foto tratta dal “Times of Israel”.

Novembre 26 2014

Della Siria non ci importa più

Non si parla più della Siria. Quei giorni in cui tutti erano concentrati sulle armi chimiche di Assad sono ormai un lontano ricordo, per non parlare delle migliaia di sfollati, di morti. Tutto dimenticato.

Invece la Siria oggi rappresenta uno dei più complicati scenari di guerra civile, con un coinvolgimento di diversi attori negativi che non si era mai visto prima.

Chi gioca in questo conflitto: Assad, il dittatore sanguinario e senza regole che non mostra alcun tipo di riluttanza nell’uccidere chiunque, persino i suoi stessi cittadini se ciò è necessario perché lui resti al potere. Scriviamolo il numero dei morti: CENTOMILA  vittime civili secondo le Nazioni Unite. Altri DUE MILIONI sono rifugiati negli stati confinanti e circa 4 MILIONI E MEZZO sono i cosiddetti internally displaced, cioè coloro che si spostano all’interno dei confini siriani alla ricerca di un posto sicuro. Per fare una percentuale questi numeri corrispondono a circa il 35% della popolazione siriana.

La Russia si rifiuta di fermare il rifornimento di armi ad Assad e continua ad usare il suo potere di veto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Putin promette a Damasco un sistema avanzato di difesa missilistica (s-300 per coloro che sono appassionati di armamenti) e sostiene che però è il momento di un accordo di pace con la Siria. Il governo saudita e il governo del Qatar finanziano ribelli con armamenti. Solo che Assad oltre che dai russi riceve finanziamenti anche dall’Iran che fornisce anche un training on the job ai militari. Il governo dell’Iraq che ha già i suoi problemi con il Califfato dello Stato Islamico si rifiuta di intercettare i voli iraniani che vanno in Siria. 

Jabhat al – Nusra il più grande gruppo armato in Siria è stato capace in pochissimo tempo di accedere ad una rete di finanziatori, principalmente negli emirati del Golfo e provveduto a garantire i servizi essenziali di base nelle aree devastate dagli attacchi del regime. E’ molto attivo alla frontiera con il Libano. Parallelamente cerca di sviluppare una roccaforte nel paese dei cedri, dove riscontra del terreno fertile tra alcuni settori della popolazione, specialmente nel nord e nel nord – est. Al – Nusra finora si è guadagnata le simpatie tra la popolazione locale in risposta agli attacchi degli Stati Uniti, i loro famigerati attacchi aerei chirurgici o attacchi mirati o come volete chiamarli sempre attacchi sono. Si è creata sul campo una rete, consolidata territorialmente e amministrativamente, che da sempre di più l’idea di un emirato. La pressione che il cosiddetto Stato Islamico sta esercitando sulla Siria potrebbe forzare Al- Nusra a scegliere se dare vita ad un emirato o accettare uno stato di partneriato con lo Stato Islamico, se non nell’ estrema ratio di confrontarsi apertamente con loro.

Non sono serviti né cessate il fuoco né attacchi mirati per mettere fine alla guerra civile siriana. Quello che potrebbe verosimilmente accadere è che il crescente ricorso degli Stati Uniti agli attacchi aerei porti ad una escalation nel confronto tra Al – Nusra e lo Stato Islamico. Anche se si sono rincorse le notizie di una probabile morte del leader dello Stato Islamico al – Baghdadi, la sua morte non è necessariamente la fine dell’intera organizzazione. Difficilmente gli americani imparano dalla storia, l’aver ucciso Bin Laden non ha decretato la morte di Al – Qaida, certo avrà avuto conseguenze sul morale di qualche componente dell’organizzazione, ma è rimasta in piedi. Il fatto di uccidere il capo forse da un punto di vista puramente militare ha senso, nell’ottica di decapitare l’organizzazione del vertice e quindi destabilizzare le truppe. Ma le organizzazioni estremiste, di base religiosa e soprattutto transnazionali difficilmente si sgretolano. Prima di tutto perché non sono puramente militari, ma nascono per motivi ideologico – religiosi e poi perché esse prevedono già nella propria struttura un secondo leader. Il carisma del leader porta avanti una missione, che per quanto possa essere crudele o cinica, viene seguita da persone non importa poi chi la conduce, proprio perché è strettamente interrelata a sentimenti religiosi. In un altro post parlerò delle ragioni fondamentali per cui una persona decide di diventare membro dello Stato Islamico.

La rimozione di Assad, potrebbe sembrare la giusta soluzione, un po come hanno pensato per Saddam Hussein o per Mubarak o per Gheddafi. Ebbene proviamo a vedere i risultati, si è creato un vacuum di potere talmente ampio che ha dato vita ad incontrollate frange che mosse da etnia, piuttosto che appartenenza religiosa non trovano un equilibrio. Il dittatore, per quanto possa sembrare cinico, riesce a mettere insieme più elementi della società che altrimenti non avrebbero modo di starci. Prendiamolo come il compositore di un puzzle. Non lo fa perché è un filantropo, ma perché ritiene nelle sue mani un enorme potere che da e toglie in maniera tale da tenere un equilibrio. In alcuni Stati è funzionato così per anni e poi arriva l’Occidente con il suo manto da supereroe ad esportare una democrazia che non garantisce nei propri confini. Dimenticando cosa sono le etnie, cosa sono le confessioni religiose e pensando che il caos che viene generato sia risolto da qualcun altro. In Siria non si interviene perché non c’è nessun interesse occidentale da difendere, semplice e lineare. L’unico interesse lo ha la Russia con il porto di Tartus. Dal 1971 affittato dalla Russia come parte di un multi – milionario debito siriano. Il porto essenzialmente serve per la manutenzione e il rifornimento della flotta russa. Queste navi da guerra non vengono anche dal Baltico o dai mari del nord ed hanno multiple missioni e eseguono compiti nel mediterraneo e operazioni di anti pirateria nel mar rosso nel golfo di aden in somalia. La Russia quindi ha un interesse nazionale nel mantenere il porto malgrado gli scenari che si potranno aprire con la guerra civile. Inoltre il porto di Tartus permette alla compagnia di esportazione di armi, Rosoboronexport, di fornire armi e rifornimenti direttamente al regime di Assad. Sicuramente Putin non ha nessun interesse a far cadere il regime mettere a rischio il porto. 

Gli attacchi aerei americani continuano il numero delle vittime civili continua e della Siria non importa più a nessuno.

 

Novembre 24 2014

L’Ucraina vista dall’Unione Europea

L’Unione Europea (UE) vede l’Ucraina cosi:  “non c’è ragione perché persone in Europa stiano al freddo d’inverno”. La frase è del commissario europeo dell’energia tale: Guenther Oettinger il giorno in cui si è  firmato l’accordo sulle forniture di gas tra Ucraina, Federazione Russa (Russia) e UE. Si è dimenticato, povero lui, che a  Donetsk, Kharkiv, Novoazovsk e in gran parte del sud – est dell’Ucraina tanta gente non si può riscaldare perché non ha le finestre a casa, chi una casa ancora c’è l’ha e non gli è stata bombardata. Non moriranno di freddo ma forse di fame si. Che poi l’accordo privato non è gratis, prevede che Mosca riapra i rubinetti di gas in cambio di pagamenti che verranno finanziati dai creditori occidentali di Kiev. Creditori, non benefattori.

La visione europea della situazione è nella mancanza di accordo tra i ministri degli esteri dell’Unione su ulteriori sanzioni da apporre alla Russia. Per cui senza preoccuparsi più di tanto della Russia o dei ribelli o della gente senza casa senza cibo cosa fa l’Europa? Il 22 luglio 2014 stabilisce una missione denominata EUAM (European Union Advisory Mission for Civilian Security Sector Reform Ukraine) che odi odi serve per assistere l’Ucraina nella riforma del settore sicurezza, incluso la polizia e per la cosiddetta rule of law, cioè la riforma delle regole di legge, ergo, del sistema giudiziario. Il 14 novembre scorso la cerimonia di firma accompagnata dai bei paroloni che sempre si dicono in queste occasioni: “per il bene del popolo ucraino”. Così, da spettatore io avrei apprezzato  una missione molto più articolata, accompagnata da qualche aiuto alla popolazione. Ricostituzione di servizi essenziali primari, non cose complesse. Eppure il carrozzone europeo va avanti così con le firme su pezzi di carta. Perché poi cosa fa esattamente l’UE? Ah! si si è spesa per l’accordo di cessate il fuoco. E un altro suo braccio lungo, l’OCSE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione Europea) ha il compito di monitoraggio dell’accordo di Minsk (il nome comunemente usato per denominare l’accordo di cessate il fuoco).

Al G20 in Australia, Obama incontra i leader europei per discutere una risposta coordinata alla Russia e certo perché se ne accorgono ora che la Russia ha violato il diritto internazionale, perché fornire armi pesanti ai separatisti in Ucraina, violando l’accordo di Minsk, sarebbe più grave di aver annesso una parte di territorio di un altro stato con l’uso della forza (vedi Crimea) o violato semplicemente l’integrità territoriale di uno stato sovrano, perché ricordiamoci che i famosi soldati senza insigne in Crimea non parlavano certo portoghese. Quello che trovo per certi versi comico è che seppur in violazione di tante norme di diritto internazionale riconosciute da tutti gli Stati ed anche dalla Russia che tanto si scandalizzò per la questione del Kosovo, Putin è andato allegramente al G20 e anzi nessuno gli ha detto: “oh che ci fai qui non ti ci vogliamo, conformati alle regole senno ciao”. No nient’affatto, strette di mano, sorrisi, foto insieme.

Il presidente ucraino dal lato suo ha ordinato che tutti i servizi statali incluso il finanziamento degli ospedali e delle scuole delle aree controllate dai ribelli nelle regioni di Donetsk e Luhansk siano ritirati. Non so se è chiaro quindi: il governo centrale ritira i finanziamenti agli ospedali di zone completamente distrutte, per farla pratica: se un ucraino va in ospedale deve essere fortunato a trovare un cerotto d’ora in poi. E cosa fa l’Europa? Una missione di sicurezza e nessuno vuole prendersi la responsabilità di incrementare le sanzioni alla Russia. Che ne so una missione di mentoring al Presidente ucraino? Perché poi Poroshenko,non ha finito con i decreti ne indirizza uno al parlamento, chiedendo di revocare la legge che garantisce l’auto – regolamentazione alle regioni di Donetsk e Luhansk. Mi chiedo: perchè ordini che le Regioni tornino sotto la giurisdizione del governo centrale e poi togli i finanziamenti agli ospedali?

In tutto questo circo di accordi e decreti il ministro degli esteri russo, Lavrov, pochi giorni fa, incontra il ministro degli esteri tedesco Steinmeir (non vi chiedete perché non incontra il ministro degli esteri italiano, perché a parte che Gentiloni deve ancora capire chi è lui stesso, confuso com’è sulle sue ideologie politiche/partitiche, ma gli bastano le dichiarazioni della Mogherini a sconfortarlo). In realtà Steinmeir ha proposto un’iniziativa denominata “clearing house” (casa pulita) che prevede lo scambio di informazioni tra le parti dei rispettivi rappresentanti militari.

Nell’ incontro si è anche parlato della cooperazione tra l’UE e l’Unione economica eurasiatica. Lo stesso Steinmeier afferma che ben 28 paesi dell’UE coltivano parecchi pregiudizi su cosa può essere fatto congiuntamente con la Russia. E si eh, avete letto bene, il Consiglio d’Europea con una mano bastona la Russia con le sanzioni e con l’altra le da tante belle carezze autoaccusandosi che ci sono 28 paesi che non gradiscono la Russia, poveri loro. La teoria del bastone e della carota si è rivelata inutile finanche per la cooperazione allo sviluppo, figuriamoci per i rapporti con la Russia. Ritengo che un grande errore del pensiero politico occidentale sia quello di considerarsi sempre più furbi dell’avversario. Se ti metto in ginocchio economicamente con sanzioni non ti vengo a dire che però sarebbe carino cooperare con la tua unione economica, perché l’avversario ben più intelligente di te (ricordiamolo che si è preso un pezzo di territorio di un altro stato in un batter d’occhio) sa che continua a ritenere un enorme vantaggio su di te che non sei coerente con quello che dici. Putin che è un fine giocatore di scacchi sa che le tue mosse saranno sempre a suo favore. La risposta di Lavrov è illuminante a riguardo perché lui asserisce che l’accordo di Minsk doveva essere firmato molto tempo fa, invece di “accusare gli altri di violazioni”. Continua dicendo che l’accordo poi è stato raggiunto da: Kiev e le forze cosiddette di autodifesa e che gli Stati Uniti che hanno dichiarato di sostenerlo avrebbero dovuto fare tutto il possibile e usare la loro influenza perché fosse raggiunta una consistente implementazione del documento. Ecco nella sua ironia e grande tragedia per chi poi vive in quelle zone c’è tutto quello che l’occidente fa fatica a comprendere: il vantaggio dell’avversario. Avere il controllo, se pure attraverso movimenti separatisti del sud- est dell’Ucraina, avendo la possibilità di garantire servizi primari (ricordiamo anche che insieme alle armi pesanti i russi mandano anche aiuti umanitari) sostituendosi a Kiev che gliene fornisce la possibilità su un lussuoso piatto d’argento. Un’ ultima considerazione: una missione di sicurezza per assicurare che Kiev possa garantire la sicurezza nei suoi confini è un aiuto certo, ma un’ implicita (e neanche tanto) ammissione che uno stato sovrano non è in grado di garantire la sicurezza del proprio territorio. Ditemi voi che visione ha l’Unione Europea della sovranità degli Stati.