Giugno 8 2018

Radicalizzazione: vittimizzazione, torti subiti, slippery slope, power of love

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Quando si tratta di valutare la violenza politica in generale ed il terrorismo in particolare, le spiegazioni che riguardano i torti subiti sono le più popolari. Dal momento che l’azione collettiva è associata al desiderio di attuare qualche cambiamento sociale o comporre qualche “errore” sociale, la violenza politica è compresa come una forma estrema di tale azione collettiva e le spiegazioni sui torti sembrano essere il luogo più ovvio da dove iniziare.

L’ingiustizia percepita è stata una delle motivazioni più forti per unirsi a movimenti sociali, ma anche per unirsi a gruppi violenti.

Individuo e radicalizzazione di massa

La radicalizzazione  potrebbe essere associata con una fissazione su credenze riguardo una situazione presente e la sua storia: noi siamo un gruppo speciale e scelto (superiorità) che è stato trattato ingiustamente e tradito (ingiustizia), a nessun altro importa di noi e ci aiuterà (diffidenza) e la situazione è disperata: il nostro gruppo e la nostra causa è in pericolo di estinzione (vulnerabilità).

Gli attivisti, presumibilmente, sentiranno più mestizia e umiliazione per i fallimenti del gruppo, più gioia e orgoglio per i successi del gruppo, più rabbia e paura rispetto alla perfidia o violenza dei nemici della loro causa. Questi sentimenti sono l’espressione dell’identificazione del gruppo: avere a cuore ciò che accade al gruppo, specialmente in relazione con altri gruppi. L’identificazione con il gruppo può condurre a sentimenti di colpevolezza sui reati perpetrati da altri, se gli altri sono membri del gruppo con cui ci si identifica. La capacità umana di essere solidale con collettività grandi ed impersonali come se fossero una famiglia estesa, è il fondamento della politica di massa, ed il pre-requisito per conflitti di gruppi nazionali, etnici e religiosi.

Siccome i terroristi sono pochi in relazione a tutti coloro che condividono le loro credenze e i loro sentimenti, essi possono essere pensati come l’apice di una piramide. La base è composta da tutti coloro che simpatizzano con gli obiettivi per cui dicono di combattere. Dalla base all’apice, gli alti livelli della piramide sono associati a numeri decrescenti, ma di maggior radicalizzazione di credenze, sentimenti e comportamenti. Perciò, un modo di pensare la radicalizzazione è che essa sia la propensione che distingue i terroristi dalla loro base di simpatizzanti.

In particolare nei piccoli gruppi, la morale personale e le norme del gruppo possono essere difficili da separare, perché la morale individuale è spesso ancorata ad un qualche tipo di consenso del gruppo.

Laddove i gruppi possono essere collegati attraverso membri comuni o leader comuni in un’organizzazione più ampia multi-gruppo, le azioni sociali possono diventare possibili su larga scala.

Perciò la radicalizzazione e il terrorismo sono resi possibili attraverso lo spostamento di individui in piccoli gruppi. Alle volte questi gruppi sono collegati ad una più ampia organizzazione, ma non sempre. Il piccolo gruppo è necessario per l’azione, ma non lo è l’organizzazione. La formazione originaria di Al Qaeda era un’organizzazione di gruppi o cellule, ma oggi i gruppi sono per la maggior parte a se stanti e disconnessi dalla più ampia organizzazione. Gli attentatori di Madrid erano apparentemente un piccolo gruppo auto-organizzato piuttosto che una cellula incorporata in Al Qaeda.

  • Radicalizzazione individuale attraverso la vittimizzazione personale

Questa è una strada molto citata nelle spiegazioni sui terroristi suicida. Le vedove nere cecene sono descritte come coloro che cercano vendetta contro i russi per la loro propria esperienza di stupro e di morte dei loro uomini. Le Tamil Tigers della brigata suicida chiamata “le tigri nere” sono spesso descritte come le sopravvissute alle atrocità singalesi. I rapporti su terroristi suicida palestinesi spesso citano la vendetta per gli attacchi delle forze di difesa israeliane sui loro vicini o sulle persone care come motivo di sacrificio di sé stessi.

L’importanza dei torti subiti a livello personale è un motivo per cui si può far risalire il terrorismo almeno fino al tardo 1800 in Russia. Andrei Zhelyabov, il leader dell’organizzazione terrorista “Il volere del popolo” e mente di molti assassini politici, incluso gli attacchi bomba coordinati che uccisero lo Zar Alessandro II, ricercava l’attività terrorista come obbligo di vendetta per molti torti subiti dal regime monarchico di cui lui aveva fatto esperienza in prima persona. Lo stupro della sua zia preferita da parte del loro proprietario terriero, ignorato dalla polizia locale, l’essere rifiutato dall’università, senza il diritto di riproporre la sua candidatura, per aver partecipato ad una protesta contro le valutazioni arbitrarie e infine una sentenza a quattro mesi di reclusione per aver inviato una nota amichevole a un amico in carcere, hanno plasmato e irrigidito la propensione di Zhelyabov ad utilizzare la violenza contro l’élite al potere.

Le informazioni su quanti terroristi o quanti terroristi suicida abbiano una storia personale di vittimizzazione, che potrebbe spiegare il loro sacrificio, sono difficili da reperire. Ovviamente ci potrebbero essere individui con una tale storia che non si sono spostati verso la violenza e non hanno percepito la loro vittimizzazione unita a quella di un gruppo etnico o nazionale.

Da un punto di vista psicologico-sociale è improbabile che i torti subiti a livello personale diano conto del sacrificio di gruppo a meno che quello personale non sia inquadrato e interpretato come rappresentante del torto di gruppo.

  • Radicalizzazione individuale per torti politici

Alle volte un individuo è mosso verso l’azione radicale individuale e la violenza, in risposta a  tendenze politiche o eventi. Ted Kaczynski, l’Unabomber ne è un esempio. In 18 anni, Kaczynski è apparso occasionalmente dalla sua casa in una landa desolata, per inviare lettere bomba a persone che rappresentavano il progresso tecnologico che lui temeva e detestava. Un altro esempio è Buford Furrow, che si consegnò spontaneamente alla polizia nell’agosto del 1999 dopo aver ferito 5 persone al centro della comunità ebraica, uccidendo, più tardi, un postino filippino. Egli sembra sia stato un devoto dei gruppi della supremazia bianca ma agiva da solo nella pianificazione e conduzione di questi attacchi. Similmente, John Allen Muhammad, con il suo protegé Lee Boyd Malvo, uccisero 10 persone nell’area di Washington in 47 giorni di attacchi “cecchino” nel settembre e ottobre del 2002. Muhammad un convertito all’Islam e un separatista nero, cercava di estorcere 10 milioni di dollari con cui avrebbe fondato una comunità nera, pura, in Canada. Muhammad non è stato collaborativo nell’esplicitare la sua motivazione, ma pare che si identificasse con quello che lui percepiva essere la vittimizzazione delle persone di colore negli Stati Uniti.

Casi di radicalizzazione individuale a violenza politica, cioè in cui l’individuo agisce da solo piuttosto che come parte di un gruppo, sono relativamente rari. In tali casi, l’individuo presumibilmente ha un’associazione con un più ampio movimento intellettuale – come ad esempio, Furrow si associava ai suprematisti bianchi e Muhammad partecipò per un periodo alla Nazione dell’Islam.

Più che in altre categorie di radicalizzazione, in questi casi vi è la probabilità dell’esistenza di un qualche grado di psicopatologia. La testimonianza psichiatrica al processo indicò che Kaczynski soffriva di schizofrenia paranoide. Furrow aveva una storia di ricoveri ospedalieri per trattamenti relativi a disordine mentale.

Va sottolineato (ciò che ho già scritto nel post precedente sulla radicalizzazione)  che i gruppi radicali, specialmente coloro che utilizzano il terrorismo, è improbabile che reclutino o tollerino l’inaffidabilità che si accompagna alla psicopatologia.

Un esempio interessante relativo alla difficoltà di separare i torti personali e di gruppo è Matt Hale, che nel 1998 era il leader di un gruppo della supremazia bianca. Hale si era laureato alla scuola di legge, superato l’esame di abilitazione, fu assunto da uno studio legale, ma perse il lavoro quando l’ordine degli avvocati negò la sua abilitazione alla professione su base razziale. Nel 2005, Hale fu condannato e imprigionato per aver esortato all’assassinio di un giudice federale Joan Lefkow. La sfera personale e politica sono così strettamente intrecciate in questo caso che è impossibile dire cosa avrebbe fatto Hale se gli fosse stata accordata l’avvocatura.

  • Radicalizzazione individuale nell’unirsi a un gruppo radicale – Slippery Slope 

Resta rara la circostanza per cui un individuo si sposta da simpatizzante ad attivista assumendo rapidamente rischi maggiori o il sacrificio. Tipicamente, l’evoluzione di un individuo in un gruppo terrorista è lento e graduale, con piccoli passi prima che gli si sia concessa fiducia in missioni più importanti e con molti compiti non-violenti prima che gli sia chiesto di utilizzare un fucile o una bomba.

  • Radicalizzazione individuale per unirsi a gruppi radicali – the power of love – 

Questo percorso verso la radicalizzazione ha ricevuto gran parte dell’attenzione nella recente teorizzazione sul terrorismo. Individui sono reclutati in un gruppo terrorista attraverso connessioni personali con terroristi già esistenti. Nessun terrorista vuole reclutare qualcuno che potrebbe tradire i terroristi alle autorità. In pratica, ciò vuol dire reclutare dalla rete di amici, amanti e famiglia. La fiducia potrebbe determinare la rete all’interno della quale i radicali e i terroristi reclutano, ma l’affetto spesso determina chi si unirà a loro. La spinta di un amore romantico o cameratesco può essere forte tanto quanto la politica nel muovere individui in un gruppo sotterraneo. La devozione cameratesca non è solo un punto di forza per unirsi al gruppo radicale, è ugualmente, o forse in misura maggiore, una barriera ad abbandonare il gruppo.

 

Giugno 1 2018

Radicalizzazione: alla scoperta del significato di questo termine

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Si può definire la radicalizzazione come un processo in cui una persona adotta dei sistemi di credenze che giustificano l’uso della violenza allo scopo di attuare un cambiamento sociale che sostengono attivamente così come l’impiego di mezzi violenti per scopi politici.

In senso più generale, si può osservare la radicalizzazione lungo le linee descritte da P. Neumann: “quello che accade prima che si detoni una bomba”.

Sebbene storicamente, il “radicalismo” e la desunta “radicalizzazione” hanno avuto un significato più ampio, nel contesto degli studi odierni e del processo politico decisorio, la radicalizzazione tende a significare una via verso il terrorismo, un graduale scivolamento nell’estremismo, fondamentalismo o, ancora più generalmente, un movimento verso la giustificazione della violenza ed alla fine l’impegno personale in essa.

Nella maggior parte delle definizioni prodotte si ritiene che la radicalizzazione sia un processo, pur tuttavia ci sono delle forti discordanze sul dove questo processi porti.

McCauley e Moskalenko operano una distinzione in un certo senso più chiara di “radicalismo” e “attivismo” dove il primo indicherebbe la volontà di impegnarsi in azioni illegali e l’ultimo il ricercare un cambiamento politico o sociale attraverso attività legali.

Fondamentalismo

Termine utilizzato meno frequentemente in connessione con i risultati della radicalizzazione. L’adozione di credenze fondamentaliste, tuttavia, è associata con una fase di radicalizzazione. Il concetto stesso deriva dalla sfera della religione, e più precisamente dal movimento protestante agli inizi del ventesimo secolo negli Stati Uniti, radicato nella “mentalità anti-liberale e generalmente anti-moderna”. Attualmente, il termine è utilizzato in maniera molto più ampia e non solo nella cornice religiosa, ma anche in quella politica, significando qui un’attitudine rigida e priva di compromessi ed un attaccamento risoluto ad una serie di credenze. Tuttavia esso, ancora, non è necessariamente violento e non da luogo, in molti casi, all’imposizione di tali credenze sugli altri attraverso la forza.

Estremismo

Un altro termine spesso utilizzato in connessione con la radicalizzazione. Secondo Alex Schmidt: “gli estremisti lottano per creare una società omogenea basata su cardini ideologici e dogmatici rigidi; cercando di ricreare una società tradizionalista, reprimendo tutte le opposizioni e soggiogando le minoranze“.

Mentre in generale esso può essere compreso più in linea con il fondamentalismo, come una posizione rigida senza compromessi ed intollerante, per coloro che parlano di radicalizzazione, l’estremismo è spesso compreso come essere contro le norme democratiche, i diritti umani, l’uguaglianza e la tolleranza. L’interesse basilare in riferimento alla radicalizzazione è il tema delle persone che diventano violente.

Dalla definizione di radicalizzazione essa appare come un processo, spesso lento e graduale, il cui risultato finale è una persona che si impegna in una campagna violenta per attuare un cambiamento sociale. Possono essere identificate differenti fasi di radicalizzazione: sostenere le credenze e agire secondo esse, senza accordare una preferenza temporale a loro e senza rivendicare che una sia necessariamente per l’altra. Un individuo può adottare delle convinzioni radicali e non agire secondo esse, e vice versa, potrebbe agire senza avere delle convinzioni profondamente radicali. Allo stesso tempo questa definizione è generale abbastanza per contenere differenti tipi di radicalizzazione e diverse tipologie di radicalismo.

L’idea che coloro che s’impegnano nell’attività politica violenta in generale e nel terrorismo in particolare, siano folli o in qualche maniera psicologicamente anormali oggi rivive nelle descrizioni degli attacchi da parte dei mezzi di comunicazione, ma è stata a lungo respinta come priva di fondamento dai ricercatori e da innumerevoli studiosi e di conseguenza dai decisori politici (almeno la grande maggioranza). Nondimeno, gli sforzi di individuare tratti comuni nei “terroristi” non si sono interrotti e l’analisi comportamentale a fini investigativi di potenziali terroristi, mentre frequentemente criticata, è ancora attivamente ricercata, specialmente nell’applicazione della legge, ed è usualmente applicata secondo tre filoni di caratteristiche: razziale-fisico, psicopatologico e socio-economico. L’analisi comportamentale razziale-fisica, in particolare, è problematica perché discriminatoria, si situa sull’orlo del razzismo e esercita una sorta di criminalizzazione di intere comunità. Questo tipo di analisi non sono state eliminate completamente nei tentativi, da parte delle forze di sicurezza, di individuare terroristi.

L’analisi psicopatologica o semplicemente psicologica di chi alla fine può essere “radicalizzato” abbastanza da commettere atti violenti, se la passa un po’ meglio. Uno dei più prominenti studiosi in questo campo è Jerrod Post, con le sue teorie sulla psicologia terrorista e la nozione per cui “persone con particolari tratti della personalità sono sproporzionalmente raffigurate in carriere terroriste“.

Malgrado sia allettante l’analisi comportamentale psicologica nei confronti di potenziali terroristi, il successo di tali tentativi è dubbio e la vasta gamma di individui coinvolti in organizzazioni che sostengono o rendono esecutivo il terrorismo è troppo ampio per condurre a qualsiasi risultato generalizzabile. Mentre le teorie che si occupano dei tratti psicologici cercano di individuare caratteristiche personali che rendono un individuo più orientato all’unirsi a gruppi terroristici, le ricerche sulla costrizione ovvero sulla motivazione considerano attori esterni: leader carismatici, predicatori sobillatori, religiosi radicali o guru intellettuali, e valutano il loro ruolo nel reclutare nuovi membri per organizzazioni terroriste.

I ricercatori che lavorano in questa area suggeriscono di considerare le dinamiche della manipolazione psicologica allo scopo di valutare il processo di radicalizzazione. Trujillo et al. propongono due tipologie di reclutamento del terrorismo. La prima è l’auto-reclutamento, dove un gruppo di amici diventa radicalizzato principalmente utilizzando internet “per scambiare conoscenze, pratiche e rafforzare le posizioni ideologiche“. Il secondo tipo di reclutamento è il risultato di “un processo di manipolazione psicologica sistematica diretta e consapevole, molto simile a quella prodotta da gruppi settari e totalitari“. Questo tipo di ricerche osserva delle somiglianze nel comportamento di individui attratti dalle organizzazioni terroriste e coloro che sono impegnati in sette religiose guidate da un leader carismatico. Non è chiaro quanto il ruolo del leader sia dovuto alla manipolazione psicologica ovvero alla pressione e quanto sia semplice persuasione che conduce gli individui a seguire questo tipo di leader e alla fine impegnarsi anche in atti di terrorismo.

Può essere aggiunta anche la pressione esercitata dai compagni in gruppi molto uniti di amici stretti che si uniscono alla causa insieme e la cosiddetta radicalizzazione “brutta inclinazione “  delineata da McCauley e Moskalenko, per cui una persona con riluttanza si muove dall’attivismo legale a forme sempre più radicali, alla fine impegnandosi anche in atti violenti. Queste due vie esemplificano quello che è stato definito “coinvolgimento senza radicalizzazione” che deve essere considerato se vogliamo avere un quadro più completo di come gli individui finiscono per commettere crimini terroristici.