Novembre 21 2015

Al Qaeda versus ISIS: guerra del terrore

guerra

L’attentato in Mali ci rivela che è in corso una guerra intestina tra Al Qaeda e l’ISIS per la leadership del movimento jihadista globale.

Il gruppo che ha rivendicato, ieri, l’ attacco al Radisson Blue Hotel di Bamako, Mali è al-Mourabitoun.

Chi sono?

Il gruppo si è formato nel 2013 dalla fusione tra  al-Mulathamun (“The Masked Men”) Battalion (AMB) e Movement for Unity and Jihad in West Africa (MUJAO), dichiarando immediatamente che il movimento estremista della regione era ora più forte che mai. Al – Mourabitoun annuncia quindi le sue intenzioni di voler cacciare la Francia e i suoi alleati dalla Regione. Il gruppo ha condotto sistematicamente attacchi contro gli interessi francesi nella regione ed unità militari africane.

Belmokhtar è il suo leader ufficiale dal luglio 2015. Secondo il dipartimento di stato americano, Al – Mourabituoun è il gruppo che pone “la più alta minaccia medio termine agli interessi americani ed occidentali nel Sahel. Nel luglio del 2015 si allea ufficialmente con Al Qaeda rinominandosi: “Al Murabitoon – Al Qaeda in West Africa. Questo gruppo accusa la Francia di uccidere innocenti bambini, donne e anziani fin dal suo intervento in Mali nel 2013.

Cosa ci indica questo attentato?

Che è in atto una guerra intestina tra Al Qaeda e l’ISIS per la leadership del movimento jihadista globale. La guerra interna al terrore è iniziata quando il 31 agosto 2015 i Talebani confermano la morte del loro leader: il mullah Omar. Quest’ultimo era la colonna portante del rifiuto di alleanza con l’ISIS. La morte di Omar lascia liberi tutti coloro che avevano giurato alleanza a lui.  Il suo successore non eredita automaticamente nè il titolo di Amir al Mumineen (Commander of the Faithful) né le alleanze finora dichiarate. Visto che la morte di Omar risale al 23 aprile 2013 (fu dichiarata dai Talebani ufficialmente due anni più tardi), vuol dire che il titolo di Commander of the Faithful era presumibilmente vacante quando Abu Bakr al – Baghdadi ha rivendicato il titolo in concomitanza con la dichiarazione di califfato. Distruggendo in questo modo le argomentazioni pro – al Qaeda che l’ISIS aveva usurpato l’autorità legittima di Omar. Da questo punto in poi l’ISIS ha condotto la sua guerra interna contro al Qaeda diffondendo messaggi in cui si dipingeva al Qaeda come un’organizzazione mendace da cui provenivano ordini da un leader oramai morto da due anni. Argomenti che evidentemente hanno fatto leva su gli affiliati di Al Qaeda che quindi hanno spostato l’alleanza  (bayah) all’ISIS, ma ha sicuramente dato il via ad una guerra intestina che si gioca sugli assi del terrore.

Dov’è finito Zawahiri?

Se Zawahiri è ancora vivo, cosa fa in proposito? Finora abbiamo visto una sua guida che potremmo definire letargica, forse sperando che l’ISIS implodesse e che la situazione si risolvesse da sola. Presumibilmente non è più così. Questo attentato in Mali ci rivela molto di più di quanto sembra. La leadership di Al Qaeda non si tira in dietro nella guerra al terrore, ma questa volta la combatte contro il terrore interno che mina la sua stessa vita.

L’ISIS ha già eroso il territorio controllato da Al Qaeda.

Anche se nessuno ne parla l’ISIS ha tolto ad Al Qaeda 4 delle sei suddivisioni che formavano l’Emirato Islamico del Caucaso. (ISIS raggiunge il Nord Caucaso) Approfittando del vuoto di leadership dell’Emirato islamico, dopo l’uccisione del leader, Kebekov, da parte delle forze speciali russe, ha preso il controllo di 4 province e presumibilmente faranno da leva per le altre.

Questo è solo l’inizio della lotta del terrore nel terrore.

 

 

 

Ottobre 18 2015

L’Afghanistan oggi: seconda parte

Afghanistan

L’Afghanistan è oggi territorio di scontro tra i Talebani e l’ISIS per la supremazia della jihad globale.

Akhtar Mohammed Mansoor leader dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan (che conosciamo come i “talebani”), successore del Mullah Omar ex ministro dell’aviazione civile e dei trasporti durante il regime talebano dal 1996 al 2001, ex “governatore ombra” della provincia di Kandhar, manda un messaggio al leader dell’ISIS: Abu Bakr al – Baghdadi chiedendo che lo Stato Islamico combatta sotto la bandiera dei talebani in Afghanistan e porre fine alle divisioni tra i jihadisti in tutto il mondo.

ISIS in Afghanistan

Baghdadi ha stabilito lo Stato Islamico nella provincia di Khorasan lo scorso anno accogliendo tra le proprie fila talebani delusi e comandanti jihadisti. La cosidetta Khorasan region comprende: Afghanistan, Pakistan e parti dell’area circostante queste due nazioni. L’ISIS ha minacciato recentemente i Talebani, ma non si è limitato solo a questo, ci sono stati attacchi ai Talebani nella provincia di Nangarhar in Afghanistan. Recenti dati ci mostrano che più di 17.000 famiglie nel Nangarhar sono andate via a causa della violenza dell’ISIS. Alcune delle peggiori atrocità sono state perpetrate nel distretto di Achin. Entrano nei villaggi chiedendo una lista delle vedove e delle donne non sposate. In alcuni villaggi, l’ISIS ha dichiarato che i matrimoni celebrati e riconosciuti dal governo dell’Afghanistan sono invalidi.

Continuo conflitto tra Al Qaeda e l’ISIS in Afghanistan esacerbato dalla morte del Mullah Omar.

Quando il leader dell’ISIS ha rifiutato l’autorità di Al Qaeda e ha poi dichiarato il Califfato, ha diviso il già frammentato movimento jihadista.

Le 1500 Ulema (i consigli religiosi in Afghanistan) hanno scelto e promesso alleanza alla leadership dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan secondo la sharia. L’argomentazione di Mansoor sull’unità dei jihadisti in Afghanistan prende spunto dal Corano che secondo la sua tesi richiama fortemente all’unità tra i mussulmani e che l’Emirato islamico dell’Afghanistan è stato appoggiato dalla leadership mussulmana così come dal fondatore di Al Qaeda.

La conferma della morte del  Mullah Mohammed Omar alza la posta in gioco per la battaglia per la supremazia jihadista globale tra Al Qaeda e l’ISIS. Omar era la colonna portante del rifiuto di Al Qaeda delle richieste dell’ISIS di alleanza. Primo, perché Al Qaeda aveva già garantito alleanza ad Omar e quindi non poteva farlo anche al leader dell’ISIS. Secondo: Abu Bakr al Baghdadi aveva illegittimamente usurpato il titolo di Amir al Mumineen (comandante del fedele)ad Omar. La morte di quest’ultimo lascia libero chi ha promesso alleanza a lui. Tuttavia né la promessa né il titolo di Amir al Mumineen sono automaticamente ereditati dal suo successore. Il 31 agosto 2015 i Talebani confermano la morte del Mullah Omar ( Taliban officially announce Mullah Omar death), dopo aver celato di fatto la sua morte per ben due anni: Omar era morto il 23 aprile 2013.

Questo fatto aggiunge un altro fattore di attrito. Se è morto due anni fa, la posizione di Amir al Mumineen potrebbe essere stata verosimilmente vacante quando Baghdadi la rivendicò subito dopo la dichiarazione del califfato, distruggendo eleoquentemente l’argomentazione pro – Al Qaeda che l’ISIS ha usurpato l’autorità legittima di Omar. L’annuncio della morte di Omar è un bel punto a favore dell’ISIS che lo sfrutta condannando la mendacità di condurre un’organizzazione divulgando ordini e linee guida in nome di un leader morto in virtù della strategia conosciuta con il nome di: “weekend at Bernie” (il celebre film: il week end con il morto).

Se l’emiro di Al Qaeda, Ayman al Zawahiri non è anche lui un “Bernie” a questo punto è davanti ad un dilemma. La sua letargica conduzione di Al Qaeda ha diminuito fortemente la sua abilità di sfidare Baghdadi direttamente sulle basi della sua autorità.  A parte la promessa al Mullah Omar, pochi sono gli argomenti contro l’egemonia dell’ISIS: brutalità della tattica, focus settario, mancanza di consultazione con gli altri gruppi di jihadisti al momento della dichiarazione del Califfato.

Zawahiri ha poche opzioni a sua disposizione: continuare ad affidarsi alla sua attuale strategia che sembra sia quella di sperare ardentemente che l’ISIS vada semplicemente via, non pare la più efficace.

La battaglia tra Al Qaeda e l’ISIS ha poco a che fare con la legittimazione da un punto di vista tecnico o con la giurisprudenza, ma piuttosto con l’anima dell’intero mondo jihadista.  La morte del Mullah Omar ha colpito Al Qaeda nei due emisferi e fornisce una via conveniente per quei sostenitori irrequieti che hanno resistito finora al richiamo dell’ISIS. Il supremo comandante dell’ISIS nel Khorasan è Hafiz Saeed Khan che era un membro dei Talebani pakistani. Con i suoi guerriglieri è scappato in Afghanistan dopo che le forze regolari del Pakistan hanno condotto un’offensiva nella aeree tribali, proprio quest’anno.

Cosa si potrebbe fare?

Sfruttare questa divisione del movimento jihadista, diminuendo la minaccia, indebolendolo. Questa guerra interna va contro quello che rivendica l’intera organizzazione e se diminuisce la presa sui volontari jihadisti perché sentono di star combattendo una guerra fratricida piuttosto che il regime di Assad, gli americani, gli sciiti o qualsiasi altro nemico, allora inizieranno i guai seri. Sfruttare la mutevolezze della fedeltà. Saaed non è un caso isolato. L’altra faccia della medaglia di questa guerra intestina al movimento jihadista è che la violenza contro gli Stati Uniti, o più in generale contro l’occidente potrebbe diventare più intensa, dal momento che sia Al Qaeda che l’ISIS vogliono dimostrare che il gruppo è più forte e rilevante dell’altro.

Non ci illudiamo: fare la stampella del governo dell’Afghanistan non è la soluzione per la minaccia che proviene da Al Qaeda e dall’ISIS e meno che mai servirà a impedire che possano verificarsi attacchi da parte delle due organizzazioni in lotta fuori dal territorio dell’Afghanistan. Ricordiamoci che l’attacco a Parigi del gennaio 2015 è arrivato dopo 14 anni di missione internazionale in Afghanistan.

Agosto 27 2015

Siria: il vostro tavolo da gioco

La Siria è diventata un tavolo da gioco dove il rumore delle armi e il potere dei soldi dell’Iran, Russia, Arabia Saudita, Giordania, Turchia, Israele hanno soffocato, nel silenzio complice della comunità internazionale, il sangue di 4 anni di guerra civile.

Pensate ad tavolo rotondo marrone di quelli antichi, massicci, con sopra la mappa della Siria, plastificata lucida, i nomi delle città, le strade i confini. Intorno al tavolo sedie grandi rivestite di quel tessuto stampato in velluto con i fiori bordeaux, poggiate su enorme tappeto persiano, bello grande. Sul tavolo giusto perpendicolare un lampadario di quelli antichi con tante lampadine. Seduti su quelle sedie se ne stanno quelli che per denaro, per potere, spudoratamente continuano a giocare in un paese oramai dimenticato da tutti. Vediamo chi gioca e come.

Iran: i primi di agosto il ministro iraniano degli affari esteri, Zarif, visita Damasco, dove incontra anche il leader di Hezbollah, Nasrallah, poi si dirige in Pakistan ad Islamabad. Il suo ruolo principale: chiarire le implicazioni dell’accordo di Vienna sul nucleare (ricordo che quell’accordo è poi stato ripreso in toto e annesso alla risoluzione n. 2231 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, quindi vincolante per tutti e dico: tutti). Il commercio delle armi dell’Iran è molto importante per la Siria di Assad. La priorità di Khameini è quella di migliorare la propria difesa, negli ultimi anni si è visto come la sua stessa sicurezza sia inestricabilmente legata ad una rete di alleati regionali e di proxies che ha coltivato in Iraq, in Libano, e nella stessa Siria. Questo include Assad e una serie di milizie pro – governative, giusto per fare qualche nome, e lo farò in inglese perché mettersi a tradurre i nomi mi pare decisamente fuori luogo: National Defence Forces (la più grande rete di milizia), the Jerusalem Brigade, the Syrian Resistance, Syrian Social Nationalist Party, Popular Front for the Liberation of Palestine – General Command, Desert Falcons. Con tutti i miliardi spesi per il supporto ad Assad è assai improbabile che Teheran si faccia da parte. Aprile 2015, il presidente russo Putin, evidenziando i progressi nelle negoziazioni per l ‘accordo con l’Iran sul nucleare, dichiara d’avere una buona ragione per togliere il divieto di vendita degli S – 300 all’Iran, un potente sistema di difesa aerea, visto come un utilissimo mezzo per compensare la superiorità aerea degli americani e degli israeliani. Qualche giorno fa il presidente iraniano Rouhani ha rivelato che il paese ha prodotto il suo ultimo modello di SSM: il Fateh (vincitore) 313, missile balistico con un raggio di 500 km. Per Assad l’accordo di Vienna con tutta probabilità assicurerà la crescita di influenza politica e finanziaria del suo più affidabile alleato. Tanto per essere chiari: l’Iran con i suoi contatti politici, organizzazione e finanziamento sostiene il traffico di autocisterne che tengono a galla l’economia, le infrastrutture di Assad . Il sostegno finanziario dell’Iran, le spedizioni, hanno permesso l’acquisto di petrolio e di altri beni d’importazione essenziali. Tanto per capirci: all’inizio del 2013 la banca centrale siriana ha raggiunto un accordo con l’Iran di 3 miliardi di dollari di credito per coprire i rifornimenti di petrolio, parte di una più ampia linea di credito per un valore di circa 7 miliardi di dollari. Un totale di 17 milioni di barili di crudo sono stati spediti alla raffineria di Baniyas tra il febbraio e l’ottobre del 2013, finanziate da lettere di credito iraniane e trasportate da autocisterne dall’Iran e Iraq via l’oleodotto Sumed che attraversa l’Egitto. Il 19 maggio di quest’anno l’Iran e la Siria hanno firmato un accordo per una linea di credito di un miliardo di dollari che è per Assad una gran bella mano. E’ vero che tutte le sanzioni multilaterali e unilaterali secondo l’accordo di Vienna e la risoluzione verranno revocate non prima di 8 anni, immagino che però molti partner e molti ex partner commerciali dell’Iran, tra cui alcuni paesi membri dell’Unione Europea, possano chiudere un occhio sulla politica regionale iraniana se questo è il prezzo per prendere un pezzo della torta. Morale della storia: più soldi all’Iran, più soldi ad Assad.

Russia:  come abbiamo visto vende gli S- 300 all’Iran e si garantisce un bel controllo dell’area, ma contemporaneamente previene un intervento armato americano, perché diciamocelo la Russia è sempre rimasta fissata con l’idea della guerra fredda. Importantissimo, la Siria è sempre stata un cliente fisso dell’industria di difesa russa, tra l’altro molti ufficiali siriani sono stati addestrati in Russia, sposati a donne russe. Putin ha bisogno di quei soldi, ricordiamoci che le sanzioni per la storia dell’Ucraina hanno un costo per l’ economia russa e i soldi servono. La Siria è centrale per le aspirazioni geopolitiche russe, continuano a tenere una struttura di riparazione e rifornimento per la marina russa al porto di Tartus, dove peraltro avevano investito molto denaro per la ristrutturazione poco prima che iniziasse la guerra civile nel 2011. Le aspirazioni russe nel rivestire un ruolo importante nel Mediterraneo dell’est e nel medio oriente sono vive e vegete. Così si è offerta recentemente di ospitare colloqui di pace a Mosca ricevendo Khaled Khoja, il presidente del National Coalition for Syrian Revolution e le forze opponenti.

Arabia Saudita: l’attività diplomatica continua ad avere un profilo molto alto, il ministro degli esteri e della difesa da giugno si focalizzano sul trovare una posizione comune con la Russia. La sicurezza è cruciale e la Siria è terreno fertile di estremisti islamisti non graditi alla monarchia.

Giordania: la sicurezza delle sue frontiere è la sua preoccupazione maggiore. Rinforza la sorveglianza delle frontiere e si allea con gli Stati Uniti nella coalizione anti Stato Islamico.

Turchia: l’assillo di Erdogan, a parte le sue personali aspirazioni di leader regionale, è quello di prevenire la formazione di un Kurdistan nel nord della Siria e con la scusa di fermare lo Stato Islamico, una bomba a loro ed una ai curdi. Una cosa diversa però Ankara l’ha fatta: diminuire le relazioni con Israele. Sì perché Israele ultimamente ha avuto non pochi problemi con l’accordo sul nucleare. Continuano le relazioni commerciali certo, ma la diplomazia sembra essersi imbalsamata.

Israele: non gli è andato giù per niente l’accordo di Vienna, definendolo un errore storico, ripete che il più grande pericolo per Israele é l’arco strategico che si estende tra Teheran, Damasco e Beirut. Raid israeliani  bombardano un’importante via di rifornimento usata da Hezbollah  nelle montagne di Qalamon (area che include una serie di strade che Hezbollah usa per trasferire esseri umani e supporto logistico dentro e fuori dal territorio siriano). Ha bombardato poi 14 postazioni del regime siriano nella parte siriana delle alture del Golan tutto in risposta ad un bombardamento del regime in un villaggio del nord di Israele.

NATO:  con un annuncio a sorpresa del 16 agosto  in cui si dichiara che il dispiegamento dei Patriot finirà a gennaio 2016, si evidenzia un crescente vuoto, oserei dire, tra gli Stati Uniti e i suoi alleati che non è compensato dal recente accordo che consente che aerei americani possano decollare per missioni di combattimento dalla base di Incirlik in Turchia.

Sul tavolo di questo gioco c’è lo Stato Islamico e una serie di gruppi estremisti, piccoli e grandi che si muovono in questo vuoto di potere. Non fanno più notizia i bombardamenti al mercato di Douma di Assad, le foto dei bambini morti. Da poco qualcuno si è accorto che ci sono i profughi siriani e li accolgono perchè sono in fondo dei filantropi. La disgrazia di questo paese è essere un tavolo da gioco, un punto geopoliticamente importante dove il rumore delle armi e quello silenzioso, ma potente dei soldi, coprono il sangue, la miseria, la distruzione. E così Signori, fate il vostro gioco, rien ne va plus.