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Sono utili i mediatori nei conflitti internazionali?

Il ruolo dell’amministrazione Trump di sostegno nel “dare una spinta” alle parti in conflitto verso il cessate il fuoco, spesso è confuso con la negoziazione. Soprattutto si fa coincidere il ruolo di mediatore con quello di risolutore dei conflitti internazionali.

Si afferma, piuttosto grossolanamente, che se il mediatore non fa “fare la pace” allora ha falito. Tuttavia gli sforzi dei mediatori, soprattutto in conflitti intricati come quello a Gaza o in Ucraina, sono costellati di difficoltà perchè i belligeranti sono chiusi nelle dinamiche dei conflitti.

Quando parliamo di mediazione in conflitti internazionali, soprattutto quelli intricati, di cosa esattamente stiamo parlando?

La letteratura sulla mediazione evidenza la tensione tra la necessità di strategie coercitive per raggiungere un accordo finale e l’importanza di strategie meno coercitive per assicurare la titolarità dell’accordo di pace. Uno studio sulla mediazione di terze parti su conflitti identitari suggerisce una relazione formata tra l’intensità della coercizione del mediatore e la transizione attraverso le fasi negoziali.

Ciò implica che una combinazione di strategie coercitive e non-coercitive possa essere necessaria a differenti stadi del processo di mediazione.

Ad esempio, durante la fase di pre-negoziazione, le strategie meno coercitive possono essere efficaci nella costruzione della fiducia e nel creare il momento maturo per la mediazione. Tuttavia, durante la fase di realizzazione, strategie più coercitive possono essere necessarie per assicurare il rispetto dell’accordo. Questo equilibrio è cruciale nei conflitti dove le questioni basate sull’identità sono profondamente consolidate.

Fattori culturali e religiosi sono spesso trascurati nei processi di mediazione ma essi giocano un ruolo cruciale nella risoluzione del conflitto, particolarmente nel Medio Oriente. Il concetto di Sulha, un processo di peacemaking tradizionale arabo, evidenzia l’importanza di ripristinare l’onore e la dignità, riconciliando la comunità più ampia, e delineando pubblicamente la fine della violenza. Questi principi possono essere richiamati a livello internazionale per incoraggiare la comprensione ed il rispetto reciproci.

La religione, in particolare, può essere sia una fonte di conflitto che uno strumento di riconciliazione. Le prospettive islamiche, nel caso quindi del conflitto Israele- Hamas, sottolineano l’importanza delle dimensioni spirituali nell’incoraggiare la riconciliazione. Similmente, il ruolo dei leader religiosi e le istituzioni nella mediazione può essere significativo, dal momento che essi spesso incutono rispetto e fiducia all’interno delle comunità coinvolte.

Quali sono alcune delle caratteristiche principali della mediazione di terze parti?

Flessibilità ed adattabilità: la mediazione è uno strumento flessibile che può essere adattato ai bisogni specifici e ai contesti del conflitto. Permette soluzioni creative che non sono possibili in processi più rigidi come l’arbitrato.

Partecipazione volontaria: diversamente dall’arbitrato, la mediazione è un processo volontario. Le parti coinvolte devono essere d’accordo nel partecipare e accettare gli accordi raggiunti incoraggiandone la titolarità e l’impegno alla risoluzione.

La natura NON-vincolante. La mediazione non impone soluzioni alle parti. Invece, facilita un processo dove le parti possono raggiungere un consenso, rendere i risultati più sostenibili.

Quali sono i ruoli dei mediatori e le strategie?

Facilitare il dialogo. I mediatori aiutano a facilitare le comunicazioni tra le parti, assicurando che ogni parte comprenda le prospettive e le preoccupazioni dell’altra parte. Questo ruolo è cruciale nel ridurre i fraintendimenti, gli equivoci e incoraggia il rispetto reciproco.

I mediatori utilizzano varie strategie per guidare il processo di negoziazione, come fissare un’agenda, proporre soluzioni e gestire le emozioni. Queste strategie sono composte su misura per le specifiche dinamiche di un conflitto (Per cui quelle che sono state ideate per il conflitto in Ucraina, non saranno le stesse per quello a Gaza, perché ogni conflitto ha le sue dinamiche particolari).

Costruiscono la fiducia. Creare la fiducia è un aspetto fondamentale della mediazione. Il lavoro dei mediatori è creare uno spazio sicuro dove le parti si sentono a proprio agio ad esprimere le loro visioni e a negoziare in buona fede.

Superano le sfide. I mediatori spesso affrontano sfide come la riluttanza delle parti ad impegnarsi, le influenze esterne, l’applicazione degli accordi in pratica. I mediatori efficaci sviluppano strategie per superare questi ostacoli, come il rafforzamento del sostegno internazionale o usando tecniche innovative.

Queste sono solo alcune delle caratteristiche dei mediatori, soprattutto delle terze parti che mediano nei conflitti internazionali. Accordare il ruolo di risolutore al mediatore è in qualche modo una semplificazione erronea della risoluzione dei conflitti. Non ci è utile per comprendere le dinamiche, il ruolo, di chi facilita il dialogo che peraltro è un ruolo difficile perchè dipende dalla volontà delle parti. Comprendere meglio il ruolo del mediatore nei conflitti internazionali ci potrebbe anche aiutare ad uscire dalla visione “da stadio” del conflitto, dove si tifa per una parte che si aspetta che vinca, dove l’arbitro ha sempre torto (a seconda della parte della tifoseria). Pur utilizzando il termine “gioco” quando parliamo di conflitti o relazioni internazionali, non è un gioco nel senso sportivo del termine per cui necessariamente c’è chi vince e chi perde. I conflitti contemporanei sono anche intricati e gli strumenti per risolverli sono lontani dal dichiarare chi vince e chi perde. Il mediatore ha il ruolo di facilitatore, di costruttore, non di “dichiaratore di chi vince”.

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Pubblicato inConflitti contemporaneipolitica internazionaleStati Uniti

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