Dicembre 18 2018

Il populismo identitario: una strategia pericolosa

populismo identitario

Il populismo è, semplicemente, una strategia politica in cui un leader costruisce una base di potere su segmenti della società marginalizzati o senza potere. Per far funzionare ciò, i leader populisti realizzano delle politiche e delle riforme che favoriscono i marginalizzati a spese delle élite – o almeno a parte di quelle che li oppongono.

Il populismo è intenzionalmente distruttivo, anche rivoluzionario, dal momento che sfida lo status quo e erode l’esistente distribuzione di potere e ricchezza.

Il populismo si presenta in diverse varianti.

Il populismo economico sollecita il povero o la classe operaia ad opporsi alle élite economiche alla ricerca di una più equa distribuzione della ricchezza e concentra il potere politico nelle mani di un leader populista. Nella sua moderna incarnazione è emerso nel diciannovesimo secolo in America ed è tramontato e fluito sin d’allora, in particolar modo in America Latina dove oggi il populismo economico si pone in cima ad un governo sempre più autoritario, come il caso del Venezuela, in crisi in questi ultimi anni.

Un’altra variante del populismo è basato sull’inclusività, che cerca di spingere i gruppi politicamente marginalizzati verso tendenze dominanti, come il caso del movimento dei diritti civili in America negli anni 1960 e del movimento anti-apartheid nel Sud Africa degli anni 1980.

Il populismo che oggi sta fiorendo in Europa e nel Nord America è differente da quello alimentato dal nazionalismo definito dall’etnia, dalla razza e dalla religione.

Il populismo che sta fiorendo oggi in Europa può essere definito come populismo identitario. Esso trae la sua forza dalla pubblica opposizione all’immigrazione di massa, dalla liberalizzazione culturale e dalla capitolazione – percepita – della sovranità nazionale sia da parte di apparati distanti e inerti come l’Unione Europa ovvero, dalla minaccia più amorfa della globalizzazione e dalla crescente diversità etnica, razziale e religiosa.

In un eco nefasto del fascismo e del nazismo del ventesimo secolo, il populismo identitario pone l’accento sull’inerente moralità di una classe non di élite etnicamente definita, rivendicando che è essa è sotto attacco da parte di una élite immorale ed impura che cerca di distruggere i valori nazionali attraverso il multiculturalismo e il decadimento etico. Questa idea di un conflitto epocale tra quello che i nazisti chiamano “volgo” – il popolo – e le élite decadenti e globalizzanti è riemerso nelle idee estreme  dei movimenti dei bianchi nazionalisti negli Stati Uniti, nel modernizzato Fronte Nazionale in Francia e nell’ultra destra Alternativa per la Germania.

Il populismo identitario, se continua ad estendere la sua portata politica, potrebbe incrementare le opportunità di conflitto armato sia tra Paesi che all’interno delle frontiere nazionali.

 

Le motivazioni perché ciò accada sono molteplici. Innanzitutto, il populismo identitario è basato sull’amplificazione delle differenze tra “noi” e “loro”, enfatizzando le differenze etniche, razziali, culturali e religiose e permeandole di una dimensione etica – “noi siamo morali ovvero puri, e “loro” sono criminali, malati e semplicemente demonio“.
Il populismo identitario di oggi è una manifestazione alimentata da internet di malignità che sembravano svanite nella Seconda Guerra Mondiale.

Se vedere il mondo diviso in questa maniera non garantisce il conflitto, aumenta le occasioni di violenza. È sempre più facile utilizzare la forza contro un oppositore visto come meno morale o meno umano e dipinto come un nemico saldo in una cultura nazionale definita razzialmente ed etnicamente.

Anche all’interno delle nazioni, una visione binaria tra i segmenti della società ritenuti “morali” e “immorali” potrebbe scatenare un conflitto.

Una seconda ragione per cui il populismo identitario aumenta le occasioni di conflitto armato è la sua delegittimazione delle istituzioni internazionali progettate allo scopo di prevenire o limitare le guerre tra le nazioni, in favore di un iper-nazionalismo e di un senso stridente di sovranità.

La terza ragione per cui il populismo potrebbe aumentare le occasioni di conflitto è che i leader populisti spesso si aggrappano ferocemente al potere. Essi sovente creano un sistema politico con orpelli di democrazia – magari elezioni manipolate o legislature flessibili – che è nei fatti è autoritarismo. Il risultato è sia falso populismo che falsa democrazia.

Il Venezuela, la Russia e la Turchia oggi si trovano lungo questa strada e alcune nazioni europee come l’Ungheria e la Polonia, potrebbero seguirle presto.

La storia ci suggerisce che i leader autoritari spesso distraggono l’attenzione dai loro fallimenti demonizzando gli oppositori a livello interno ed estero, rivaleggiando come i soli in grado di prevenire i nemici della nazione.

Di nuovo: questo non assicura che ci sia violenza armata, ma certamente ne aumenta le probabilità, particolarmente quando la presa al potere di un leader populista si indebolisce.

Sicuramente non tutto il populismo è “cattivo”: il populismo inclusivo ha storicamente condotto a società più eque dagli Stati Uniti al Sud Africa. Tuttavia, oggi, il populismo identitario è un fenomeno differente: un manifestazione di malignità alimentata da internet che, giorno dopo giorno,  rende il mondo un posto più pericoloso.

Settembre 11 2016

Emozioni battono logica: ecco chi guida il comportamento politico

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Le emozioni guidano il comportamento politico? Anche quando crediamo che le decisioni prese seguano la logica in realtà il vero fulcro della decisione appartiene al regno delle emozioni.

Il neuroscienziato Antonio Damaso ha condotto una serie di studi su un gruppo di persone che presentavano danni in una parte del cervello dove sono generate le emozioni. Egli ha riscontrato la loro incapacità nel sentire le emozioni; tuttavia si caratterizzavano per una peculiarità in comune: non potevano prendere decisioni. Potevano descrivere quello che dovevano fare in termini logici, ma per loro era molto difficile prendere anche semplici decisioni, come per esempio quella di cosa mangiare.

Molte decisioni si presentano come due facce di una medaglia, con i loro pro e i loro contro: “mangio il pollo o l’agnello?”, ebbene questi soggetti erano incapaci di prendere una decisione.

Le emozioni sono molto importanti quando si tratta di prendere una decisione

Anche quando crediamo che siano decisioni logiche, il vero fulcro di scelta è verosimilmente sempre basato su un’emozione.

Inoltre, diversi ricercatori hanno evidenziato come emozioni accidentali spostino, in maniera estesa, una situazione a quella successiva, interessando decisioni che riguardano una prospettiva normativa non collegata alle emozioni. Questo processo è chiamato: spostamento di emozioni accidentali. Per fare un esempio: la rabbia accidentale innescata da una situazione può cogliere un motivo per incolpare individui in altre situazioni anche se gli obiettivi di tale rabbia non hanno nulla a che vedere con la fonte della rabbia. Lo spostamento di emozioni accidentali avviene, tipicamente, senza che se ne abbia consapevolezza.

Per capire il nesso tra emozioni e comportamento politico prenderemo ad esempio: Donald Trump e lo “Stato islamico”.

Il caso di Trump e dello “Stato islamico”

Potreste chiedervi: “come possono mettersi sullo stesso piano, anche solo per comparazione queste due realtà così diverse tra loro?“.

Se guardiamo cosa guida il sentimento popolare in sostegno di leader politici come Trump, Marine Le Pen ed altri in Europa, vediamo che essi invece di appellarsi alla logica, tamburellano su un bacino di emozione: un misto di identità nazionale, di risentimento socio – economico, che spesso mescola la rabbia, l’umiliazione ad un certo senso di nostalgia per un tempo migliore di quello recente.

È l’emozione, piuttosto che la logica che guida il comportamento politico

Quando i giovani occidentali cadono in preda al richiamo della narrativa di gruppi religiosi estremisti come lo “Stato islamico”, le cose si complicano. In aggiunta agli elementi non-razionali di emozione ed affetto, c’è un altro modo non – razionale esperienziale in gioco: il sacro contro il profano o meglio le nozioni apocalittiche contro quelle sacre.

Anche se poche, esistono evidenze che i gruppi come lo “Stato islamico” facciano leva su individui mentalmente vulnerabili permettendogli di legittimare le loro emozioni rivestendole di un’ideologia. Tuttavia nella maggior parte dei casi, il gruppo si rivolge a giovani in cerca di significati e di validazione attraverso una causa che è più grande della loro condizione individuale; una ricerca che si è rivelata vana nelle società europee in cui molti sono cresciuti.

La logica dei tecnocrati

Per i tecnocrati, i problemi devono essere affrontati usando un quadro logico di analisi. Cause ed effetti devono essere identificati ed isolati. Le soluzioni potenziali devono essere disegnate ed esaminate per comparare i costi e i benefici e gli obiettivi desiderati contro le possibili conseguenze. La legislazione deve essere scritta e conseguentemente diventare legge per essere sicuri che gli strumenti applicati siano i più appropriati.

Viene però da chiedersi: “Perché la visione di un mondo senza frontiere non attrae più rispetto a quella di un mondo circondato da muri?“.

È nella risposta tecnocratica il vero problema. Essa ci dimostra non solo il fallimento della comprensione accurata del problema, ma soprattutto la mancanza del vocabolario necessario capace di indirizzare la situazione.

Ciò diventa ovvio in relazione alla problematicità dei giovani radicali e delle campagne di de-radicalizzazione che cercano di convincerli che la causa che hanno adottato è una strada senza uscita. Questo tipo di richiami che utilizzano argomenti razionali per demistificare gli appelli dello “Stato islamico”, che si rappresenta come una forma pura di Islam pre-moderno, semplicemente non raggiungono le orecchie della persona che cercano di convincere, poiché essa è sintonizzata su un modo non-razionale di esperienza sacra.

La stessa dinamica è in gioco quando si cerca di rispondere alla crescita dell’ondata di populismo nazionalista

in Europa e adesso, nella forma di Trump, negli Stati Uniti. Le analisi degli elementi positivi per cui gli immigranti contribuiscono all’economia della Gran Bretagna e l’impatto catastrofico che lasciare l’Unione Europea avrebbe, non possono competere con la catarsi emotiva di votare in favore della Brexit. Niente è stato in grado di diminuire il richiamo xenofobo della campagna di Trump.

L’ideale europeo vale la pena che sia difeso, ma è stato raramente menzionato nella campagna della Brexit.

Anche nella campagna elettorale per la Casa Bianca sono stati pochi i riferimenti ai valori americani nati dall’essere una nazione di immigrati.

Le emozioni tendono a bloccare la nostra abilità di assorbire nuove informazioni, inibiscono anche l’abilità di condividere una prospettiva alternativa in un modo tale per cui l’altra persona la prenda in seria considerazione.

 Senza l’abilità di prendere e assorbire nuove informazioni le persone s’impantanano in una visione che non ha  potenziale di crescita, di cambiamento o di sfumature.

 

Marzo 7 2016

Il labirinto libico

labirinto libico

Il labirinto libico è fatto di divisioni politiche, fazioni estremiste, lo stato islamico e le risorse idriche che se cadessero in mano del gruppo di Abu Bakr al – Baghdadi potrebbero disegnare scenari peggiori di un semplice caos.

In questi giorni le notizie sulla Libia sono state riportate creando, se possibile, più caos di quello che c’è in Libia. Mi sono sempre chiesta: ma come fa una persona che non è del “mestiere” a capire che diavolo succede in Libia?. Cerco allora di aiutarvi a mettere in ordine le idee, se non altro per cambiare canale quando sentite le frasi “beduini del deserto che cambiano idea ogni secondo”. 

Il 17 dicembre 2015 dozzine di delegati delle due compagini governative rivali libiche, così come municipalità locali e la società civile, hanno firmato un accordo delle Nazioni Unite (NU) per formare un governo di unità nazionale. I colloqui sono andati avanti per quasi un anno. Il nascente Governo di Accordo Nazionale (GNA) deve ancora essere pienamente formato. Un consiglio presidenziale di 9 membri è stato stabilito e sta funzionando anche se lavora per la maggior parte da Tunisi. Nel complesso, il processo di divisione del potere indicato nell’accordo è indietro rispetto alla programmazione. La precedente pressione dalla comunità internazionale per restare incollati ad una sequenza temporale spesso affrettata ha dato il via ad errori fatali in Libia, come le elezioni del 2014 senza una massiccia registrazione ed un accordo tra le fazioni per rispettare il risultato. La riconciliazione richiede tempo.
Dopo tutto i due speaker dei parlamenti rivali restano opposti all’accordo. Il leader dell’House of Representatives (HoR) a Tobruk, Agila Saleh, ha ammorbidito la sua posizione dopo che importati tribù nell’est della Libia hanno appoggiato l’accordo, sebbene con la condizione che il ruolo dell’esercito nazionale libico e il suo leader, il Generale Khalifa Haftar sia preservato. A Tripoli, Nuri Abu Sahmain, lo speaker del General National Congress (GNC), ha offerto una concessione al nuovo mediatore delle NU, Martin Kobler, accordandosi per facilitare lo spostamento della Missione Speciale NU per la Libia nella capitale. Nelle ultime settimane, diverse municipalità hanno appoggiato il nuovo governo di unità nazionale con l’offerta del consiglio locale di Benghazi di una capitale temporanea per la Libia, fino a che il governo non sia riportato a Tripoli.

Labirinto libico: i problemi

Il nuovo primo ministro designato, Faize Serraj e Kobler affrontano diversi problemi. Il più stringente è l’ISIS. Il gruppo ha espanso le sue operazioni in Libia, lanciando un’offensiva contro le più grandi istallazioni di petrolio sulla costa e uccidendo dozzine di reclute della polizia. Catturando la piccola città di Ben Jawad, lo stato islamico ha mosso le sue “frontiere” dell’area che controlla lungo la costa libica di 29 km ad est.

L’offensiva dell’ISIS sui giacimenti di petrolio è particolarmente preoccupante. Gli jihadisti sembrano tesi a distruggere piuttosto che prendere il controllo e sfruttare le istallazioni di petrolio, che danneggerebbero permanentemente il budget della Libia, rendendo il lavoro del nuovo governo ancora più arduo. Se avesse successo, l’ISIS potrebbe attrarre nuovi foreign fighters dalla vicina Tunisia, dal Sudan, e dall’Algeria. Questo compenserebbe la mancanza di significativi numeri di reclute libiche che è stata la principale debolezza del gruppo.
L’offensiva dell’ISIS è stata contrastata dalla combinazione di attacchi aerei da Misurata e forze di terra delle Petroleum Facilities Guard, due forze che recentemente si sono allineate rispettivamente con il governo di Tripoli e Tobruk.
I vertici più anziani dell’ISIS sono composti da foreign fighters dall’Iraq, Arabia Saudita e Yemen arrivati la scorsa estate per coordinarsi con i jihadisti locali. Come l’ISIS in Iraq e Siria i ranghi in Libia sono variegati, con cittadini tunisini, sauditi e libici che portano a termine le loro missioni suicide. Il gruppo ha anche intercettato gli jihadisti libici che hanno combattuto con altri gruppi estremisti locali, come Ansar al- Sharia così come i libici che sono tornati dai combattimenti per lo stato islamico in Iraq e Siria.
Mentre lo stato islamico manca di una maggiore base di supporto locale in Libia, la sua presenza nel paese è cresciuta costantemente nei mesi recenti. Il gruppo beneficia della mancanza di una strategia della comunità internazionale. Inoltre, l’ISIS non deve rimanere popolare in Libia per dominare ed espandersi, tutto quello di cui ha bisogno è la perpetuazione dello status quo.
L’altro problema sono le emblematiche radici del caos in Libia. Un mese dopo l’accordo di divisione del potere, il paese ora ha 3 governi, il non ancora funzionante GNA, Tobruk e il governo di Tripoli allineato agli islamisti. Questa settarietà si trascina, malgrado il fatto che 17 paesi che hanno supportato l’accordo di pace, incluso gli Stati Uniti e l’UE, si sono impegnati ad avere a che fare solo con il GNA, una mossa che il Consiglio di Sicurezza ha sostenuto il 23 dicembre 2015.
Inoltre, le divisioni fanno sì che la capitale Tripoli resti isolata. Gheddafi aveva creato uno stato altamente centralizzato, e tutte le leve di potere sono ancora a Tripoli: i ministeri, le agenzie governative e, più importante, la Banca Centrale e la National Oil Corporation: la prima gestisce i soldi del petrolio e la seconda i contratti petroliferi. Per aiutare a riconnettere queste istituzioni chiave con il governo, le Nazioni Unite stanno guidando delle negoziazioni di sicurezza sotto la gestione del generale italiano Paolo Serra, che sta mediando tra le differenti milizie per raggiungere un accordo affinché il nuovo governo possa operare in sicurezza a Tripoli.
Il terzo problema è istituzionale. L’accordo di unità nazionale fa dell’House of Representatives a Tobruk il principale organo legislativo della Libia. Non funziona effettivamente dalla scorsa estate; nei mesi scorsi ha ripetutamente fallito nel raggiungimento di un quorum anche solo per discutere l’accordo politico. Senza la HoR il nuovo governo di unità non può operare pienamente perché manca del voto di fiducia. In più, l’accordo di divisione del potere deve essere supportato da emendamenti costituzionali che devono essere approvati dal parlamento a Tobruk. Il GNC, basato a Tripoli dovrebbe formare buona parte di una seconda camera consultiva conosciuta come State Council la quale, congiuntamente, deve nominare le più importanti istituzioni militari e finanziarie. Ma lo speaker non ha ancora dato il via libera.
Queste nomine militari sono la sfida finale che deve affrontare il nuovo governo di unità.

La grande incognita della falda acquifera Nubian Sandstone

labirinto libicoLa scorsa primavera tre delle quattro nazioni sotto cui si snodano le acque del Nubian Sandstone, il Ciad, l’Egitto ed il Sudan, si sono accordate a continuare il coordinamento per estrarre l’acqua della falda e per una divisione della gestione delle responsabilità. Tuttavia, il caos politico in Libia, la quarta nazione che condivide la falda acquifera, potrebbe far affondare gli sforzi regionali per uno sviluppo sostenibile di questa risorsa vitale.
L’ammontare stimato di acqua accessibile va dai 150 milioni di metri cubici agli 8 bilioni di metri cubici. Come le più grandi falde acquifere del mondo, questa riserva sotterranea si espande in una grande area geografica. Il territorio libico ed egiziano, hanno la quota da leone dell’acquifero e sono stati i più attivi estrattori rispetto al Ciad ed al Sudan.
Nel 2013, la falda acquifera è stata completamente mappata da un gruppo di geologi inglesi, e la Libia ha seguito le altre tre nazioni nel firmare un accordo supportato dalle Nazioni Unite per il coordinamento dell’estrazione dell’acqua e per le abilità dei paesi di monitorare i prelievi così che la falda potesse essere sviluppata sostenibilmente. Due anni dopo, quando i paesi dovevano rinnovare i loro impegni, la Libia era assente.
La connessione tra il caos politico in Libia e la sicurezza delle risorse idriche in Libia non è immediata ma c’è. Per decadi, uno dei più grandi progetti di Gheddafi era il così detto Great Man – Made River, un massiccio progetto infrastrutturale responsabile per l’estrazione e il trasporto dell’acqua della falda sotto e sopra i centri maggiori di popolazione del deserto del Sahara a nord. La rete di trasporto dell’acqua è stata un enorme orgoglio civile soprannominato “l’ottava meraviglia del mondo”. Oggi resta centrale all’identità nazionale del paese e critica per il suo sviluppo economico. Non sorprendentemente l’infrastruttura è diventata il primo obiettivo per i gruppi di insorti che cercavano di far cadere il regime.

Dal momento che i militanti affiliati all’ISIS hanno guadagnato territorio lungo la Libia, hanno visto come possibile obiettivo il controllo dell’infrastruttura lungo il Great Man- Made River. In questo si possono vedere evidenti similitudini con quanto accaduto in Iraq e Syria, (guerra dell’acqua, ISIS e dighe). La Libia è particolarmente vulnerabile a questo proposito. Il sistema di distribuzione dell’acqua si estende per distanze enormi, terreni scarsamente popolati e poco sicuri.

labirinto libico

Diverse settimane fa, i militanti affiliati all’ISIS hanno rivendicato (anche se non è stato confermato) di aver preso il controllo di installazioni lungo il Great Man – Made River, che se vero potrebbero avere enormi implicazioni per il futuro della Libia.
Nel deterioramento della situazione di sicurezza del paese, il comportamento della Libia, su tutte le questioni strategiche, incluso la negoziazione dei diritti delle risorse idriche della falda acquifera Nubian Sandstone, sarà imprevedibile. Inoltre, se gli affiliati dell’ISIS alla fine si assicureranno le infrastrutture libiche per l’estrazione ed il trasporto delle acque del Nubian Sandstone, e le lezioni dall’Iraq e la Siria ne sono un’indicazione, non si preannuncia niente di buono.
Le conseguenze del controllo dei gruppi affiliati all’ISIS della fornitura di acqua della Libia è importante perché la falda acquifera Nubian Sandstone non è una risorsa illimitata. Questo sistema d’acqua sotterranea è conosciuto come una “falda acquifera fossile”, ciò vuol dire che è geologicamente sigillato dalla superficie e non può essere ricaricato da mezzi naturali, come la pioggia che filtra dalla superficie. Mentre la falda acquifera Nubian Sandstone può essere considerata la più grande falda acquifera fossile al mondo: una volta che le acque della falda sono estratte se ne sono andate per sempre! Se i gruppi affiliati all’ISIS prendessero il controllo delle infrastrutture dell’acqua (assumendo che non l’hanno ancora fatto), rapidi e irregolari estrazioni possono facilmente risultare nello svuotamento della vasta falda acquifera più velocemente di quanto ci si aspetti.

Febbraio 10 2016

Algeria: il gigante del Nord Africa

algeria

Algeria: bloccata in uno stato di transizione permanente a causa della predominanza dei militari, gioca un ruolo chiave nella stabilità del Nord Africa e del Sahel.

Dopo 5 anni dall’ondata di insurrezioni che hanno letteralmente scioccato il Medio Oriente e la regione del Nord Africa, il regime algerino è stato in grado di mantenere se stesso e di assicurare una relativa stabilità al suo territorio. Dopo un grande periodo di isolamento a causa della “black decade” (1991 – 2000), il paese sembra essere tornato in pista e giocare un ruolo chiave nella stabilità del Nord Africa e della regione del Sahel. L’Algeria ha innegabili assetti che possono renderla una potenza regionale del Nord Africa, ma le sue profonde sofferenze politiche e socio – economiche sono un  limite reale alle sue ambizioni di potenza regionale.

L’Algeria e il suo potenziale

Sono 4 i fattori che chiaramente delineano il potenziale dell’Algeria: le qualità geografiche, la sua composizione demografica, la ricchezza di petrolio ed il suo settore della sicurezza: moderno e di grande esperienza. Con i suoi 1,200 km di coste ha un locazione continentale strategica nel fulcro del Maghreb. A causa della sua prossimità geografica e la sua eredità coloniale, l’Algeria è un partner privilegiato della Francia, e per estensione, dell’Unione Europea. E’ anche una potenza demografica con una popolazione totale di 39,542,166 di cui il 67% al di sotto dei 30 anni e approssimativamente il 30% tra i 15 e i 29 anni. Il tasso di iscrizione all’educazione primaria è del 95% e per la scuola secondaria è oltre il 60%. La popolazione in età lavorativa costituisce circa il 68% della popolazione totale. Questi numeri indicano  il grande potenziale che hanno i  giovani di incrementare il prodotto interno lordo e aumentare sia la produzione nazionale che i consumi.
Fornitore chiave di petrolio e gas all’occidente, con le terze riserve di petrolio convenzionali più grandi (12,2 miliardi di barili) in Africa e il decimo nelle riserve di gas (4,5 bilioni di metri cubici) nel mondo. I guadagni dall’esportazione di idrocarburo sono stati utilizzati per sostenere una crescita economica stabile.
L’Algeria ha un apparato militare moderno e forte. Il People National Army ha un fronte attivo di forza di 512,000 unità e una forza di riserva attiva di 400,000. L’Algeria è diventata il primo compratore di armi in Africa con una spesa militare che eccede i 10 miliardi di dollari, che rappresenta un incremento del 176% dal 2004. L’Algeria è tra i primi 10 compratori al mondo, muovendosi dal 24° posto nel 2o10 al 6° nel 2013. Il paese sta sviluppando anche la sua industria militare attraverso delle joint ventures con molte imprese in diversi paesi: nel gennaio del 2015 ha rivelato di aver per la prima volta assemblato localmente camion militari a sei ruote Mercedes – Benz Ztros. Questo ammodernamento è andato di pari passo con il miglioramento dell’addestramento delle forze armate. Le forze militari algerine hanno un sofisticato addestramento ed una grande esperienza nelle tattiche di anti – terrorismo ottenute durante la rivoluzione degli anni ’90.

Cosa c’è sotto la superficie

La disaffezione cuoce a fuoco lento sotto la superficie. Proteste spontanee si verificano su base regolare nel paese: solo nella prima metà del 2015, la polizia algerina ha registrato 6,200 proteste locali. Le proteste spesso ruotano attorno all’ingiustizia nell’attribuzione delle case, lavori statali, finanziamenti o l’aumento dei prezzi.
La vasta maggioranza della popolazione è povera, con 10 milioni di persone che vivono al di sotto del livello di povertà. Le infrastrutture, specialmente nella sanità e nell’educazione non possono incontrare i bisogni di una popolazione in costante crescita (il tasso di nascita è del 25,14%). Questi problemi, aggiunti ad una diffusa corruzione e ad una mancanza di trasparenza, hanno spinto molti giovani sia delle città che delle zone rurali a considerare la richiesta di visto per la Francia, l’Inghilterra o il Canda per un lavoro migliore, migliori salari e migliori condizioni di vita. E’ dal 2004, che centinaia di giovani hanno messo le loro vite in pericolo per migrare illegalmente in Europa attraversando il Mediterraneo, un fenomeno conosciuto come haraga (letteralmente: coloro che bruciano le frontiere).
La crescente instabilità in Libia ha dato vita ad un aumento nel traffico di armi e di droga alle frontiere. Infatti, i gruppi violenti hanno rafforzato le loro reti cercando alleati regionali, come mostra la coalizione formata tra Mokhtar Bel Mokthar e il Movement for Unity and Jihad in West Africa. Quest’ultimo ha condotto attacchi alle caserme della polizia a Tamenrasset e Ouergla nel 2012. Queste alleanze regionali sono state evidenziate dall’attacco del 2013 all’infrastruttura di gas ad Amenas da Mokhtar Bel Mokthar. Questo attacco nel sud dell’Algeria in cui morirono 70 persone ha messo in evidenza i legami e le inter – relazioni tra i vari gruppi terroristici in Algeria, Tunisia, Mali e Libia, da cui l’attacco è stato lanciato.

Algeria: quadro politico

Dal punto di vista politico, il paese è rimasto bloccato in uno stato di transizione permanente a causa della predominanza dei militari. Un prominente studioso della politica algerina, Mohamed Harbi, una volta ha detto: “ogni stato ha il suo esercito. L’esercito algerino, tuttavia, ha il suo stato”. Ufficialmente l’Algeria è una repubblica con una forte presidenza, ma in pratica ogni iniziativa presidenziale deve essere approvata dai militari. 53 anni dopo l’indipendenza, l’apparato militare è ancora prevalente sullo stato. In 15 anni, il Presidente Bouteflika non ha mai realizzato vere riforme strutturali. I recenti cambiamenti da lui compiuti principalmente sulla sicurezza sono più un lavoro di cosmetica, niente che minacci i militari ed il loro apparato di sicurezza. Qualche settimana fa, il presidente Bouteflika ha dissolto il dipartimento di intelligence e sicurezza, sostituendolo con un una nuova entità sotto il suo controllo esecutivo. Questa nuova creazione di certo non abbatterà le strutture di potere ombra che controllano l’Algeria, potrebbe solo muovere il loro centro di gravità. I militari hanno appoggiato il quarto mandato di Bouteflika, molto probabilmente per prendere tempo per trovare il “candidato ideale” per la sua successione.

Algeria: politica regionale

La politica regionale algerina è complicata dal suo rapporto teso con il Marocco. Algeri mantiene la sua opposizione alle rivendicazione di Rabat sul Sahara occidentale e le frontiere tra i due paesi restano chiuse. Poche settimane fa l’Algeria deteneva più di 200 marocchini legati ad organizzazioni in Libia e ha arrestato pochi giorni fa 9 cittadini del Marocco che le autorità algerine hanno identificato come “immigrati illegali”, aggiungendo così altre tensioni. L’Algeria ha degli assetti che innegabilmente la possono rendere la potenza regionale. E’ stato già un giocatore chiave nel dialogo inter – libico, l’accordo di pace senza l’Algeria sarebbe stato praticamente impossibile. Tuttavia, l’unico modo per l’Algeria di essere stabile sia economicamente che politicamente nel lungo periodo è quello di premere l’acceleratore per riforme reali e non estetiche, sia economiche che politiche.

La minaccia dell’ISIS in Algeria

In paesi come l’Algeria dove lo stato è forte e c’è un meccanismo impietoso di sicurezza lo stato islamico non può sopravvivere. Lo prova il fatto che il ramo algerino dell’ISIS, chiamato: “jund El Khilafa” che ha rapito il francese Hervé Gourdel nelle montagne di Kabilya, fu eliminato meno di tre mesi dopo l’uccisione del francese. Il gruppo che lo ha rimpazziato fu distrutto in pochi giorni. In Algeria lo stato islamico non può giocare sul binario della polarizzazione sunniti/sciiti perché il 99% della popolazione è sunnita.
23 anni dopo la Black Decade, la sanguinosa guerra civile, che fu precipitata dalla cancellazione, da parte dei militari, delle elezioni vinte dall’Islamic Salvation Front e che ha ucciso approssimativamente 200,000 algerini, l’ideologia salafista e l’attivismo stanno, ancora una volta, emergendo come terreno di dispute politiche.
Molti fattori spiegano l’impennata dei salafisti in Algeria. Nell’eco del panorama nel Medio Oriente e nella regione del Nord Africa, gli algerini affrontano una stagnazione economica, una paralisi politica ed il cambio generazionale. La crescita delle incarnazioni del salafismo (non violento) come ribellione morale contro la crisi delle istituzioni dello stato, con i suoi codici morali rigidi e le promesse di confortare dalle malattie della società, forniscono ai giovani scontenti un’alternativa alle istituzioni religiose statali moribonde e alla crescente irrilevanza dei movimenti islamisti predominanti che li cooptano. Paradossalmente, lo stato ha giocato un ruolo non trascurabile nell’ondata di salafismo utilizzando il movimento come un contrappeso ideologico all’islam politico e ai gruppi rivoluzionari.

algeria

Il salafismo algerino, situato all’estremo conservatore dello spettro teologico e politico, è lontano dall’essere omogeneo. I più prominenti sono i salafisti così detti “quietist” che si astengono dalla politica formale, ripudiano la violenza, ed esortano alla diffusione e l’applicazione di orientamenti teologici rigidamente conservatori nella società. I più importanti rappresentanti di questa linea sono El Ferkous e Abdelmalek Ramadani, attivi nelle associazioni caritatevoli e nei gruppi della società civile, così come nelle attività di vendita per strada. Dato il loro quietismo politico e la neutralità nei confronti del regime algerino, ai salafisti è permesso di avere le loro scuole private, costruire reti di affari indossare i loro peculiari abiti, le lunghe barbe e le tonache bianche. La facilità di accedere alle reti salafisti è particolarmente seducente per i giovani del paese e per i disillusi con quello che loro percepiscono essere l’estrema vecchiaia accumulata dalla società algerina. Dalla sua parte, il regime algerino beneficia della crescita di un movimento apolitico che può aiutare a dissuadere “giovani a rischio” sia dalla politica che dall’estremismo violento. Diversamente dalla Tunisia e dal Marocco dove i principali partiti islamisti sono maturati in importanti forze politiche ed intellettuali, gli islamisti algerini sono affogati nella letargia intellettuale e si sono grandemente disconnessi con le loro basi elettorali. La loro inabilità di adattarsi alle grandi trasformazioni sociali recenti ha eroso le loro posizioni politiche e sociali nella società. Con il loro discorso moralizzatore e con le loro attitudini egalitarie, i salafisti stanno perciò emergendo come contrappeso alla stagnazione dell’islam politico. Tuttavia è bene precisare che non tutto il salafismo manca di un orientamento politico. Come nei paesi vicini, una corrente minoritaria salafista è diventata politicizzata. Un esempio è la creazione dell’Islamic Sahwa Front nel 2013 e del Algerian Front for Reconciliation and Salvation nel 2014. Entrambi i movimenti sono guidati da figure salafiste controverse e provocatorie, il cui obiettivo è quello di creare uno stato islamico. Fin qui, tuttavia nessun movimento ha ottenuto il riconoscimento di partito politico o ha saputo vendere l’idea di un impegno politico della più ampia comunità salafista. Alcuni osservatori credono che il regime alla fine seguirà il modello marocchino di integrazione politica dei salafisti che hanno pubblicamente ripudiato la violenza e la sovversione.
Il regime algerino nello sforzo di impedire che le correnti salafiste più conservatrici possono trovare terreno fertile, ha rinforzato il quadro istituzionale di supervisione delle moschee e dei discorsi religiosi. Nel 2015 il governo ha annunciato la creazione del Consiglio Scientifico Nazionale, incaricato di emettere le fatwa “ufficiali”. I suoi membri sono assistiti dall’istituzione egiziana Al – Azhar, considerata un’alta autorità nella giurisprudenza islamica. Il Consiglio ha già emanato una serie di decreti religiosi, dalla permissibilità dell’accettazione di prestiti bancari all’acquisizione di appartamenti sovvenzionati ai limiti imposti sul trapianto di organi e al divieto di donazione di sperma ed ovuli anonimi.