Aprile 29 2017

Attori solitari: l’arma subdola dell’Islamic State

attori solitari
Gli attori solitari sono una delle armi più subdole dell’IS. Tornati o mai partiti, adolescenti, uomini e donne che anche senza ordine preciso dell’IS colpiscono in suo nome.

Innanzitutto chiariamo cosa vuol dire il termine “attore solitario”. Esso connota qualcuno che agisce senza connessione diretta con l’organizzazione estremista. Tuttavia, anche se potrebbe trarre in inganno, la frase è comunemente usata per riferirsi alle persone che agiscono individualmente o in piccole cellule con il minimo supporto da parte del gruppo estremista che usa la tattica del terrorismo.

La potente proiezione dell’IS esercita una spinta gravitazionale su persone vulnerabili in tutto il mondo, ma non tutte queste persone entrano nella sua orbita. Alcuni non possono viaggiare fino in Medio Oriente perché impediti da circostanze personali, ostacoli esterni o mancanza di immaginazione. Vista la non partecipazione al progetto IS all’estero, alcuni decidono di partecipare a casa, attraverso atti di violenza.

Fin dagli inizi l’IS prevede l’utilizzo di “operazioni esterne”

Nel marzo del 2014, quando in Occidente pochissimi contemplavano un intervento in Siria ed in Iraq, l’IS già si avvaleva di operativi che lavoravano alla causa del “caos” nelle società di tutto il mondo. A maggio, un cittadino francese di discendenza algerina, Mehdi Nemmouche colpisce ed uccide 4 persone nel museo ebraico del Belgio prima di sparire dalla scena. Quando fu arrestato in una stazione ferroviaria in Francia, qualche giorno dopo, la polizia trova nel suo bagaglio un video che lo ritrae con la bandiera dell’IS  mentre rivendica la responsabilità dell’attacco.
La velocità delle “operazioni esterne” dell’IS aumenta significativamente. Gli incidenti assumono diverse forme. Cittadino inglese di 19 anni  che viene arrestato per le strade di Londra con addosso un coltello, un martello e una bandiera dell’IS. In Francia due ragazze adolescenti, di 15 e 17 anni, vengono arrestate perché pianificavano di mettere una bomba della sinagoga a Lione. In Australia la polizia arresta 15 persone in una serie di interventi della polizia perché progettavano di decapitare a caso una serie di cittadini australiani e avvolgere i loro corpi con la bandiera dell’IS per poi mostrarli al pubblico. Il piano era stato diretto per telefono da un reclutatore australiano dell’ISIS in Siria.

Il richiamo ufficiale agli attori solitari di tutto il mondo

E’ il portavoce dell’IS, Abu Muhammad al Adnani (ucciso recentemente da un drone americano), che sollecita i sostenitori di tutto il mondo ad alzarsi e a rispondere agli attacchi aerei dell’occidente compiendo attentati contro ogni cittadino dei Paesi a cui appartengono e che fanno parte della coalizione anti IS:

Lone wolves

Distruggete il loro letto. Se tu puoi uccidere un miscredente americano o europeo – specialmente i perfidi francesi – oppure un australiano, un canadese o ogni altro miscredente della guerra dei miscredenti (…) poi conta su Allah, e uccidilo in ogni maniera o modo. Non chiedere a nessuno consiglio e non cercare il verdetto di nessuno. Uccidi il miscredente che sia civile o militare. Rompigli la testa con una roccia, o massacralo con un coltello, o passagli sopra con una macchina, o o buttalo giù da un posto alto oppure strangolalo o avvelenalo. Se non sei capace di farlo, allora brucia la sua casa, la sua macchina, il suo luogo di lavoro. Oppure distruggi le sue armi”.

Dal momento della diffusione di questo messaggio in poi, si sono susseguiti una serie di attacchi: un 18 enne pugnala due poliziotti; il 25 enne Martin Couture – Rouleau investe con la sua macchina due soldati canadesi in un parcheggio, in Quebec, per poi uscire dalla macchina armato di coltello. Uno dopo l’altro, giorno dopo giorno. Il 32enne americano, Zale Thompson, attacca due poliziotti newyorkesi con un’ascia; per citarne alcuni. Attacchi che continuano per tutto il 2015.

L’uso degli attori solitari pone l’IS in una posizione di supremazia rispetto agli altri gruppi estremisti di natura religiosa

Per anni Al Qaeda aveva incoraggiato questo tipo di attacchi, con raro successo. Gli attori solitari inspirati da Al Qaeda si sono sempre focalizzati su obiettivi militari ovvero edifici governativi. Molte reti ispirate ad Al Qaeda ma non connesse ad esso, hanno discusso apertamente sul loro disagio a proposito di obiettivi i civili.

La messaggistica dell’IS ha un diverso tipo di sofisticazione. Laddove Al Qaeda incastonava il tono dei suoi messaggi per potenziali reclute in termini più relativi: “fare la cosa giusta”, l’IS cerca di stimolare più che convincere. La sua propaganda e i suoi materiali di reclutamento sono enormemente viscerali, da scene di violenza grafica a visioni pastorali di una società utopica che sembra fiorire, in qualche modo, nel mezzo di una zona di guerra.

Le sfide poste dal fenomeno degli attori solitari 

Il fenomeno degli attori solitari pone essenzialmente due tipi di sfide. La prima: i combattenti  che ritornano o per accordo con la direzione dell’IS o per scelta propria, presentano in sé un alto rischio. Essi possono condurre attacchi in vece del gruppo in tutto il mondo.
La seconda sfida è quella che presenta punti più contraddittori. Nel protrarsi del conflitto in Siria ed in Iraq, soprattutto, vengono a galla sempre più rapporti di combattenti (cittadini di stati occidentali) che, disillusi dal conflitto, vogliono tornare a casa. Interesse dei governi occidentali è vedere come individui radicali si disimpegnino dalla loro causa estremista. Alcuni combattenti possono essere stati lusingati da un’offerta di un accordo di cooperazione, ma questo quasi sempre prevede che trascorra comunque un significativo lasso di tempo in prigione. Mentre un combattente può essere disilluso con la causa o con l’esperienza, potrebbe comunque disprezzare le politiche occidentali e non essere incline a tornare dai suoi amici di un tempo. La  Danimarca ha lanciato iniziative di de – radicalizzazione per ex combattenti dell’IS, altri Paesi considerano l’opportunità di adottare simili programmi, ma questi sforzi possono essere inficiati da ampi quesiti senza risposta che riguardano l’effettività e i rischi di questo tipo di programmi. Inoltre, c’è una difficile questione di responsabilità: la giustizia vuole che ci siano conseguenze per i crimini, particolarmente per quelli atroci commessi sotto la bandiera dell’IS. Per incentivare le defezioni è necessario permettere che questi crimini restino impuniti?

Gli studi condotti sul fenomeno dei combattenti occidentali che appartengono a gruppi estremisti di natura religiosa non sono confortanti. Il più famoso è quello condotto da Hegghammer nel 2013. Ci rivela che, nella storia dell’intero movimento jihadista, pochi militanti occidentali hanno lasciato perdere definitivamente la tattica del terrorismo una volta lasciato il campo di battaglia. Anzi, la presenza di ex combattenti in un piano terroristico aumenta la probabilità che il piano sia di successo e ne aumenta significativamente la letalità.

Non esistono soluzioni come prendere una medicina per far passare la febbre.  L’arma subdola degli attori solitari ha radici nella ricerca di un’identità, dell’appartenenza ad un gruppo, nel seguire una causa comune, in tutta quella messaggistica di cui parlavamo prima sull’idea di una società che fiorisce anche in zone si guerra. Non si tratta di dire è giusto o sbagliato e ricondurre tutto ai “buoni contro i cattivi”. L’identità nazionale, il senso di appartenenza, il sistema di valori sono campi a cui le nostre società “occidentali” hanno abdicato in favore del qualunquismo e del menefreghismo, del tutti contro tutti. Del denigrare a tutti costi senza un percorso di confronto costruttivo. Nel lasciare intere sacche della società abbandonate a sé stesse, sperando che qualcun’altro se ne occupi. La soluzione forse è dove non la si cerca mai, nel degrado dei valori che procede inarrestabile.

Febbraio 16 2016

Guerra dell’acqua, dighe e ISIS

guerra dell'acqua

Le risorse idriche sono un’arma molto potente, ci sono guerre che si conducono solo utilizzando dighe, corsi d’acqua. L’ISIS è in grado di utilizzarle? La diga di Mosul era stata presa dall’ISIS e poi riconquistata dai curdi, molto prima che l’impresa italiana vincesse l’appalto per lavori di manutenzione.

Ci tengo a fare una premessa a questo post. Ho lavorato per conto del Ministero degli affari esteri italiano in Africa ad un progetto di una diga idroelettrica, i cui lavori erano stati interrotti a causa di una guerra civile che aveva insanguinato il paese. Era la mia prima missione, che non dimenticherò mai. L’acqua è un bene primario, le dighe idroelettriche allo stesso modo sono necessarie per l’economia, la vita di qualsiasi popolazione. Troppe volte si crede che le guerre si combattano solo con le armi, con le bombe, invece ci sono armi più devastanti di quelle, come l’utilizzo delle dighe o delle risorse idriche per conquistare territori o legittimare il proprio potere nei confronti della popolazione locale.

La diga di Mosul

Il ministro delle risorse idriche ha, in un’intervista alla al – Sumaria TV, recentemente smorzato le preoccupazioni che la diga di Mosul crollerà, stimando che la probabilità di cedimento è di “uno a mille”, sostenendo inoltre che tutte le dighe del mondo hanno un certo livello di rischio. Nel frattempo, gli operai stanno rimuovendo dalle 5 alle 6 tonnellate di calcestruzzo al costo di circa 6 milioni di dollari al giorno.

guerra acquaLa diga (idroelettrica) lunga 3.6 km è locata vicino al territorio controllato dallo stato islamico nel nord del paese. I militanti dello “stato” islamico hanno preso il controllo del nord e dell’ovest dell’Iraq e agguantato la diga di Mosul nell’agosto del 2014, facendo crescere le paure che potessero farla esplodere e far sprofondare sott’acqua Mosul e Baghdad uccidendo migliaia di persone nella valle densamente popolata del fiume Tigri.
I combattenti curdi, i così detti Peshmerga, hanno ricatturato la diga due settimane dopo con l’aiuto dei bombardamenti aerei degli americani e con il supporto delle forze governative irachene. Il deterioramento della diga aveva spinto le forze americane ad abbozzare un contingency plan per il potenziale cedimento. Molta della retorica militare sulla diga di Mosul si è focalizzata sul potenziale di una deliberata distruzione della struttura, rilasciando una catastrofica onda d’acqua che raggiungerebbe 4.6 metri di altezza fino a valle, a Baghdad, che dista 350 km. Tuttavia, politicamente ed economicamente è il controllo dell’idroelettricità della diga che ne definisce la priorità. Gli ingegneri, hanno notato che la montatura del bacino idrico poco ortodossa – su carsico solubile (fatto di roccia calcarea tipica delle zone con flussi d’acqua sotterranei) possa determinare una rottura accidentale della diga, se non fosse realizzato un lavoro: tempestivo, vitale, geo-tecnico, inclusa l’iniezione di intonaco impermeabile.

Quando Saddam Hussein costruì la diga tre decadi fa, serviva come simbolo della sua leadership e della forza dell’Iraq. I generatori della diga di Mosul possono produrre 1010 megawatt di elettricità, secondo quanto riporta il sito della Commissione di Stato irachena per le dighe e i bacini idrici. La struttura contiene anche 12 miliardi di metri cubici di acqua che sono cruciali per l’irrigazione delle aeree agricole dell’ovest Iraq, nella provincia di Nivive.
E’ dal suo completamento nel 1980 che la diga ha richiesto una regolare manutenzione incluso delle iniezioni di cemento in aeree di perdita. Il governo americano ha investito più di 17.9 m dollari sul monitoraggio e le manutenzioni, lavorando assieme ai team iracheni. Già nel 2007 l’allora comandante generale delle forze americane in Iraq, David Petraeus, e l’allora ambasciatore americano in Iraq, Ryan Crocker, avevano avvertito il primo ministro di quel tempo Nouri Maliki, che la struttura era molto pericolosa perché era stata costruita su una base di terreno instabile. Nella lettera inviata al primo ministro iracheno si leggeva: “assumendo il caso dello scenario peggiore, un cedimento istantaneo della diga di Mosul che è riempita ed operativa al suo massimo livello potrebbe risultare in un’onda di 20 metri che sommergerebbe la città di Mosul”.

Poi arriva la Trevi che gareggia per l’appalto dei lavori di manutenzione, Renzi dice pubblicamente che manderà 450 soldati a protezione della diga mentre si svolgeranno i lavori et voilà la Trevi vince l’appalto. Gli altri concorrenti non avevano fatto proclamare ai quattro venti al presidente del consiglio dei ministri che avrebbero mandato un apparato di sicurezza dei soldati regolari dell’esercito dello stato. (mi chiedo che status avranno quei soldati, visto che non si tratta di una missione internazionale sotto egida ONU o NATO). Mi chiedo (anche se conosciamo già la risposta) se l’appalto l’avesse vinto una ditta, che ne so tedesca, Renzi avrebbe mandato tutti quei soldati italiani a protezione. Ritengo che proteggere una sola diga non risolva il problema, forse risolve una sciocca credenza secondo cui al “popolo” va fatto credere che si combatta il terrorismo internazionale.

Guerra dell’acqua: un fantasma che minaccia il Medio Oriente.

I combattenti dell’ISIS controllano le parti superiori dei fiumi Tigri ed Eufrate, che scorrono dalla Turchia nel nord nel Golfo a sud. Tutto l’Iraq e grandi parti della Siria contano su questi fiumi per cibo, acqua e industria. Molti analisti (compreso chi scrive) prevedono che i tentativi dello stato islamico di controllare le risorse idriche arabe porterà ad una crisi d’acqua che metterà in ombra il conflitto che si svolge sul petrolio, perché l’acqua è una questione di vita o di morte.
Sfugge a molti purtroppo che non leggono i report degli analisti, perché evidentemente preferiscono le riviste di gossip o le fantasticherie di Renzi, che il controllo dei fiumi e delle dighe è considerato dall’ISIS un’arma molto più importante del petrolio.
In questa ottica si possono leggere gli annunci del gruppo estremista transnazionale nell’estendere il controllo del territorio dal Levante all’Egitto, Etiopia e Maghreb. Questo “stato” islamico si vuole estendere alle sorgenti del Nilo. L’alleanza giurata da Boko Haram nel marzo del 2015 ha probabilmente come obiettivo quello di sostenere la cospirazione dello “stato” islamico per controllare le sorgenti del Nilo. Sebbene le popolazioni povere della regione sono le sole a pagare il prezzo per il conflitto del petrolio, le guerre d’acqua  non risparmiano nessuno.

Strategicamente, l’uso della diga per determinare i livelli di acqua e di rifornimenti a larghe parti del paese la rende il più grande prezzo in quello che gli analisti della sicurezza descrivono come “la battaglia per il controllo dell’acqua” e che molti vedono come la definizione degli obiettivi dell’ISIS in Iraq.
Questo piano appare evidente, dopo l’estensiva inondazione causata dalla deliberata chiusura della diga Nuaimiyah nell’ovest di Baghdad.
Ma questa non è la prima volta che l’acqua è stata usata come un’arma nella “fertile mezzaluna” alla convergenza dei fiumi Tigri ed Eufrate. Saddam Hussein ebbe come obiettivo le risorse idriche durante la guerra Iran – Iraq e la sua oppressione per i Maʻdān (معدان‎) – abitanti dei terreni paludosi del Tigri e dell’Eufrate nel sud e nell’est dell’Iraq e lungo la frontiera iraniana – durante gli anni ’90 centrata sul drenaggio di 6,000 km² di terreno acquitrinoso, distruggendo un’economia di sussistenza vecchia forse di 10,000 anni. Secondo l’ingegnere Azzam Alwash, premio ambientale Goldam del 2013 per il suo lavoro post – 2003 per ristabilire i terreni paludosi, era una guerra “con altri mezzi”.
L’uso tattico di rifornimenti d’acqua in guerra risale ad almeno quanto la civilizzazione stessa. Limitare ed esaurire I rifornimenti d’acqua è stato usato come un’arma d’assedio nel corso della storia.
Un esperto di politiche delle risorse idriche nel Medio Oriente, Mark Zeitoun ha sviluppato una teoria sull’ “idro – egemonia” in cui il controllo dei rifornimenti d’acqua è una componente intrinseca delle relazioni ineguali di potere. In quest’ottica, l’acqua è una parte integrante di tutti i tipi di conflitti, dall’antagonismo culturale all’aggressione militare. Ne segue che come la domanda globale di acqua cresce le aree che già fanno esperienza di stress d’acqua soffrono di più per cambiamenti imprevedibili del clima, quindi l’importanza delle tensioni sulle risorse idriche ad ogni livello crescerà proporzionalmente.

L’acqua è il cuore di molti conflitti nel mondo, sia che siano tra nazioni come l’Egitto e l’Etiopia, dove le tensioni diplomatiche sono alte, che siano tra le comunità del mondo in via di sviluppo e le imprese multinazionali come la Coca Cola in India, o tra regioni, tra paesi nell’occidente come gli Stati uniti dove vari stati sono coinvolti in battaglie legali sul rio Grande.

L’ISIS e l’arma delle risorse idriche

I militanti dell’ISIS, oltre alla diga Nuaimiyah, hanno sprangato 8 chiuse della diga di Fallujah che controllano il flusso del fiume, sommergendo d’acqua i terreni fino al fiume Eufrate e riducendo i livelli d’acqua nelle province del sud da dove passa il fiume. Molte famiglie sono state forzate ad andare via dalle loro case. I militanti dell’ISIS riaprirono 5 delle chiuse, temendo che la loro strategia potesse ritorcersi contro.
Sebbene l’ISIS non abbia dimostrato la capacità di operare da un punto di vista tecnologico nelle strutture idriche, l’organizzazione continua a perseguire il controllo delle dighe e dei sistemi idrici in Iraq e in Siria, che se acquisiti e adeguatamente mantenuti possono parzialmente legittimare il loro governo o alternativamente essere sfruttati come arma.
Istituzionalizzare la gestione delle risorse idriche e dei sistemi è un mezzo realistico per l’ISIS per espandere le sue fonti di finanziamento. Diversamente dalla produzione di petrolio dello “stato islamico”, che (illegalmente) opera nel mercato globale, l’acqua è un bene regionale che è grandemente dipendente dall’operatività di dighe idroelettriche locali. Per lo stato islamico queste dighe sono le più importanti locazioni strategiche nel paese.
L’ISIS ha iniziato a controllare le infrastrutture idriche nel 2013 con l’occupazione della Diga Tabqa, la più grande diga idroelettrica siriana che fornisce elettricità anche alla città di Aleppo. Durante l’invasione di Fallujah, l’ISIS effettivamente ha impiegato le vicine dighe,canali e bacini come armi, negando l’acqua ad aeree al di fuori del suo territorio. L’ISIS ha utilizzato la forza distruttrice dell’inondazione anche quando ha chiuso la diga di Thathar vicino Fallujah. L’ISIS riaprì almeno una delle chiuse della diga per inondare le aree limitrofe un attacco che uccise 127 soldati iracheni. Nella città dell’est della Siria, Raqqa, lo stato islamico ha esaurito le riserve d’acqua e distrutto le reti di distribuzione, forzando i residenti a contare su risorse idriche non trattate e dando vita alla diffusione di malattie trasmesse attraverso l’acqua, come l’epatite A e la febbre tifoidea.

Il comportamento dell’organizzazione in Fallujah, Raqqa e Mosul ci indica che lo stato islamico non possiede le risorse che servono per impiegare il soft power della governance attraverso la gestione delle infrastrutture tecnologiche della regione. Diversamente dalle comuni forme di finanziamento dell’ISIS, la ricchezza acquisita dal controllo e comando delle risorse come il petrolio o l’acqua ha bisogno di una pianificazione contingente sulle infrastrutture e di una forza lavoro molto qualificata. La supervisione delle dighe richiede un set di alta specializzazione di cui non c’è indicazione che l’ISIS le possieda.
Sfortunatamente, l’insicurezza delle risorse idriche si diffonde al di là dell’Iraq e della Siria, verso la Giordania. I rifugiati siriani ed iracheni si stanno radunando in una delle zone più stressate a livello di risorse idriche nel Medio Oriente, la regione ora perde acqua al secondo tasso più veloce del mondo. La Giordania che ha visto l’influsso di 750,000 rifugiati siriani e 60,000 rifugiati iracheni, sta esaurendo i suoi rifornimenti d’acqua di tre volte il tasso di ricarica, affrontando estreme siccità sistemando 3,000 nuovi rifugiati al giorno. Se l’ISIS diventa vincente nel governo delle infrastrutture, i rifugiati possono essere costretti a tornare a casa dove ci sono fonti idriche su cui possono contare e simpatizzare per l’ISIS, similmente alla crescente simpatia per lo “stato” islamico nella popolazione di Yarmouk in Siria, che ha sofferto delle tattiche estreme di Assad che erano il risultato di carenze di cibo ed acqua.

Ottobre 22 2015

L’equilibrio precario dell’Iraq

Iraq

L’Iraq di oggi è in uno stato di equilibrio precario tra curdi armati dall’Unione Europea, ISIS e bombardamenti. L’errore dell’assistenza senza condizioni e senza responsabilità.

In Iraq si è cercato di accelerare la creazione di consenso e il processo di  decision making, ignorando la complessità del paese e soprattutto tenendo l’ ex primo ministro Nuri al – Maliki in carica fino al 2010. Quello che iniziò nel 2007 conosciuto come “Sunni Awakening” era il risultato di un senso di opportunità politiche create dalle promesse che i sunniti sarebbero stati inclusi nella politica di Baghdad, con l’ accesso ai posti di governo. Il primo ministro: Abadi, da un anno in carica, ha studiato ingegneria in Gran Bretagna, opposto al regime di Saddam Hussein che uccise i suoi due fratelli, nei circoli dei dissidenti iracheni si è guadagnato la reputazione di uno che cambia opinione a seconda delle circostanze.

Riprendere Mosul dalle mani dell’ISIS.

Alla fine del 2014, il governo iracheno in concerto con gli Stati Uniti pianifica una massiccia operazione per riprendere il controllo di Mosul, la più grande città del paese nelle mani dell’ISIS. Ma l’ISIS è più veloce dei piani iracheni e così  il focus si sposta a Tikrit, ripresa dalle forze regolari irachene  a marzo 2015. A maggio l’ ISIS prende il controllo della città di Ramadi e il governo iracheno si trova costretto ad impiegare più truppe ad Anbar, ritenendo che il controllo di questa provincia fosse più importante per la sicurezza dei dintorni di Baghdad e la città sacra degli sciiti: Karbala. Un’altra città da riprendere sotto il controllo del governo di Baghdad è Baiji, 200 km a sud, collegamento tra i guerriglieri ISIS di Anbar e la provincia siriana di Raqqa che fornisce combattenti e depositi armi per lo Stato Islamico. Anche se è più piccola di Mosul, la battaglia per Baiji ha stremato l’esercito iracheno e la Forza Popolare di Mobilitazione nonostante il supporto aereo della coalizione a guida americana (attacchi aerei in Siria e Iraq). Il 15 ottobre le forze irachene hanno dichiarato di aver ripreso molto del controllo della raffineria di petrolio della città di Baiji, punto focale delle operazioni. Lo stesso sindaco della città ha dichiarato che la polizia federale irachena ha ripreso il controllo di molte parti della città (difficile sapere se è vero perché è una zona molto pericolosa in cui i giornalisti non hanno accesso). – Le forze irachene riprendono la raffineria -Baiji
E’ difficile determinare il numero dei guerriglieri dell’ISIS che difendono Mosul (data l’abilità del gruppo nel manovrare le truppe di riserva dalla città di Raqqa ad Anbar) stime ci dicono tra i 10,000 e i 30,000. Ufficiali curdi riferiscono che l’ISIS potrebbe mettere a difesa di Mosul un numero di guerriglieri pari a 20.000 unità. In contesti militari di solito, una forza offensiva dovrebbe essere tre volte più forte di come ci si aspetti sia quella difensiva. Questo però non è il solo problema: combattere in zone residenziali neutralizzerebbe la potenza aerea della coalizione e il suo vantaggio e renderebbe le forze offensive vulnerabili alle mine dell’ISIS e farebbe in modo che i residenti locali combattano a fianco dello Stato Islamico.
Il parlamento iracheno è ancora riluttante nel creare una forza sunnita (National Guard Forces) che potrebbe fornire sicurezza alla città. In assenza di ciò, i residenti di Mosul, molti dei quali sunniti, restano opposti all’intervento delle forze sciite del regime, perché temono che con la scusa di prendere la città potrebbero esercitare ritorsioni con il pretesto che supportavano l’ISIS. Per la stessa ragione sono contrari alle forze peshmerga, soprattutto perché le ambizioni nazionaliste curde crescono ed è sempre più forte il desiderio di annettere territorio.

I gruppi paramilitari sciiti

Abadi si è avvalso del supporto dei gruppi paramilitari sciiti per combattere l’ISIS. Questi gruppi sono conosciuti come Popular Mobilisation Commitee ovvero Hashid Shaabi, comandano circa 100,000 combattenti e sulla carta ricevono più di un miliardo di dollari dal budget dello stato iracheno. Grandi somme di denaro le ricevono dall’Iran, che stando ad ufficiali delle milizie, li finanzia dal 2011. Ci sono tre grandi gruppi di milizie: 1) Amiri’s Badr Organization; 2) Asaib al – Haq; 3) Kataib Hezbollah, fedeli al leader religioso iraniano, Khameini, di cui usano l’immagine su manifesti e volantini. La crescita della potenza di questi gruppi è direttamente proporzionale alla crescita della minaccia dell’ISIS. Ed è stato proprio il più alto religioso sciita iracheno: Ali al – Sistani ha chiamare volontari per combattere l’ISIS. Elementi di questi gruppi paramilitari sciiti hanno preso, anche se in maniera parziale, il controllo del Ministero dell’Interno.

La forza combattente dei curdi iracheni

Conosciuta con il nome di “peshmerga”, che è il nome curdo per indicare: “coloro che affrontano la morte“. I curdi iracheni risiedono in tre province che formano il Governo Regionale del Kurdistan. I curdi iracheni hanno l’autonomia de facto dal 1991 quando la coalizione a guida statunitense stabilì la no – fly zone sull’area curda per proteggerli dagli attacchi di Saddam Hussein. Il Governo Regionale del Kurdistan fu ufficialmente riconosciuto come regione semi – autonoma nella costituzione del 2005.  I curdi si sono rivelati essere la migliore forza di terra contro l’ISIS. I peshmerga contano 15,000 truppe mentre l’esercito iracheno 271,500, controllano un territorio di 25.750 km. Le riserve di petrolio della regione curda ammontano a 4 miliardi di barili.

La strategia europea: armare i curdi

I ministri degli esteri dell’Unione Europea, in un incontro di emergenza accolgono favorevolmente la decisione di diversi governi europei di armare i curdi. La ragione? “Ce l’ ha chiesto il presidente della Regione del Kurdistan iracheno“. Masoud Barzani, ha fatto un appello, ecco chi ha risposto:

  • Italia
  • Repubblica Ceca
  • Gran Bretagna
  • Olanda
  • Germania (la più generosa)
  • Francia
  • Albania

La politica estera europea si fa così mandando armi ai curdi e non al governo centrale iracheno. L’esercito iracheno ha solo 5 divisioni funzionanti, la cui prontezza di combattimento si aggira tra 60% e il 65%. La Nato nel 2004 si fece carico di assistere lo sviluppo delle istituzioni e strutture di addestramento delle forze di sicurezza irachene. I due maggiori contributori sono l’accademia militare irachena e i Carabinieri, ebbene sì, i Carabinieri italiani si occupano dell’addestramento della polizia federale. Recentemente proprio i Carabinieri hanno avviato un corso per la formare professionisti in grado di proteggere le infrastrutture economiche critiche. Oltre questo nulla. Mi chiedo quindi cosa pensa di fare il nostro ministro della Difesa quando dice che i nostri tornado dovrebbero cambiare il loro coinvolgimento in Iraq. A parte questi pochi corsi tutto il resto dell’assistenza internazionale si concentra sulla vendita di armi ai curdi iracheni. Viene da pensare che i burocrati occidentali preferiscano che il governo di Baghdad si sgretoli sotto il peso delle differenze etniche e che l’Iran prenda il controllo del paese, riproponendo una dittatura, prima che se lo prenda l’ISIS.

Esiste una via di uscita?

Una via potrebbe essere quella della costruzione di una rete di residenti locali opposti all’ISIS. Il problema è che Abadi è riluttante, benché si fosse dimostrato più aperto, a concedere più spazio ai sunniti nella vita politica e soprattutto ad armarli, condizione che gli permetterebbe di riprendere il controllo di Mosul.
La scelta di Abadi è limitata o l’aiuto americano o la dipendenza solo dall’Iran. Il fatto che Abadi pochi giorni fa abbia dichiarato che vorrebbe che i russi conducessero attacchi aerei anche in Iraq ci dimostra solo che lui vuole rinforzare la sua posizione. La coalizione capitanata dagli Stati Uniti che bombarda l’Iraq nel vano tentativo di contenere l’ISIS non ci offre un Iraq migliore. Il grande errore è stato proprio questo: concedere assistenza al governo di Baghdad senza che si mettessero in campo le riforme istituzionali necessarie, senza che prima Maliki e ora Abadi si assumessero alcuna responsabilità del processo decisionale.

 

Settembre 20 2015

Libia: situazione politica

La complessità della situazione politica in Libia tra colloqui di pace svolti fuori dalla Libia, un accordo di unità nazionale pieno di lacune e la crescente minaccia del radicalismo religioso.

Poco più di mille km da Roma, la situazione politica della Libia è di poco interesse per nostri politici e per la stampa italiana., sottovalutando enormemente  la minaccia che potrebbe emergere da una Libia permanentemente instabile.
La situazione in Libia, merita un sunto di quello che è successo finora perché evidentemente ci siamo dimenticati cosa accade in un paese che quando fa comodo è l’amico del cuore dell’Italia, quando non fa comodo perché i nostri politicanti non hanno neanche idea di cosa fare allora via, la mettiamo fuori da ogni tipo di informazione.
La guerra civile libica è iniziata con proteste contro il regime di Gheddafi, durate dal 15 febbraio al 23 ottobre 2011 e finite con la morte di Gheddafi e la vittoria delle forze pro – opposizione. Gruppi di attivisti denunciarono il numero delle persone uccise: da 30,000 a 50,000, molti di questi erano civili le cui morti erano state causate dalle forze di Gheddafi. Questi numeri sono stati dimenticati in fretta.
Dopo la fine delle guerra, fu formato un governo ad interim (National Transitional Council) nel novembre 2011 e nel luglio 2012 viene eletto il General National Congress (GNC). Tuttavia, quello che seguì fu un diffuso collasso dell’ordine e una cronica mancanza del rispetto della legge di cui approfittarono gli ex gruppi di ribelli che conquistarono il controllo a livello locale. Molti di questi gruppi rifiutarono di allearsi con un comando militare unificato, riferendo invece a consigli militari locali che divennero dei governi locali de facto. Le milizie rivali frequentemente si scontravano l’un l’altro per il controllo del territorio, mentre omicidi per rappresaglia, furti, travolgevano la popolazione locale. 7.000 persone accusate di essere sostenitori di Gheddafi, la maggior parte civili (compreso donne e bambini), rimasero in prigione e furono torturati. Si formò un gruppo armato pro – Gheddafi chiamato Green Resistance che combatteva contro altri gruppi di ribelli.
La proliferazione delle armi divenne un grande problema: molti dei depositi di armi dell’era Gheddafi furono saccheggiati. L’influsso di armi in mani private ebbe effetti ben al di là delle frontiere della Libia, contribuendo ad irrobustire le capacità dei separatisti che presero il controllo del Mali nel 2012, così come di estremisti religiosi.
In questo periodo, il radicalismo religioso cresce e l’11 settembre 2012, estremisti attaccano il Consolato americano a Benghazi, uccidendo 4 americani. Tra i morti l’ambasciatore americano Stevens e due agenti della CIA.
Le forze islamiste e non, si sono contestate a lungo su chi fosse il legittimo “cuore” della rivoluzione del 2011. Le fazioni islamiste come il Partito Justice and Construction legato alla Muslim Brotherhood e il Loyalty to the Martyrs Bloc hanno dominato il GNC fino all’estate del 2013, quando l’aver approvato forzatamente la Political Isolation Law che di fatto espelleva tutti i membri dell’ex regime di Gheddafi (anche quelli che avevano combattuto contro il regime) dalla partecipazione nel governo per 10 anni. Alcuni membri più secolari come l’Alliance National Forces furono susseguentemente cacciate dal GNC. Sia per strategia che per conseguenza, le forze armate furono costrette a rimanere ai margini mentre il GNC autorizzava le milizie islamiste, sia ufficialmente e che semi- ufficialmente, a mettere in sicurezza il paese. Milizie non – islamiste basate a Zintan che si opponevano al Political Isolation Law, minacciarono di dissolvere il GNC.
Il 23 dicembre 2013 l’autorità legislativa della Libia: il GNC, unilateralmente estese il suo mandato di un anno basandosi sull’ interpretazione della Dichiarazione Costituzionale del 2011. Così si rifiutarono di tenere nuove elezioni previste per il gennaio 2014. A seguito di ciò, ci furono proteste pubbliche contro il GNC. Il malcontento originava da una presunta dominanza all’ interno dello stesso dei religiosi conservatori, soppressione dei dibattiti “non convenienti” e l’imposizione della segregazione di genere, pressando per l’introduzione di leggi islamiche come base ufficiale della legge nazionale.
Entra ora prepotentemente sulla scena il Generale Haftar. Brevemente vi spiego chi è. Insieme a Gheddafi era parte dei quadri di giovani ufficiali dell’esercito che presero il potere al Re Idris nel 1969. Gheddafi ripaga la sua lealtà dandogli il comando del conflitto contro il Ciad. Nel 1987 Haftar e 300 dei suoi uomini furono catturati dai ciadiani. Avendo precedentemente negato la presenza di truppe libiche nel paese, Gheddafi rinnega il generale. Tradimento che è causa due decadi più tardi della dedizione del generale alla deposizione del leader libico. Di tutti i posti del mondo Haftar si dedicò alla causa dall’esilio nello stato americano della Virginia. La sua prossimità al quartier generale della Cia a Langley diede adito a parecchie voci circa uno stretto rapporto con i servizi di intelligence americani che pare gli diedero il supporto in diversi tentavi di assassinio di Gheddafi.
La mattina del 16 maggio 2014, le forze sotto il comando del generale Haftar (che lui chiamò Operation Dignity) attaccarono le milizie più radicali dentro e intorno a Benghazi, dando la scintilla a quella che ora qualcuno chiama la seconda guerra civile libica. Il 25 giugno, si tennero nuove elezioni legislative per il Consiglio dei Deputati (anche conosciuto come House of Representative). Nazionalisti e liberali vinsero la maggioranza dei seggi nelle elezioni. Tuttavia, il blocco dei religiosi conservatori si autoproclamo il nuovo GNC, formato da politici che erano la parte perdente delle elezioni e si approfittarono del supporto della coalizione di milizie conosciuta come Libya Dawn per prendere il controllo della capitale: Tripoli. Subito dopo, l’appena eletto Consiglio dei Deputati (HoR) mosse la sede nella città dell’est: Tobruk con il supporto del generale Haftar. Nel corso dell’anno successivo, il GNC mise la propria base di potere nella parte occidentale del paese, controllando Tripoli, Misrata e Zliten e altre città. Invece l’ HoR che “guadagnò” il riconoscimento internazionale si stabilì nell’est e nel sud del paese con la sua capitale de facto a Tobruk, controllando la maggior parte degli oleodotti del paese. Forze alleate controllano anche delle citta nelle montagne a sud ovest di Tripoli. Una forza di guerriglieri Tuareg, alleate a Libya Dawn, prese controllo del pezzetto sud occidentale della Libia, contestandosi la più grande città: Sabha con i combattenti Tebu allineati al governo di Tobruk. Forze locali presero il controllo della fortezza di Gheddafi: Bani Walid.
Lo Shura Council dei Rivoluzionari di Benghazi, una coalizione di milizie di gruppi religiosi radicali prese il controllo di parti est della città di Derna e continuarono a contestare Benghazi con le forze di Operation Dignity (Haftar). In questo periodo la Libia ha assistito all’entrata del così detto Stato Islamico, che inizialmente si è stabilito a Derna, ma fu successivamente cacciato dallo Shura Council. Poi presero il controllo della città di Sirte, la città di Gheddafi, e l’area che la circonda, dopo aver espulso le forze del GNC. L’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti hanno condotto bombardamenti aerei in diverse occasioni sia contro il GNC che contro l’IS, in supporto del governo di Tobruk, mentre il Qatar e la Turchia danno il proprio supporto al GNC.
Ricapitoliamo quindi alcuni avvenimenti più significativi occorsi dal 2014 al 2015.
13.07.2014: i rappresentanti dei religiosi conservatori, il Libyan Central Shield con un milizia conservatrice alleata decisero di lanciare “Operation Libya Dawn”, una battaglia per il controllo dell’aeroporto di Tripoli (controllato dalle Zintan Brigade alleate ad Haftar). La battaglia continua per più di un mese, mentre la coalizione conservatrice cresce progressivamente, e acquisisce il supporto della Muslim Brotherhood e si fa chiamare Libya Dawn dal nome della sua missione “inaugurale”.
31.07.2014: lo Shura Council of Benghazi Revolutionaries, una nuova coalizione di milizie religiose radicali che include Ansar al – Sharia (il gruppo legato all’attacco del 2012 all’ambasciata Americana) prende il controllo di molta parte di Benghazi. Questo accade il giorno dopo che Ansar al – Sharia dichiara che Benghazi è un “emirato islamico”.
04.08.2014: il nuovo parlamento eletto si riunisce per la prima volta. A causa delle battaglie che si svolgevano a Tripoli e a Benghazi, il nuovo governo si riunisce nella città di Tobruk, ad est, una roccaforte del generale Haftar. Il numero dei rappresentanti nel parlamento scende da 200 a 115.
13.08.2014: il nuovo parlamento vota ufficialmente la revoca dell’appoggio a tutte le milizie, incluso le due parti coinvolte nella battaglia per l’aeroporto di Tripoli.
19-20.08.2014: le città occidentali di Nalut e Kabaw, seguite da Tarhouna, rifiutano l’autorità del nuovo parlamento, dichiarando il proprio supporto alle forze di Libya Dawn che assediavano l’aeroporto di Tripoli. I rappresentati delle maggiori città occidentali, incluso Misrata, Khoms e Zliten esprimono anche loro l’opposizione al nuovo parlamento.
23.08.2014: malgrado i duraturi bombardamenti di misteriosa origine, le forze di Libya Dawn ottengono pieno controllo dell’aeroporto di Tripoli dopo un mese di combattimenti. Il giorno dopo controllano l’intera città di Tripoli, dove esortano il GNC a tornare al potere.
01.09.2014: una settimana più tardi il GNC riconviene parzialmente a Tripoli con il supporto di Libya Dawn e nomina il suo primo ministro: Omar al – Hassi. Hassi diventa diretto rivale di Abdullah al – Thani che era stato scelto per guidare il nuovo parlamento a Tobruk. Il parlamento di Tobruk, appoggiato da Haftar rimane il governo riconosciuto dalle Nazioni Unite (NU), mentre il parlamento in competizione a Tripoli ha il supporto di milizie che controllano molte parti del paese.
05.11. 2014: i combattenti Tuareg che supportano Libya Dawn, con l’aiuto da Misrata, prendono il controllo del oleodotto di Shararah.
07.01.2015: lo “Stato Islamico” stabilisce ufficialmente una sua branca in Libia.
16.01.2015: Libya Dawn (GNC) dichiara un cessate il fuoco con le forze allineate a Tobruk in vista dei colloqui di pace di Ginevra, supportati dalle NU.
27.01.2015: attacco al Corinthia Hotel di Tripoli da parte di un affiliato dello Stato Islamico.
08.02.2015: guerriglieri allineati allo Stato Islamico rivendicano la cattura di Nawfaliya, una città vicino al terminale dell’oleodotto di Sidra in un combattimento con le forze di Libya Dawn. Nei mesi successivi, il controllo della città resta conteso tra i due gruppi.
11.02.2015: colloqui di pace supportati dalle NU si tengono a Ghadames con l’obiettivo di formare un governo unificato tra il GNC di Tripoli e la HoR di Tobruk.
11-13.02.2015: guerriglieri che dicono di essere membri dello Stato Islamico muovono dentro Sirte, prendendo parti della città senza incontrare alcuna resistenza.
20.02.2015: milizie affiliate allo Stato Islamico fanno esplodere bombe all’interno di autovetture a Qubbah, presumibilmente per una rappresaglia per i bombardamenti egiziani nelle vicinanze di Derna, controllata dallo Stato Islamico.
02.03.2015: il parlamento di Tobruk nomina il generale Haftar come il comandante ufficiale delle forze armate libiche.
03.03.2015: gli impianti petroliferi di Mabrouk e Bahi sono controllati da combattenti religiosi estremisti, presumibilmente riconducibili allo Stato Islamico.
06.03.2015: rappresentanti da Tobruk e Tripoli s’incontrano in Marocco per un altro round di colloqui di pace con una sessione aggiuntiva in Algeria e in Belgio.
24.03.2015: guerriglieri dello Stato islamico attaccano soldati governativi a Sirte e Benghazi, uccidendo sia combattenti fedeli al governo di Tripoli che a quello di Tobruk.
12.04.2015: attacco all’ ambasciata del Sud Corea a Tripoli.
13.04.2015: attacco all ’ambasciata del Marocco a Tripoli da parte di miliziani affiliati allo Stato Islamico.
29.05.2015: militanti dello Stato Islamico prendono il controllo dell’aeroporto a Sirte.
09.06.2015: guerriglieri dello Stato Islamico catturano una centrale energetica a Sirte completando il controllo della città.
27.07.2015: il portavoce del governo di Tobruk asserisce che “tutti gli oleodotti” in Libia sono sotto il controllo delle forze militari governative. Nessuna specifica informazione viene data a proposito dei giacimenti di Mabrouk e Bahi presi a marzo dallo Stato Islamico.
13.08.2015: gruppi di ribelli sudanesi combattono a fianco del Generale Haftar a Kufra.

Agosto 27 2015

Siria: il vostro tavolo da gioco

La Siria è diventata un tavolo da gioco dove il rumore delle armi e il potere dei soldi dell’Iran, Russia, Arabia Saudita, Giordania, Turchia, Israele hanno soffocato, nel silenzio complice della comunità internazionale, il sangue di 4 anni di guerra civile.

Pensate ad tavolo rotondo marrone di quelli antichi, massicci, con sopra la mappa della Siria, plastificata lucida, i nomi delle città, le strade i confini. Intorno al tavolo sedie grandi rivestite di quel tessuto stampato in velluto con i fiori bordeaux, poggiate su enorme tappeto persiano, bello grande. Sul tavolo giusto perpendicolare un lampadario di quelli antichi con tante lampadine. Seduti su quelle sedie se ne stanno quelli che per denaro, per potere, spudoratamente continuano a giocare in un paese oramai dimenticato da tutti. Vediamo chi gioca e come.

Iran: i primi di agosto il ministro iraniano degli affari esteri, Zarif, visita Damasco, dove incontra anche il leader di Hezbollah, Nasrallah, poi si dirige in Pakistan ad Islamabad. Il suo ruolo principale: chiarire le implicazioni dell’accordo di Vienna sul nucleare (ricordo che quell’accordo è poi stato ripreso in toto e annesso alla risoluzione n. 2231 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, quindi vincolante per tutti e dico: tutti). Il commercio delle armi dell’Iran è molto importante per la Siria di Assad. La priorità di Khameini è quella di migliorare la propria difesa, negli ultimi anni si è visto come la sua stessa sicurezza sia inestricabilmente legata ad una rete di alleati regionali e di proxies che ha coltivato in Iraq, in Libano, e nella stessa Siria. Questo include Assad e una serie di milizie pro – governative, giusto per fare qualche nome, e lo farò in inglese perché mettersi a tradurre i nomi mi pare decisamente fuori luogo: National Defence Forces (la più grande rete di milizia), the Jerusalem Brigade, the Syrian Resistance, Syrian Social Nationalist Party, Popular Front for the Liberation of Palestine – General Command, Desert Falcons. Con tutti i miliardi spesi per il supporto ad Assad è assai improbabile che Teheran si faccia da parte. Aprile 2015, il presidente russo Putin, evidenziando i progressi nelle negoziazioni per l ‘accordo con l’Iran sul nucleare, dichiara d’avere una buona ragione per togliere il divieto di vendita degli S – 300 all’Iran, un potente sistema di difesa aerea, visto come un utilissimo mezzo per compensare la superiorità aerea degli americani e degli israeliani. Qualche giorno fa il presidente iraniano Rouhani ha rivelato che il paese ha prodotto il suo ultimo modello di SSM: il Fateh (vincitore) 313, missile balistico con un raggio di 500 km. Per Assad l’accordo di Vienna con tutta probabilità assicurerà la crescita di influenza politica e finanziaria del suo più affidabile alleato. Tanto per essere chiari: l’Iran con i suoi contatti politici, organizzazione e finanziamento sostiene il traffico di autocisterne che tengono a galla l’economia, le infrastrutture di Assad . Il sostegno finanziario dell’Iran, le spedizioni, hanno permesso l’acquisto di petrolio e di altri beni d’importazione essenziali. Tanto per capirci: all’inizio del 2013 la banca centrale siriana ha raggiunto un accordo con l’Iran di 3 miliardi di dollari di credito per coprire i rifornimenti di petrolio, parte di una più ampia linea di credito per un valore di circa 7 miliardi di dollari. Un totale di 17 milioni di barili di crudo sono stati spediti alla raffineria di Baniyas tra il febbraio e l’ottobre del 2013, finanziate da lettere di credito iraniane e trasportate da autocisterne dall’Iran e Iraq via l’oleodotto Sumed che attraversa l’Egitto. Il 19 maggio di quest’anno l’Iran e la Siria hanno firmato un accordo per una linea di credito di un miliardo di dollari che è per Assad una gran bella mano. E’ vero che tutte le sanzioni multilaterali e unilaterali secondo l’accordo di Vienna e la risoluzione verranno revocate non prima di 8 anni, immagino che però molti partner e molti ex partner commerciali dell’Iran, tra cui alcuni paesi membri dell’Unione Europea, possano chiudere un occhio sulla politica regionale iraniana se questo è il prezzo per prendere un pezzo della torta. Morale della storia: più soldi all’Iran, più soldi ad Assad.

Russia:  come abbiamo visto vende gli S- 300 all’Iran e si garantisce un bel controllo dell’area, ma contemporaneamente previene un intervento armato americano, perché diciamocelo la Russia è sempre rimasta fissata con l’idea della guerra fredda. Importantissimo, la Siria è sempre stata un cliente fisso dell’industria di difesa russa, tra l’altro molti ufficiali siriani sono stati addestrati in Russia, sposati a donne russe. Putin ha bisogno di quei soldi, ricordiamoci che le sanzioni per la storia dell’Ucraina hanno un costo per l’ economia russa e i soldi servono. La Siria è centrale per le aspirazioni geopolitiche russe, continuano a tenere una struttura di riparazione e rifornimento per la marina russa al porto di Tartus, dove peraltro avevano investito molto denaro per la ristrutturazione poco prima che iniziasse la guerra civile nel 2011. Le aspirazioni russe nel rivestire un ruolo importante nel Mediterraneo dell’est e nel medio oriente sono vive e vegete. Così si è offerta recentemente di ospitare colloqui di pace a Mosca ricevendo Khaled Khoja, il presidente del National Coalition for Syrian Revolution e le forze opponenti.

Arabia Saudita: l’attività diplomatica continua ad avere un profilo molto alto, il ministro degli esteri e della difesa da giugno si focalizzano sul trovare una posizione comune con la Russia. La sicurezza è cruciale e la Siria è terreno fertile di estremisti islamisti non graditi alla monarchia.

Giordania: la sicurezza delle sue frontiere è la sua preoccupazione maggiore. Rinforza la sorveglianza delle frontiere e si allea con gli Stati Uniti nella coalizione anti Stato Islamico.

Turchia: l’assillo di Erdogan, a parte le sue personali aspirazioni di leader regionale, è quello di prevenire la formazione di un Kurdistan nel nord della Siria e con la scusa di fermare lo Stato Islamico, una bomba a loro ed una ai curdi. Una cosa diversa però Ankara l’ha fatta: diminuire le relazioni con Israele. Sì perché Israele ultimamente ha avuto non pochi problemi con l’accordo sul nucleare. Continuano le relazioni commerciali certo, ma la diplomazia sembra essersi imbalsamata.

Israele: non gli è andato giù per niente l’accordo di Vienna, definendolo un errore storico, ripete che il più grande pericolo per Israele é l’arco strategico che si estende tra Teheran, Damasco e Beirut. Raid israeliani  bombardano un’importante via di rifornimento usata da Hezbollah  nelle montagne di Qalamon (area che include una serie di strade che Hezbollah usa per trasferire esseri umani e supporto logistico dentro e fuori dal territorio siriano). Ha bombardato poi 14 postazioni del regime siriano nella parte siriana delle alture del Golan tutto in risposta ad un bombardamento del regime in un villaggio del nord di Israele.

NATO:  con un annuncio a sorpresa del 16 agosto  in cui si dichiara che il dispiegamento dei Patriot finirà a gennaio 2016, si evidenzia un crescente vuoto, oserei dire, tra gli Stati Uniti e i suoi alleati che non è compensato dal recente accordo che consente che aerei americani possano decollare per missioni di combattimento dalla base di Incirlik in Turchia.

Sul tavolo di questo gioco c’è lo Stato Islamico e una serie di gruppi estremisti, piccoli e grandi che si muovono in questo vuoto di potere. Non fanno più notizia i bombardamenti al mercato di Douma di Assad, le foto dei bambini morti. Da poco qualcuno si è accorto che ci sono i profughi siriani e li accolgono perchè sono in fondo dei filantropi. La disgrazia di questo paese è essere un tavolo da gioco, un punto geopoliticamente importante dove il rumore delle armi e quello silenzioso, ma potente dei soldi, coprono il sangue, la miseria, la distruzione. E così Signori, fate il vostro gioco, rien ne va plus.