Aprile 18 2017

Regno Unito: la Brexit ha aperto il vaso di Pandora

Regno Unito

Il Primo Ministro inglese Theresa May ha annunciato di voler indire elezioni anticipate l’8 giugno 2017. Questa proposta verrà votata, mercoledì 19 aprile 2017 alla Camera dei Comuni. La May ha bisogno del sostegno del Parlamento per indire le elezioni prima della data già programmata del 2020. Inoltre affinché si possano tenere le elezioni anticipate il Primo Ministro ha bisogno del voto favorevole dei 2/3 dei membri del Parlamento.

Regno Unito: il contesto in cui dovrebbero tenersi elezioni l’8 giugno 2017

Le recenti elezioni, dei primi di marzo, nel Nord dell’Irlanda, per la prima volta, hanno consegnato la minoranza nell’Assemblea ai partiti unionisti, attribuendo il miglior risultato ai nazionalisti del partito Sinn Fein.

Sebbene la May, nella lettera formale di recesso dall’Unione Europea (UE) esprimeva il desiderio di evitare che gli scozzesi lascino il Regno Unito, la Brexit rischia di far tornare quella che potremmo chiamare “frontiera difficile” tra il Nord dell’Irlanda e la Repubblica di Irlanda: una minaccia che rischia di riaccendere “The Troubles”, il conflitto nazionalista-settario che ha scosso il Nord Irlanda per molti anni del tardo 20° secolo. Il vecchio sogno di Sinn Fein – di governare un’unita Irlanda – improvvisamente appare meno fantasioso di quanto sembrava una volta.

La Brexit ha messo in moto una serie di forze centrifughe all’interno del Regno Unito stesso

Gli sviluppi sia ad Edinburgo che a Belfast rivelano le fragili fondamenta dell’accordo legislativo di Tony Blair del 1998 sulla devoluzione inglese, così come l’accordo Good Friday che ha portato con successo alla pace nel Nord dell’Irlanda.

L’accordo Good Friday

conosciuto anche come l’accordo di Belfast, consolidava il processo di pace del Nord Irlanda garantendo all’amministrazione locale alcuni poteri; la divisione dei poteri tra gli Unionisti e i Repubblicani (le due comunità nord-irlandesi); cosi come frequenti incontri tra il Nord Irlanda e la Repubblica di Irlanda e tra il Regno Unito e i governi irlandesi. L’accordo riconosceva le identità duali – sia inglese che irlandese – della popolazione locale e la rimozione della frontiera fisica tra l’Irlanda e il Regno Unito. Questo accordo dipendeva dall’appartenenza all’Unione Europea sia della Repubblica di Irlanda che del Regno Unito. L’appartenza all’Unione Europea rimuoveva ogni questione inerente al flusso di beni, servizi, capitale e lavoro e forniva un ampio quadro per la cooperazione istituzionale, stabilendo una linea base di norme di legislazione accettate reciprocamente.

Il successo pratico di entrambi gli accordi implicitamente contava sulla continua, piena appartenenza del Regno Unito all’UE.

Con una forte Brexit che gradualmente incede verso la realtà, non sarebbe una sorpresa che questi compromessi confezionati ad arte lentamente si sgretolino.

La decisione della May di “far scattare” l’articolo 50 del Trattato di Lisbona per lasciare l’Unione Europea ha scatenato una serie di dinamiche regionali che , in passato, Westminster ha dimostrato di saper malamente controllare anche singolarmente.

Sia la May che Blair hanno giocato con gli accordi costituzionali inglesi per incassare guadagni per i propri partiti, ed entrambi hanno calcolato male il processo.

Nell’Assemblea del Nord Irlanda non si è mai verificato che il partito unionista fosse una minoranza. Ciò è molto importante, perché proprio secondo una disposizione dell’accordo Good Friday, se una maggioranza sia delle popolazioni del nord Irlanda che della Repubblica di Irlanda esprime il desiderio di una unità irlandese, sia l’Irlanda che il Regno Unito devono accettarlo.

Una maggioranza dei deputati nazionalisti irlandesi a Stortmond potremmo iniziare a soddisfare questo criterio.

Una Brexit “dura”, imposta e guidata dal governo conservatore della May e contro il volere della popolazione locale, servirebbe a minare l’accordo Good Friday. La May dunque potrebbe aver considerato elezioni anticipate nell’ottica di ottenere consenso popolare.

Che Theresa May abbia intravisto il futuro del Regno Unito dopo il recesso dall’UE nel 2019?

Possono essere tracciati tre potenziali scenari:

  • affari come sempre,
  • ulteriore devoluzione,
  • disintegrazione.

Il primo scenario è forse il più allettante vista la storia di graduale cambiamento costituzionale del paese, ma è chiaramente non più accettabile per la Scozia ed il Nord Irlanda dopo la Brexit.

Il futuro del Regno Unito sarebbe perciò o uno di più devoluzione o uno di rottura.

Ulteriore devoluzione essenzialmente significa uno spostamento verso un pieno federalismo. Sembra improbabile che sia possibile una maggiore devoluzione alle regioni senza creare una qualche forma di parlamento inglese per compensarla. La cosiddetta questione West Lothian, introdotta da David Cameron nel 2015 in un tentativo di compromesso, per cui i legislatori scozzesi possono votare a Westminster su questioni puramente inglesi, mentre le loro controparti inglesi non possono votare su questioni scozzesi decise a Holyrood, inasprisce già il contesto politico tra molti inglesi e i loro legislatori.

La soluzione federale

Parlamenti per ogni “nazione” del Regno Unito equivalgono ad una soluzione federale de facto. Questo lascerebbe la gestione della politica estera, di sicurezza e di politica macroeconomica nelle mani di Westminster e la politica monetaria alla Bank of England. Quasi tutte le altre decisioni sarebbero prese a livello “nazionale”.

Il principale problema con la soluzione federale è che, mentre potrebbe essere vista con favore da alcuni prominenti politici scozzesi, incluso l’ex primo ministro Gordon Brown, in Inghilterra non c’è una reale domanda per questo tipo di soluzione. Per la maggior parte dei politici rappresenta ancora un altro mal di testa costituzionale in un momento in cui si ha già tanto di cui preoccuparsi. Un processo che risulti in una graduale federalizzazione dello Stato del Regno Unito richiederebbe molti anni e lascerebbe irrisolto il problema fondamentale del Regno Unito: il fatto che l’Inghilterra è significativamente predominante in termini di popolazione: approssimativamente 53 milioni del totale della popolazione del Regno Unito di 64 milioni, e in potere economico, con più del 85% del prodotto interno lordo. Una soluzione potrebbe essere quella di separare Londra dal resto dell’Inghilterra in una struttura federale, ma scavare una nicchia nella capitale inglese  sarebbe un errore storico anche più grande.

Questo tipo  “soluzione” per combattere le forze centrifughe del Regno Unito sembra essere la sola che quadra il cerchio tra il desiderio di Westminster di controllo e il desiderio delle “nazioni” di devoluzione. È anche l’unica che risolve il problema tra gli euroscettici: Inghilterra e Galles e i pro-EU: Scozia e Irlanda.

Una Brexit “dura” e il Regno Unito sono incompatibili, se dovessimo aspettarci che il Regno Unito resti appunto tale: unito.

E questa potrebbe essere un’altra considerazione ragionata dal Primo Ministro inglese prima di proporre le elezioni anticipate.

La sfida della Scozia

Assumendo che l’indipendenza scozzese alla fine non avverrà, c’è sempre la questione aperta e pressante dell’appartenenza all’UE, dal momento che è chiaro che la Scozia non sarà in grado di rimanere nel Blocco Europeo automaticamente, ma dovrebbe sottoporre la domanda di adesione come nuovo stato membro. Ciò sarebbe tutt’altro che facile e richiederebbe di conformarsi al pieno “acquis communautaire”, (il corpo delle norme europee e regole), senza le opzioni di cui gode oggi il Regno Unito. Questo è il motivo per cui il partito nazionale scozzese ha recentemente iniziato a suggerire che una Scozia indipendente potrebbe seguire le orme della Norvegia e della Svizzera nel unirsi all’Area Economica Europea, piuttosto che all’UE.

Una delle questioni di profonda importanza, nella sfida scozzese, è la locazione delle armi nucleari del Regno Unito dopo l’indipendenza scozzese. Le riserve nucleari del Regno Unito sono situate in Scozia. C’è anche la potenziale adesione della Scozia alla NATO, una questione che a lungo ha diviso il partito nazionalista scozzese.

In sostanza questi scenari contengono tutti delle insidie. Guardando la storia, una strategia di confusione e di non fare cambiamenti è la più allettante. In teoria, l’opzione di pieno federalismo è quella che con più probabilità potrebbe offrire un’unione più durevole.

Guardando la politica, la rottura del Regno Unito è quella che più probabilmente avverrà, che sia per caso che per progetto. E che non siano proprio elezioni anticipate, conseguenza della Brexit, a scatenare questa rottura?

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Pubblicato Aprile 18, 2017 da barbarafaccenda nella categoria "Europa", "politica internazionale

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Esperto politica internazionale

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