Luglio 13 2019

La strategia dell’Iran: uno Stato che si comporta come un insorto

Iran strategia insorto

Negli ultimi mesi l’Iran ha innalzato ad un livello pericoloso le tensioni  con gli Stati Uniti abbattendo un drone di ricognizione sul Golfo dell’Oman, lanciando, apparentemente, una serie di attacchi a petroliere nel Golfo persiano ed annunciando che interromperà l’adempimento di alcune delle condizioni stabilite nel trattato multilaterale del 2015 sul nucleare, accordo che peraltro il presidente Donald Trump ha precedentemente abbandonato.

 

La rischiosa strategia nazionale iraniana assume un perfetto senso se viene vista come una forma di insurrezione, di rivolta.

L’insurrezione è spesso vista come una serie di azioni che compiono dei ribelli all’interno di un Paese con lo scopo di combattere il governo al potere o un esercito occupante. In realtà essa è un tipo di strategia utilizzata da una varietà di organizzazioni politiche, ed anche nazioni disperate e solitamente deboli.

L’insurrezione comporta la violenza – con forme spesso irregolari come attacchi di guerriglia, assassini, terrorismo, ma non equivale ad intraprendere una guerra convenzionale. L’azione armata è principalmente utilizzata per i suoi effetti psicologici, per dimostrare la forza del movimento insurrezionale e l’inettitudine di coloro che sono al potere.

Un trucco standard degli insorti è quello di utilizzare la violenza per provocare una reazione esagerata.

Gli insorti compiono qualcosa di drammatico: un grande attacco terroristico, un raid in una struttura della polizia o militare, l’assassinio di un alto funzionario governativo, sperando che le autorità al potere li attaccheranno. L’idea è che tale tipo di contro-attacco potrebbe danneggiare gli insorti nel breve periodo, ma fondamentalmente si rivelerà controproducente per chi lo compie se tale contro-attaccp condurrà a grandi perdite di vite o altre ritorsioni nei confronti dei civili. Il popolo quindi si rivolterà contro il governo e diventerà più empatico nei confronti degli insorti.

Ciò è esattamente quello che l’Iran sta facendo a livello strategico nazionale. Attacca non perché ritiene che possa sconfiggere o intimidire gli Stati Uniti, ma perché spera che l’America reagisca. La ritorsione di Washington aiuterebbe il regime iraniano a dipingere se stesso come una vittima dell’aggressione americana, mettendo a tacere il robusto malcontento interno, mentre ottiene compassione a livello internazionale.

Gli insorti spesso rivendicano di essere sia delle vittime che degli oppositori di un sistema di potere ingiusto che loro stanno combattendo allo scopo di cambiarlo. L’Iran non sta facendo nulla di diverso: dipinge il potere americano nel Medio Oriente come l’ultima forma di imperialismo nella Regione.
Il regime iraniano, come gli insorti in ogni parte del mondo, sta giocando il lungo gioco, cercando di alimentare un costante tumulto, ma evitando una guerra aperta con gli Stati Uniti che perderebbe. Gli insorti riconoscono sempre di poter sopravvivere: alla fine la situazione muterà a loro favore.

Allo stesso tempo, la pressione economica sul regime in ragione delle rinnovate sanzioni americane, parte della campagna di Trump denominata “massima pressione” ha aumentato il rischio di tolleranza di Teheran stesso, conducendolo ad azioni tipo l’abbattimento del drone di sorveglianza americano.

Il regime iraniano vede se stesso in un grave pericolo.

Se dunque l’Iran ha adottato la tattica dell’insurrezione come strategia di sicurezza nazionale, come dovrebbero rispondere gli Stati Uniti?

L’approccio americano alla contro-insurrezione è basato essenzialmente sull’assistenza al partner locale fino al punto in cui può affrontare gli insorti da solo. Tuttavia gli oppositori dell’Iran nel Medio Oriente non sono affatto deboli. Israele, Arabia Saudita e le più piccole nazioni del Golfo sono armate fino ai denti e perfettamente in grado di prevenire un’egemonia iraniana regionale da soli. Pur tuttavia fino ad ora sono stati capaci di convincere gli Stati Uniti a farlo a posto loro.

La classica “contro-insurrezione” non è una strategia efficace perché l’Iran ha ancora accesso alle risorse e al sostegno esterno, malgrado le sanzioni americane. Gli sforzi degli Stati Uniti di tagliare completamente fuori Teheran dai mercati petroliferi mondiali e dal mercato globale armi difficilmente porteranno frutto, almeno fino a quando la Russia, la Cina e l’India – tutte meno ossessionate dalle minacce poste dall’Iran piuttosto che da quelle degli Stati Uniti – si rifiuteranno di stare al gioco.

La contro-insurrezione spesso fallisce quando gli insorti hanno accesso alle armi o ad altre risorse dall’esterno.

La classica contro-insurrezione è fondata sul porre fine al controllo degli insorti su parti di un Paese così che il governo nazionale può prendersene carico. Tuttavia anche se gli Stati Uniti potessero causare il collasso del regime iraniano, non vi è nulla per rimpiazzarlo.

Coloro che desiderano a gran voce il collasso dell’Iran sembrano aver dimenticato troppo rapidamente le lezioni dell’Iraq. Il risultato più probabile sarebbe una guerra civile massiccia e disastrosa significativamente più pericolosa rispetto alle azioni  dell’odierno regime.

La storia ci suggerisce che i movimenti politici o le nazioni che adottano la strategia dell’ “insorto” lo fanno solo per disperazione, perché essi sono troppo deboli per portare avanti i loro interessi in altri modi. Ed è proprio questa la situazione dell’Iran: il regime percepisce se stesso in grave pericolo, una visione che sembra essere confermata dalle precedenti azioni americane e dall’attuale politica dell’amministrazione Trump.

Sebbene Teheran preferirebbe mettere in sicurezza il proprio regime attraverso lo strumento militare convenzionale o attraverso il potere nucleare, non potendo allontanare gli Stati Uniti dal Medio Oriente in questi modi, continuerà con l’unica strategia disponibile: l’insurrezione regionale.

 

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Pubblicato Luglio 13, 2019 da barbarafaccenda nella categoria "Ci sarà un McDonald a Teheran?", "Iran", "politica internazionale", "Stati Uniti

Riguardo l’Autore

Esperto politica internazionale

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